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TERRORISTI DI RITORNO

Dalla Siria alla Sardegna, il filo rosso del jihad

Anche l'Italia dovrà ora affrontare il suo problema di jihadisti di ritorno dalla Siria, visto che Trump ha chiesto ai paesi europei, da cui provengono, di riprenderseli. Nel caso dell'Italia, i terroristi pronti a rientrare sono solo tre. Non centinaia, come per la Germania o il Regno Unito. Ma sono ugualmente un problema, come dimostra la rivolta del carcere di Bancali, a Sassari, in Sardegna. 

Politica 20_02_2019
Combattimenti in Siria contro l'ultima sacca dell'Isis

Il tweet del Presidente americano Trump sui circa 800 detenuti e detenute membri dell’Isis attualmente custoditi dalle forze curde nel nord della Siria, ha messo in fibrillazione diversi paesi europei. Su tutti Germania e Gran Bretagna, che non sembrano intenzionati ad aprire le porte dei propri penitenziari ai cosiddetti “returnees”, i “foreign fighters” di ritorno. La Francia è invece andata subito incontro alla richiesta della Casa Bianca, annunciando il rimpatrio di 130 terroristi e dei loro familiari.

Londra e Berlino temono la gestione dei “returnees”, perché in carcere potrebbero procedere all’indottrinamento e al reclutamento di altri individui, attirandoli nella rete della Fratellanza Musulmana sempre pronta a raccogliere nuovi adepti. Il Ministro degli Esteri della Germania, Heiko Maas, ha inoltre addotto a mo’ di giustificazione l’assenza di un chiaro quadro giuridico che consenta la messa in stato d’accusa dei “foreign fighters” in un tribunale tedesco. Resta da vedere quanto si rivelerà efficacia la minaccia paventata da Trump di liberarli per indurre Germania e Gran Bretagna ad assumerne la custodia all’interno del territorio di partenza.

Anche l’Italia è stata chiamata a collaborare, ma con molti meno patemi visto che ad oggi i jihadisti in questione sono tre e non centinaia come nel caso tedesco e britannico: si tratta di un uomo, Samir Bougana, e due donne, delle quali è stato divulgato soltanto il nome di Meriem Rehaily, sposa di un militante di ISIS con cui ha concepito due bambini. Il governo non si è ancora espresso sul da farsi, per quanto si siano levate voci contrarie al loro rientro, specie per quanto riguarda il giovane Samir. Intervistato da La Stampa, Samir ha ammesso di essere stato un terrorista, radicalizzatosi principalmente attraverso internet, ma ora vorrebbe tornare in Italia per vivere una vita da cittadino normale, come se nulla fosse accaduto.

La questione dei “returnees” coinvolge centinaia di “foreign fighters” detenuti anche in Iraq e non solo in Siria. La reazione più immediata è quella di non concedere a tali soggetti il lusso di un equo processo e dei penitenziari italiani o europei seppur di massima sicurezza, lasciandoli nelle mani di coloro che li hanno catturati. D’altro canto, sia i curdi in Siria che le forze di sicurezza irachene hanno oggettive difficoltà a mantenere la custodia permanente dei “foreign fighters” e la richiesta americana è pertanto giustificata, tenuto inoltre conto dell’attuale impraticabilità politica di un accordo con il governo siriano perché si assuma l’onere della detenzione dei terroristi.

Sebbene in un contesto indubbiamente diverso e molto meno problematico del teatro siro-iracheno, la preoccupazione di Gran Bretagna e Germania legata alla detenzione dei “returnees” è a sua volta giustificata. Si tratta infatti d’individui in giovane età, che molto difficilmente riusciranno davvero a de-radicalizzarsi e dovranno perciò essere seguiti anche dopo che avranno scontato le rispettive condanne (per Samir, Meriem e l’altra donna si parla di circa 10 anni: troppo poco?). Cosa significa gestire la carcerazione di estremisti jihadisti l’Italia lo sa bene. Lo sanno bene, in particolare, gli agenti della polizia penitenziaria, responsabili di oltre 240 soggetti, suddivisi tra i centri di detenzione di Bancali, Nuoro, Rossano Calabro (Cosenza) e Asti. Le notizie più inquietanti continuano a giungere da Bancali, con il ferimento di un agente da parte di un detenuto radicalizzato avvenuto solo qualche giorno fa.

Il progressivo e già denunciato smantellamento delle politiche di sicurezza nel carcere, in nome della “vigilanza dinamica” e del “regime penitenziario aperto”, ha reso ancora più difficile le condizioni nelle quali la polizia penitenziaria si trova a svolgere il proprio lavoro. Il numero di sentinelle sui muri di cinta delle carceri è stato ridotto, mentre i controlli sui detenuti, autorizzati a passare fuori dalla cella tra le 8 e le 10 ore giornaliere, sono sporadici e occasionali, con conseguente aumento degli episodi critici. Il suddetto ferimento è stato preceduto da rivolte capeggiate da detenuti affiliati all’Isis e l’allarme radicalizzazione targata Fratellanza Musulmana resta elevato.

È questa materia per i ministri dell’Interno e della Giustizia, il cui intervento finora è venuto a mancare nonostante i ripetuti appelli del sindacato dei poliziotti di Bancali. Neppure la campagna elettorale in vista delle regionali di domenica 24 febbraio, ha spinto Matteo Salvini a fare riferimento alla situazione di emergenza della Casa Circondariale "Giovanni Bachiddu" nel comizio tenuto oggi a Sassari. I Fratelli Musulmani – e gli emiri del Qatar che li sponsorizzano e hanno da tempo fatto della Sardegna un proprio feudo personale - ringraziano.