Danesi "cool": riaprono tutto tranne i confini
Il governo di sinistra danese è il primo stato a riaprire dopo il lockdown. Ma c’è solo una cosa che il premier Frederiksen ha deciso con forza che non riaprirà: i confini. Anzi, c'è un piano ben preciso a cui dare attuazione e che prevede la riorganizzazione dei quartieri-ghetto islamizzati. Il multiculturalismo ha fallito e lo sanno.
La Frederiksen ha deciso con molta determinazione di attuare un’operazione che fino ad oggi era stata imposta dall'immaginario come prettamente dei partiti di destra: legare la sicurezza economica a quella dell’ordine pubblico e a quella dell’immigrazione. Mette Frederiksen, il premier donna più giovane del paese, ha deciso di non fare passi indietro.
La Danimarca è stata tra le prime nazioni a imporre la quarantena - diversa da quella italiana - per rispondere all’emergenza del coronavirus, ed è tra le prime a ripartire a cominciare dalle scuole. L'apertura prevista per dopo Pasqua è stata confermata. A cominciare dalle scuole le cui porte sono state già spalancate di nuovo agli studenti.
C’è solo una cosa, però, che la Frederiksen ha deciso con forza che non riaprirà: i confini. Anzi, c'è un piano ben preciso a cui dare attuazione - entrato in vigore a gennaio - e che prevede la riorganizzazione di quartieri diventati dei veri e propri ghetti islamizzati.
Sono diversi anni che il Paese ha dimostrato di voler fare sul serio sull'immigrazione con governi di destra e di sinistra capaci di essere concordi sulla gestione dei flussi migratori, di quanti decidono di stabilirsi nel Paese, dei clandestini e dei ghetti a maggioranza islamica - censiti dal 2010. Ogni anno la lista delle banlieue in salsa danese viene aggiornata in virtù dei cambi di residenza e trattamenti specifici vengono riservati per quelle aree che mantengono lo status - rischio ridotto o ghetto duro - per oltre cinque anni (arrivando fino allo smantellamento delle abitazioni).
Aveva fatto discutere, già nel 2016, la "legge sui gioielli", che consente al governo di confiscare denaro e oggetti di valore - con un minimo di denaro e beni a partire dal quale è possibile sequestrare - dai nuovi rifugiati per finanziare il loro reinsediamento. Il governo ha poi concesso un raddoppio delle sanzioni per chiunque commetta un crimine in un "ghetto", il divieto di burqa nel 2018 e fino ad arrivare alla legge che stabilisce che i criminali stranieri, condannati sul suolo danese, verranno relegati su una isola al largo della costa della Danimarca in attesa di trovare il modo di rimpatriarli.
Molte di queste leggi sono state approvate con il sostegno del principale partito di sinistra, i socialdemocratici, che hanno formato il governo dopo le elezioni dell'estate scorsa. Martin Henriksen, ex deputato del Partito popolare danese di destra, è dell'idea che i socialdemocratici non avrebbero vinto se avessero appoggiato una posizione moderata sull'immigrazione.
Ed ecco, allora, il nuovo piano per l'immigrazione. Entrato in vigore il primo gennaio, troverà solo ora applicazione efficace. La Danimarca da tempo soffre la distanza sociale che s'è venuta a creare tra i figli di immigrati, anche quelli di seconda generazione, che ancora non hanno imparato la lingua ma soprattutto che non frequentano la scuola. In particolare questo riguarda il sesso femminile - fenomeno oggi ampiamente diffuso nel nord Italia. Il governo pertanto sta tentando di tirare fuori dall'auto-isolamento quella fetta di popolazione, improduttiva e restia all'integrazione, che ha messo su una "società parallela".
"Ciò significa che devono essere esposti alle norme culturali della società in quanto tali e non crescere in comunità chiuse e isolate". Un progetto che prevede la spinta all’integrazione nel tessuto sociale danese e sanzioni per quegli immigrati dei ghetti islamizzati che dovessero opporvisi. Ormai da dieci anni, il governo danese pubblica dei report, ogni dodici mesi, che indicano le liste di quartieri-ghetto: sono le zone che oltre alla spiccata islamizzazione hanno un elevato tasso di criminalità, disoccupazione e un livello d’istruzione ben al di sotto della media nazionale. Zone fuori dal controllo delle istituzioni e con usanze non solo estranee al contesto europeo, ma in aperto contrasto con diritti, doveri e principi del Paese. Nonostante l'opposizione di Amnesty International e dell'Onu, l'esecutivo danese ha deciso di procedere spedito, nel timore che la situazione degenerasse ancora di più.
Un intervento mirato che prevede lo sfratto dell’intera famiglia nel caso in cui uno dei membri dovesse essere responsabile di un crimine; test di lingua obbligatori che, se non superati, potrebbero portare alla perdita dei contributi di natura economica; il taglio del 40% delle abitazioni statali per riconvertirle in private. E l'obbligo per tutti i bambini di tali enclave, di età superiore a un anno, di 25 ore settimanali all'asilo dove impareranno la lingua e le tradizioni danesi.
La critica mossa da quanti si oppongono alle suddette misure è che in questo modo si separeranno le nuove generazioni dalle famiglie di origine, perché i primi diventeranno occidentali, le seconde resteranno ferme alle leggi della shari'a.
Per quanto riguarda la pena detentiva di quattro anni per i genitori immigrati che costringono i loro figli a fare lunghe visite nel paese di origine - i cosiddetti "viaggi di rieducazione" a cui vengono costrette soprattutto le bambine, ma anche i maschietti che sognano di diventare imam - è ancora in fase di discussione.
La "guerra" è all’auto-ghettizzazione su base etno-religiosa, che ha trasformato interi quartieri in aree con scarsissima integrazione e afflitta da disoccupazione e degrado. Tant'è che agli inquilini allontanati dalle abitazioni popolari verranno proposte alternative in altre zone.
L'obiettivo è comportarsi in maniera diametralmente opposta ai modelli di "assimilazione" inglesi e francesi. Là l'idea che le diversità etniche e culturali fossero una ricchezza da tutelare e la tolleranza l’ingrediente fondamentale alla realizzazione delle comunità etniche, ha generato una frammentazione del contesto sociale. E non è un dettaglio che proprio da Francia e Gran Bretagna sia partito il più elevato numero di volontari, dall'Europa, per il jihad.
Il multiculturalismo è un fallimento evidente in tutta Europa, in particolare, forse nella vicina Svezia. E' forse da quell'esempio che la Danimarca tende ad allontanarsi il più possibile. Sono troppi i quartieri svedesi dove l'illegalità, ma soprattutto il degrado e la criminalità, hanno prodotto situazioni altamente esplosive.
Resta evidente, nel frattempo, che non riesce a trovare successo nei danesi l'idea - imposta da parte della stampa locale e non - per cui l'establishment politico stia solo cercando di dimostrare al pubblico che sono duri nei confronti del crimine e dei musulmani, perché anche la sinistra è vittima dell'ondata populista di destra.