Davanti alla lobby Lgbtq il silenzio non è più sufficiente
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La prova di forza in San Pietro dei gruppi Lgbtq e del loro evento giubilare, cone le chiare complicità della macchina vaticana, esige una risposta adeguata: c'è in gioco la difesa della morale cattolica e il significato del Giubileo.

Torniamo sul caso del pellegrinaggio giubilare Lgbtq in San Pietro lo scorso 6 settembre, perché la gravità di quanto accaduto non può essere sottovalutata. Vale la pena cogliere almeno due aspetti della vicenda.
Anzitutto l’ampia rete di complicità che ha permesso un mini-Gay Pride ci dice quanto sia ampia e potente la lobby gay in Vaticano. L’esibizione di simboli e scritte Lgbtq, a cominciare dalla croce giubilare arcobaleno, la grande pubblicità promossa per questo appuntamento, padre James Martin che sfrutta abilmente un’udienza privata con Leone XIV, l’ostinato silenzio della Sala Stampa Vaticana malgrado le insistenti richieste di spiegazione, sono eloquenti.
C’è una regia dietro tutto questo e, malgrado il Papa non si sia prestato a udienze speciali, baciamano e benedizioni, il piano ha avuto successo. Le foto delle coppie di attivisti omosessuali che entrano in San Pietro mano nella mano, altri che ostentano accessori arcobaleno e altri ancora t-shirt con frasi volgari, hanno fatto il giro del mondo e messo un’altra bandierina in Vaticano.
Dobbiamo chiarirlo ancora una volta: qui non si tratta di accoglienza di persone omosessuali che, come tutti i pellegrini, arrivano a Roma per un itinerario di conversione, di impegno a orientare la propria vita verso Dio. No, si tratta di gruppi organizzati che impongono la normalizzazione di azioni che la Chiesa ha sempre ritenuto un peccato grave. Si tratta di gruppi che chiedono che sia la Chiesa a convertirsi a loro, e sciaguratamente incontrano vescovi che li assecondano, come monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Jonio e vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), che ha celebrato la loro messa giubilare (qui l’omelia). Trasformandolo in un’occasione di rivendicazioni di settore, sul modello sindacale, si è data una testimonianza negativa sul significato del Giubileo e su cosa sia un pellegrinaggio.
A questo si lega il secondo punto: dicevamo poc’anzi che l’obiettivo di questo appuntamento così come di tutta l’azione dei gruppi Lgbtq sedicenti cattolici è quella di normalizzare l’omosessualità, farla cioè accettare come una variante normale, naturale, della sessualità. Per la Sacra Scrittura e per il Catechismo della Chiesa cattolica invece è uno dei quattro «peccati che gridano verso il Cielo» (CCC 1867), vale a dire peccati così gravi da turbare l’ordine sociale e che richiedono l’intervento di Dio per ristabilire la giustizia.
In altre parole, l’azione della lobby Lgbtq e in particolare quanto avvenuto il 6 settembre è un tentativo di rivoluzione morale, di sovvertire la dottrina cattolica. Come del resto aveva già anticipato nel 1986 l’allora cardinale Joseph Ratzinger in qualità di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, firmando la Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali:
«Oggi un numero sempre più vasto di persone, anche all'interno della Chiesa, esercitano una fortissima pressione per portarla ad accettare la condizione omosessuale, come se non fosse disordinata, e a legittimare gli atti omosessuali. Quelli che, all'interno della comunità di fede, spingono in questa direzione, hanno sovente stretti legami con coloro che agiscono al di fuori di essa. Ora questi gruppi esterni sono mossi da una visione opposta alla verità sulla persona umana, che ci è stata pienamente rivelata nel mistero di Cristo. (…)
(…) Anche all'interno della Chiesa si è formata una tendenza, costituita da gruppi di pressione con diversi nomi e diversa ampiezza, che tenta di accreditarsi quale rappresentante di tutte le persone omosessuali che sono cattoliche. Di fatto i suoi seguaci sono per lo più persone che o ignorano l'insegnamento della Chiesa o cercano in qualche modo di sovvertirlo. Si tenta di raccogliere sotto l'egida del Cattolicesimo persone omosessuali che non hanno alcuna intenzione di abbandonare il loro comportamento omosessuale».
Tentativo di rivoluzione morale, sovvertimento della dottrina cattolica: l’offensiva è arrivata, plateale, dentro la Basilica di San Pietro. La posta in gioco, dunque, è molto alta. Avendo potuto contare sul sostegno di papa Francesco, ora cercano in un momento di transizione e di riflessione di forzare la mano a Leone XIV: con gesti sempre più arditi e potendo contare su vaste complicità all’interno della macchina vaticana, come abbiamo visto in questa occasione.
Finora papa Leone non ha detto una sola parola sul tema, ha evitato di cadere personalmente nelle trappole mediatiche; anche in questa occasione non ha concesso udienze particolari, inviato un messaggio o rivolto un saluto all’Angelus. Ma davanti alla sfrontatezza delle organizzazioni Lgbtq e all’impatto mediatico delle loro iniziative, la strategia del non lasciarsi coinvolgere è ormai insufficiente. Tanto più che il silenzio della Sala Stampa, che invece su altre questioni è molto rapida a intervenire (vedi i chiarimenti immediati sulla recente udienza concessa al presidente israeliano Isaac Herzog), fa nascere delle domande.
Non può sfuggire, come ha fatto notare Robert Royal su The Catholic Thing, che quello del 6 settembre è il primo evento giubilare «per gruppi che celebrano un peccato», e il silenzio, lo si voglia o meno, legittima chi promuove questa agenda. Papa Leone, davanti alle profonde divisioni della Chiesa, ha finora saggiamente dimostrato di operare delle correzioni senza provocare strappi; ma se le modalità del pellegrinaggio giubilare Lgbtq, come noi crediamo, hanno tutte le caratteristiche dell’imboscata, qualche segnale più deciso diventa anche necessario.