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IL GIUBILEO LETTERARIO/2

Dante racconta il primo Giubileo

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L’evento del Giubileo del 1300 segna indelebilmente la memoria del poeta per esperienza diretta o attraverso i racconti e le immagini di quella folla immensa, mai vista in quell’epoca, che discendeva verso Roma lungo le vie del pellegrinaggio.

Cultura 04_11_2024

Tanti artisti e letterati si recarono a Roma per il Giubileo. Probabilmente Dante doveva essere tra questi.

Già nella prima opera, la Vita nova, Dante aveva dedicato un intero capitolo al pellegrinaggio. L’uomo medioevale si percepisce come homo viator ovvero uomo in viaggio da questa terra verso la vera patria, quella celeste. Certo dell’eternità e dell’aldilà, nel Medioevo l’uomo guarda questo mondo come anticipazione dell’altro, così come legge l’Antico Testamento come profezia del Nuovo.

La Vita Nova è una sorta di romanzo giovanile in cui il poeta rilegge la sua storia passata a partire dalla luce dell’incontro con Beatrice. Quando la donna amata muore, Dante vede alcuni pellegrini che sostano a Firenze ed è convinto che, consapevolmente o no, essi si siano fermati nella città per rendere omaggio alla donna.

Dante spiega allora al lettore i differenti nomi che si assegnano loro: palmieri, quando si recano a Gerusalemme, perché portano indietro le palme; romei se vanno a Roma; pellegrini se si recano a Santiago in visita all’apostolo san Giacomo. In tutti e tre i casi i pellegrini «vanno in servigio dell’Altissimo» ovvero lo spirito del pellegrino sta in questa offerta riconoscente, in cammino per vedere e per ascoltare Cristo e la sua rivelazione oggi.

L’evento del Giubileo del 1300 segna indelebilmente la memoria del poeta per esperienza diretta o attraverso i racconti e le immagini di quella folla immensa, mai vista in quell’epoca, che discendeva verso Roma lungo le vie del pellegrinaggio.

Non è possibile rispondere con certezza se Dante abbia visto di persona l’afflusso di folla a Roma per il Giubileo o gli sia stato raccontato l’anno successivo, quando fu a Roma come ambasciatore di Firenze dal papa Bonifacio VIII. Dante sembra lasciar intendere di aver visitato Roma quando nella Divina Commedia descrive la folla per le vie della città nell’ottavo cerchio di Malebolge.

Nella prima bolgia i ruffiani e i seduttori camminano in senso contrario proprio come durante il Giubileo quando, per facilitare l’afflusso della folla, il ponte di Castel Sant’Angelo viene diviso in due da una transenna:
da l’un lato tutti hanno la fronte
verso ‘l castello e vanno a Santo Pietro,
da l’altra sponda vanno verso ‘l monte.

Più avanti nel viaggio, sempre all’Inferno, arrivato al pozzo dei giganti, Dante fa riferimento alla pigna della Basilica di San Pietro: era stato papa Simmaco IV a farla trasportare lì, mentre prima si trovava davanti al mausoleo di Adriano o al Pantheon. Bronzea e gigantesca, raggiungeva più di quattro metri di altezza tanto che Dante paragona la faccia del gigante Nembrot alla pigna di San Pietro.  

Nella Commedia l’immagine del pellegrino ritorna per ben due volte nel canto XXXI del Paradiso: una prima volta quando Dante contempla lo spettacolo della rosa dei beati, proprio come un pellegrino che giunga alla meta del santuario e trovi ristoro nel guardarlo ammirato; una seconda, quando si volge verso Beatrice per avere spiegazioni e trova invece un vecchio dall’atteggiamento benevolo. È san Bernardo che lo invita a guardare tutta la Candida Rosa, perché la contemplazione lo preparerà alla visione di Dio. Dante osserva commosso il volto del santo come un pellegrino che non si sazia di vedere il volto di Gesù impresso nel sudario della Veronica, conservato nella basilica di San Pietro.

Seconda una tradizione cristiana l’immagine si era impressa su un velo che una pia donna di nome Veronica aveva usato per asciugare il volto sanguinante del Signore. Il nome Veronica, di cui non si conserva memoria nei Vangeli, deriva da «vera icona» ovvero «vera immagine» di Gesù. Già nella Via Nova Dante si ricorda dell’immagine della Veronica nel capitolo XL: «Molta gente va per vedere quella imagine benedetta la quale Iesù Cristo lasciò a noi per essemplo de la sua bellissima figura». Probabilmente il sudario venerato nel Medioevo è il Santo Volto conservato a Manoppello.

Leggiamo nel canto XXXI del Paradiso:
Qual è colui che forse di Croazia
viene a veder la Veronica nostra,
che per l’antica fame non sen sazia,
ma dice nel pensier, fin che si mostra:
’Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace,
or fu sì fatta la sembianza vostra?’;
tal era io mirando la vivace
carità di colui che ’n questo mondo,
contemplando, gustò di quella pace.

In parafrasi: «E come colui che forse fin dalla Croazia viene a vedere il sudario della Veronica (a Roma), che non si stanca mai di guardarlo per il lungo desiderio che ha avuto, ma dice dentro di sé, durante l’esposizione del sudario: “Signore mio, Gesù Cristo, vero Dio, proprio così era il vostro volto?”; tale ero io mentre ammiravo il vivo spirito di carità di colui che sulla Terra pregustò, con la contemplazione, la pace del Paradiso».

Petrarca si ricorderà del pellegrino dantesco che dalla Croazia si muove verso Roma per vedere il sudario quando scrive uno dei sonetti più famosi (Canzoniere XVI): Movesi il vecchierel canuto et bianco. Il poeta descrive un vecchio stanco, disposto a lasciare tutto, anche la sua famiglia, negli ultimi giorni della sua vita, per recarsi a Roma alla ricerca della Veronica, il cui nome è celato nell’espressione «forma vera» dell’ultimo verso.



IL GIUBILEO LETTERARIO / 1

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