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SOCIETA' DA RICOSTRUIRE

Dalla rivoluzione alla repressione, la parola alle donne siriane

Diciannove donne (Sellerio Editore) è un libro di testimonianze raccolte da Samar Yazbek, intellettuale siriana che prese parte alla rivoluzione contro Assad e poi dovette fuggire in Francia. Le diciannove testimonianze di donne siriane che ha raccolto, da suo esilio, sono piene di dolore e nostalgia. E raccontano una società lacerata, sempre più difficile da ricostruire. Un raggio di speranza: la rinascita della cattedrale di Aleppo.

Libertà religiosa 09_07_2019
Donne siriane fra i rifugiati

Cosa sappiamo davvero di ciò che è accaduto in Siria, da cui sono giunti in Europa negli ultimi anni tanti rifugiati? Raccontare questo Paese dall’inizio della Rivoluzione del 2011, ripercorrendo le storie drammatiche e dolorose di tante donne che hanno creduto di poter costruire un Paese più libero e pacifico, è stato l’intento di Samar Yazbek nel libro Diciannove donne (Sellerio Editore). Intanto, segno di speranza, rinasce la cattedrale melchita di Aleppo.

Intellettuale impegnata nella lotta contro il regime siriano, presto fuggita in Francia con la figlia, Samar Yazbek non ha vissuto in prima persona la tragica evoluzione della Rivoluzione stessa. La fa raccontare a 19 donne, quasi tutte uscite dalla Siria e oggi rifugiate in Paesi confinanti o in Europa, che hanno dovuto riconoscere che il “prima” era molto meglio dal punto di vista delle libertà individuali. Le testimonianze delle sopravvissute agli orrori della guerra, tutte donne colte del ceto medio che esaminano criticamente la loro esperienza personale, descrivono le discriminazioni, le sofferenze in carcere, le torture, i tentativi di costruire qualcosa di nuovo in mezzo alla distruzione e alla morte. Sono storie diverse, e quasi tutte partono dalle manifestazioni di otto anni fa, dalla lotta alla tirannia di un regime (quello di Assad) che ha grandi colpe; ma si concludono tragicamente con la perdita dei più elementari diritti per le donne, che non possono più studiare né organizzare quelle coraggiose attività didattico-educative che, in pieno conflitto, cercavano di conservare il volto umano di una Siria capace di convivenza tra identità diverse. Sul banco degli imputati siede il potere maschile, sia quello della dittatura di Assad (sotto il quale però molte di loro hanno potuto studiare), sia quello dell’Esercito siriano libero, che alcune delle donne interpellate inizialmente hanno sostenuto. E naturalmente non vengono nascosti gli inganni e le crudeltà di Da’esh, il nuovo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria o del Fronte Al-Nusra, gruppo armato jihadista.

Ma il vero nodo che tutte le testimonianze riconoscono è il problema della non facile convivenza, in una regione abitata da cristiani, drusi, alawiti e musulmani. È proprio questo l’aspetto che prima e soprattutto dopo la Rivoluzione è emerso in primo piano. Ci aiuta a capire la situazione di oggi, a guerra si spera avviata alla conclusione, il lucido giudizio di Suor Marta, superiora delle Monache Trappiste di Azeir, le quali durante la guerra non hanno abbandonato il loro convento vicino al confine con il Libano e hanno continuato a lavorare per una vita comune pacifica. “Noi fin da quando siamo arrivate abbiamo sperimentato questa caratteristica della Siria: prima di tutto si è siriani, la religione è un’altra cosa. E questa è una linea che permane, che noi sentiamo e che viene portata avanti: certo, occorre fare i conti con le fratture che si sono create, perché purtroppo questa guerra ha minato la coscienza dell’essere insieme, però questa coscienza dell’essere anzitutto siriani non è stata distrutta e il governo sta lavorando in questo senso, così come tutte le persone di tutte le religioni impegnate in un’ottica di ricostruzione sociale sono impegnate in questa direzione”.

