Dalla rivista illuminista spunta un Voltaire cattolico
Il cattedratico Carlos Valverde si è accorto dalla lettura di una rivista illuminista che il celebre filosofo anticattolico Voltaire, morì nelle fede. Ma l'intellighentia giacobina che lo eresse a vate, si "dimenticò" sempre di questo piccolo dettaglio.
François-Marie Arouet (1694-1778) si firmava con lo pseudonimo Voltaire e si sa quale fosse il suo sport preferito: sparare ad alzo zero contro il cristianesimo. Sua è la celebre frase «Écrasez l’infâme!» (schiacciate l’infame, cioè, soprattutto, la Chiesa cattolica). Tuttavia, come Napoleone (ma anche come Cavour), in fin di vita volle il prete. Sì, perché non si sa mai. Non sarà il primo – e neanche l’ultimo - di quelli che, dopo aver dato il corpo e le opere al diavolo, danno almeno l’anima a Dio. In effetti, comunque, la notizia della sua conversione in articulo mortis è una novità, segnalata dall’agenzia Aleteia.org del 16 novembre 2017.
Se ne è accorto il cattedratico Carlos Valverde, consultando il volume XII di una antica rivista francese: Correspondance littéraire, philosophique ed critique (1753-1793). Nel numero di aprile 1778, alle pagine 87-88, ecco il documento di pugno (o dettato) da Voltaire in persona: «Io sottoscritto dichiaro che avendo vomitato sangue quattro giorni fa, all’età di ottantaquattro anni, e non essendo potuto andare in chiesa, il parroco di Saint Sulpice ha voluto aggiungere alle sue buone azioni quella di inviarmi il signor Gauthier, sacerdote. Mi sono confessato con lui, e se Dio dispone di me, muoio nella santa religione cattolica nella quale sono nato sperando che la misericordia divina si degni di perdonare tutti i miei errori, e se ho scandalizzato la Chiesa chiedo perdono a Dio e a lei. Firmato: Voltaire, 2 marzo 1778 in casa del marchese de Villevielle, alla presenza del signor abbé Mignot, mio nipote, e del signor marchese di Villevielle, mio amico».
Voltaire morì il 30 maggio successivo, e nulla lascia pensare che abbia cambiato idea rispetto a quel 2 marzo. Straordinaria professione di fede di uno che aveva dedicato la vita, con le armi dell’ironia e del sarcasmo, a vomitare odio sulla Chiesa e il cristianesimo. Certo, l’animo umano è insondabile. O forse, semplicemente, la paura fa novanta. Può trattarsi di una bufala, questa conversione sul filo di lana? Non pare, perché la rivista in questione era edita da enciclopedisti come Diderot e Grimm. Poi perché riporta in calce quest’altro documento: «Dichiariamo la presente copia conforme all’originale, rimasto nelle mani del signor abbé Gauthier e che entrambi abbiamo firmato, come il presente certificato. Parigi, 27 maggio 1778. L’abbé Mignot, (il marchese di) Villevielle». La rivista, nel numero che riporta la morte di Voltaire, si spertica in lodi per quest’ultimo, «il più grande, il più illustre, forse l’unico monumento di quest’epoca gloriosa in cui tutti i talenti, tutte le arti dello spirito umano sembravano essersi elevati al più alto grado di perfezione».
Nel numero di giugno compare una lettera del priore dell’abbazia di Scellières al vescovo di Troyes. Questi aveva proibito che Voltaire fosse sepolto nell’abbazia, come richiesto dalla sua famiglia, ma il priore gli fa presente che, essendogli stata presentata la professione di fede che Voltaire scrisse (o dettò) il 2 marzo, non poteva in coscienza respingere la richiesta. Anche questo documento, dunque, conferma la conversione volterriana. Il corpo di Voltaire, comunque, in quell’abbazia rimase poco. Pochi anni dopo, nel 1791, la Rivoluzione trionfante, forse ignara di quanto accaduto il 2 marzo 1778 in casa del marchese di Villevielle, lo portò con tutti gli onori al Pantheon parigino, cioè l’antica chiesa di Sainte Geneviève sconsacrata all’uopo, e lo sistemò di fronte a Rousseau, altro Grande Eroe di quell’«epoca gloriosa».