Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Zita a cura di Ermes Dovico
RILEGGIAMO I PROMESSI SPOSI/2

Dalla conversione di Manzoni nascono gli Inni Sacri

Subito dopo la sua conversione Manzoni scrive gli Inni Sacri, uno dei rari esempi di poesia religiosa contemporanea. La sua fede non crolla (anzi si rafforza) dopo la morte dell'amata moglie Enrichetta Blondel, a cui dedica "Il Natale del 1833".

Cultura 05_01_2014
Enrichetta Blondel e Alessandro Manzoni

In età moderna pochi letterati hanno scritto poesie religiose. Chi lo ha fatto è stato, spesso, non capito e accusato di essere troppo incline ad un tono retorico. I suoi versi sono stati, così, declassati al rango di poesia melensa e poco sentita. È il destino riservato agli «Inni sacri» di A. Manzoni, scritti tra il 1812 e il 1817. Frutto della conversione, il progetto doveva includere dodici componimenti dedicati ai momenti centrali della vita di Gesù. Alla fine Manzoni ne compose solo cinque integrali («Il Natale», «Il nome di Maria», «La passione», «La resurrezione», «La pentecoste») e due incompiuti («Ognissanti», «Natale 1833»).

Negli «Inni sacri» la Madonna è figura di primo piano in tutti i componimenti. In perfetta sintonia con la tradizione, la Madre di Dio è partecipe della missione di Gesù, fino ai piedi della croce, e, nel contempo, presente nella storia della Chiesa, fino alla fine dei tempi, vicino a noi tutti figli suoi. Lì, nella grotta, «la mira Madre in poveri/ panni il Figliol compose,/ e nell’umil presepio/ soavemente il pose» («Il Natale»). Come profetizzato, però, un  dolore atroce Le trafiggerà il cuore: ai piedi della croce rimarranno solo Maria e Giovanni, il discepolo prediletto. Ecco perché a Lei, che ha conosciuto il dolore estremo, noi tutti possiamo rivolgerci con le parole di Manzoni: «E tu, Madre, che immota vedesti/un tal Figlio morir sulla croce,/per noi prega, o regina de’ mesti,/che il possiamo in sua gloria veder;/che i dolori, onde il secolo atroce/fa de’ boni più tristo esiglio,/misti al santo patir del tuo Figlio,/ci sian pegno d’eterno goder» («La passione»).

A «Il nome di Maria», che la tradizione cristiana declama nelle preghiere («Salve Regina», «Rosario», …), il Poeta lombardo riserva un intero inno sacro (1812-1813), forse il più bello, ma «stranamente» anche poco conosciuto. Sentiamo alcuni versi in cui Manzoni attesta che la profezia «Tutte le genti» la «chiameranno beata» si è adempiuta: «E detto salve a lei, che in reverenti/accoglienze onorò l’inaspettata,/Dio lodando, esclamò: Tutte le genti/mi chiameran beata». Noi, oggi, siamo senz’altro «testimoni che alla tua parola/obbediente l’avvenir rispose,/[…] Noi sappiamo, o Maria, ch’Ei solo attenne/l’alta promessa che da Te s’udìa,/ei che in cor la ti pose: a noi solenne/è il nome tuo, Maria». Ogni popolo ha conosciuto la grandezza della Madonna, la «Vergine, […] Signora, […] Tuttasanta». A Lei ricorrono il bambino, nelle «paure della veglia bruna», a Lei «ricorre il navigante». A lei «la femminetta … della sua immortale/ alma gli affanni espone».  La Madonna ascolta le nostre suppliche e le nostre preghiere «non come suole il mondo». A Lei ogni popolo canti: «Salve, o degnata del secondo nome,/o Rosa, o Stella, ai periglianti scampo,/inclita come il sol, terribile come/oste schierata in campo». Solo una vera e profonda devozione mariana potrebbe partorire versi di tale bellezza e di tale forza espressiva. Nel contempo, soltanto un lettore devoto e grato alla Madonna avverte la verità di questa poesia, non certo «retorica», ma solenne, come si addice alla «Madre di tutti i viventi».