Forse le testimoni del libro di Samar Yazbek non hanno sempre la stessa lucidità, anche perché sono tutte dovute fuggire dalla persecuzione. E vivono ora un’acuta nostalgia per il loro Paese. Ma molte riconoscono con franchezza che “si erano lanciate nella Rivoluzione contro Assad per chiedere diritti e cambiamento e si sono poi trovate nella situazione di doversi difendere dalla Rivoluzione stessa”, che è presto degenerata in una nuova tirannia. Qualcuna di loro si era inventata un progetto per riunire i figli dei profughi di Idlib e Aleppo con quelli dei villaggi alawiti in scuole comuni, come primo passo per la costruzione di una società civile e di una pace che tutte loro hanno sempre sognato e sognano ancor oggi nella scelta obbligata dell’emigrazione. Purtroppo sono consapevoli che forse non faranno mai ritorno in patria e vivono con profonda costernazione la perdita di umanità cui hanno assistito, interrogandosi anche con sofferta umiliazione sulla sorte di un Paese che appare ancora diviso e in pratica abbandonato dalla comunità internazionale, il cui ruolo risulta ancora oggi ambiguo.

Restano incancellabili per il lettore le immagini delle sofferenze e difficoltà patite dalle donne siriane. Come l’obbligo di indossare il velo integrale, il divieto di partecipare alle manifestazioni o di uscire di casa nelle zone controllate dagli islamisti radicali, le battaglie quotidiane per la scarsità di cibo, gli ospedali improvvisati, le carceri dove vengono inflitte crudeli torture fisiche e psicologiche, le armi chimiche usate contro i civili. Ma accanto a tanto dolore suscita ammirazione la costante appassionata azione educativa e di solidarietà, il racconto delle scuole clandestine per donne e bambini, costruite malgrado la perenne mancanza di elettricità e di connessione internet. Insomma, emerge luminosa l’indomita volontà di non cedere alla violenza della guerra che tutto distrugge, e affiora anche spesso la stima e la considerazione per il lavoro di assistenza operato nelle varie situazioni dalle donne cristiane (tutte le 19 donne interpellate sono in effetti musulmane).

Mentre continuano, sia pure con meno frequenza di prima, i raid governativi e russi sulla Siria nord-occidentale, dove abitano circa tre milioni di persone e dove ancora operano gruppi di miliziani anti-regime, tra cui esponenti della galassia qaeidista, è dei primi di luglio la tragica notizia del ritrovamento di una fossa comune a Raqqa: sono stati estratti circa 200 corpi, tra cui quelli di molte donne, uccise per lapidazione dall’Isis. Dunque, anche se colpevolmente non se ne parla quasi più, il dramma non è ancora finito ed è più che mai necessario l’impegno per una ricostruzione pacifica che favorisca l’armonia fra le diverse identità del popolo siriano.

Accogliamo perciò con vivissima gioia l’annuncio della rinascita della cattedrale di Aleppo, seconda città della Siria, gravemente danneggiata durante la guerra, che certamente svolgerà un ruolo positivo di accoglienza e pacificazione. Nostra Signora della Dormizione, la cattedrale della diocesi greco-cattolica (melchita), è stata riconsacrata il 23 aprile scorso, festa di San Giorgio, al termine dei lavori di restauro. In occasione dell’ultima Pasqua le campane hanno ripreso a suonare e il patriarca melchita Joseph Absi le ha definite “un simbolo di risurrezione della Siria”. Il nunzio apostolico Jean-Clément Jeanbart, che è a capo dell’arcieparchia di Aleppo, la considera “un patrimonio che ravviva il nostro amore per la patria”, in quanto è la prima cattedrale edificata dai melchiti in epoca ottomana. Monsignor Jeanbart non si nasconde che “malgrado i progressi compiuti, resta ancora molto da fare per ricomporre l’armonia del mosaico interetnico siriano”; e aggiunge che “oggi gli sforzi della Chiesa locale mirano a mettere fine all’esodo (dei cristiani)”. Per capire la Siria di ieri e di oggi non importa certo schierarsi da una parte o dall’altra, quanto sostenere la volontà di tutti di costruire una convivenza armoniosa e libera, la stessa che hanno sognato e continuano a sognare le 19 donne interpellate da Samar Yazbek nel suo illuminante libro-testimonianza.