Dall'Arizona un appiglio per resistere alle nozze gay
Un piccolo comune dell'Arizona limita i cartelloni pubblicitari a una congregazione cristiana, ma la Corte Suprema in questo caso dà ragione alla comunità cristiana in nome della libertà religiosa. Un precedente che può essere usato per i difensori della famiglia.
Una delle cose che nota chiunque appena sbarca negli Stati Uniti, credente o no che sia, sono gli avvisi di carattere religioso a caratteri cubitali che, alternati alla pubblicità del Kentucky Fried Chicken o ai cartelli di chi vende casa, ammiccano al passante lungo le grandi vie di comunicazione. Sono ciò che a quelle latitudini si direbbe a piece of americana: non un’“americanata”, ma un tratto caratteristico del folclore urbano che ha una ragione semplicissima. In un Paese dove la libertà religiosa è inscritta nel DNA costituzionale del Paese, e dunque la società conosce un pluralismo delle fedi altrove mai visto, la concorrenza tra le Chiese è serratissima e il marketing è strategico per l’apostolato. È così che da sempre gli Stati Uniti sono un Paese perfettamente laico eppure il più religioso, anzi cristiano, di tutto l’Occidente, malgrado i suoi governi dubbi, le sue scelte politiche discutibili e le zampate della secolarizzazione.
Nel nostro tempo, però, in cui anche l’ovvio è diventato strano, qualcuno ha cominciato a sollevare dubbi. C’è in Arizona una piccola comunità presbiteriana di una trentina di persone guidata dal pastore Clyde Reed che si chiama Good News (Buona novella) e che da anni celebra le funzioni religiose in locali temporaneamente presi in affitto a Gilbert, sobborgo dell’area metropolitana a sudest di Phoenix. Ora, per esempio, la Good News affitta un’aula della locale scuola elementare. Ebbene, siccome molti faticano a trovare il luogo del sermone, la Good News mette in giro dei cartelli. Come fanno tutti. Ma questo al governo cittadino di Gilbert non va giù e perciò dal 2005 ha imposto nuovi limiti su misure, posizionamento e durata degli avvisi pubblicitari. Solo di quelli religiosi, però, perché gli altri – cartelli elettorali, propaganda ideologica o annunci dell’associazione dei proprietari d’immobili ‒ restano liberi di fare ciò che vogliono.
Per capirci, gli avvisi pubblicitari della Good News possono essere per legge grandi al massimo 6 piedi quadrati (mq 0,5), esibiti 12 ore prima dell’evento e tolti al massimo un’ora dopo. Ma invece l’associazione dei proprietari di case può arrivare a cartelli sino a 80 piedi quadrati (poco meno di mq 7,5) affissi 30 giorni prima e lasciati al loro posto fino a 48 ore dopo; gli avvisi elettorali fino a 32 piedi quadrati (poco meno di mq 3) esposti anche 4 mesi e mezzo prima e inamovibili fino a 15 giorni dopo; e, ciliegina sulla torta, le pubblicità di natura ideologica possono dispiegarsi per 20 piedi quadrati (poco meno di mq 2) e restare visibili per sempre. Ogni violazione da parte della Good News è punibile con multe salatissime e al limite persino con la galera. Insomma, una discriminazione a motivo del contenuto dei messaggi esposti in piena regola d’arte e alla luce del sole.
Il pastore Reed ha così denunciato il governo cittadino per violazione del Primo Emendamento alla Costituzione federale degli Stati Uniti che garantisce a tutti la libertà religiosa, ma davanti si è trovato nientemeno che il colosso della Corte di Appello del Nono Circuito che ha dato ragione alla municipalità di Gilbert. Per fortuna negli USA esiste però l’Alliance Defending Freedom (già nota come Alliance Defense Fund), ovvero un’organizzazione cristiana conservatrice di Scottsdale, Arizona, nata nel 1994 per assistere legalmente chi si trova a dover difendere in tribunale la propria libertà religiosa. In questo modo la vertenza ha potuto essere portata al giudizio della Corte Suprema federale. La quale il 18 giugno ha dato ragione all’unanimità alla Good News.
Cosa può importare all’universo mondo della vittoria di quella minuscola comunità protestante dell’Arizona? Moltissimo. Perché la decisione presa in suo favore dalla Corte Suprema 9 giudici su 9 segna un precedente che impedisce alle lobby laiciste di limitare la libertà di espressione degli americani in materia religiosa. Adesso che, con l’ennesimo colpo di mano, la stessa Corte Suprema ha deciso d’imporre la liceità del “matrimonio” omosessuale a tutti gli Stati dell’Unione, gli americani potranno proseguire la buona battaglia a favore della famiglia naturale per esempio invitando a una liturgia di riparazione con le parole della Good News di Gilbert o di Papa Francesco (in visita a Washington in settembre)? Grazie alla decisione del 18 giugno sì, e visti i tempi che corrono non è affatto poco. Chiodo scaccia chiodo, Corte Suprema scaccia Corte Suprema.