Ne «La pentecoste» Manzoni ricorda la nascita della Chiesa dopo la discesa dello Spirito Santo che ha vivificato e rafforzato l’animo degli apostoli che hanno avuto il coraggio di uscire dai luoghi nascosti dove si rintanavano per annunciare il vangelo. Tutte le genti da allora hanno sentito annunciare la buona novella nella loro lingua. Da allora sono cambiati il mondo, la cultura, la visione stessa dell’uomo, perché Cristo ha fatto nuove tutte le cose: «Nova franchigia annunziano/ I cieli, e genti nove;/ Nove conquiste, e gloria/ Vinta in più belle prove;/ Nova, ai terrori immobile/ E alle lusinghe infide./ Pace, che il mondo irride,/ Ma che rapir non può». Discenda ancora lo Spirito santo, questa è la preghiera del Manzoni, nel cuore dei superbi e degli infelici, della donna partoriente e della monaca, del giovane e dell’anziano.

Vent’anni dopo, nel 1833, proprio nel giorno di Natale morirà l’amata moglie Enrichetta Blondel. Per la circostanza comporrà l’inno sacro «Il Natale del 1833» che non verrà mai terminato. La verifica della fede consiste nel riconoscere presente Cristo nelle circostanze che ci capitano, liete o drammatiche che siano. La fede illumina con un’intelligenza nuova quanto ci accade. Manzoni si trova ora ad affrontare, proprio nel giorno della nascita del Signore, la morte della persona a lui più cara, a cui deve molto anche nel suo cammino di conversione. I suoi pensieri proveranno a tradursi in parola, ma inutilmente. Entrambe le redazioni che scaturirono, quella pressoché immediata e quella redatta nel 1835, saranno incomplete. Il Mistero della morte proprio in concomitanza del Mistero della nascita del Salvatore è, se possibile, ancor più foriero di dolore e di domanda.

Nella seconda stesura, composta da cinque stanze, Manzoni parla direttamente con il Mistero che si è fatto carne, Gesù, apostrofandolo con il «Tu». Se ne «Il 5 maggio» era il Dio che «atterra e suscita», ora è un Dio  ancor bambino, ma pur sempre «terribile» e «severo» nei suoi giudizi imperscrutabili. Così Manzoni si rivolge a Lui: «Tu pur nasci a piangere,/ ma da quel cor ferito/ sorgerà pure un gemito,/ un prego inesaudito». Gesù salirà sul monte per morire crocefisso. Manzoni non trova parole adeguate, ma dialoga con il Mistero fattosi carne e che ha condiviso con noi la miseria umana per avere da Lui risposte. È un dialogo vissuto nell’attesa che questo Dio si riveli anche lì, in quel dolore.

Nella lettera al Granduca di Toscana, scritta due mesi dopo la morte della moglie, Manzoni scrive: «Confesso che mi pareva che dal sentimento dell'amore fosse agevole immaginare il sentimento della perdita, ma veggo ora che la sventura è una rivelazione tanto più nuova quanto più è grave e terribile». Al Granduca che gli scriverà più tardi «quanto ci sia di misericordia» in ciò che «il Signore comanda» Manzoni replicherà: «Il cuore mormora, quasi senza avvedersene, anche quando la ragione adora». La reazione di Manzoni all’evento del trapasso della moglie è una domanda, un grido, qui espresso come un mormorio rivolto al Mistero, pronunciato di fronte ad una presenza. La fede nasce da un incontro, attraverso la testimonianza di un uomo che con tutta la sua umanità, pur imperfetta, rende visibile l’eccezionalità di Cristo, unica risposta all’umana domanda di pienezza e di felicità. Per questo la fede è il riconoscimento di un fatto già presente.