Dagli ostaggi al piano di Trump, ancora tensioni Israele-Hamas
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Nuova disumana sceneggiata da parte di Hamas per la liberazione di tre ostaggi israeliani. E anche Israele cade in un errore simile. Rubio ha incontrato Netanyahu per discutere del piano di Trump sulla Striscia di Gaza. E intanto precipita la situazione in Cisgiordania.
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La nave è attraccata la notte tra sabato e domenica nel porto di Ashdot, a circa 40 chilometri da Tel Aviv. Portava un carico d’armi che l’ex presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, aveva bloccato ma per il quale il nuovo capo della Casa Bianca ha dato, invece, il via libera. Il carico di bombe, munizioni e altro materiale da guerra è stato sistemato su decine di camion e smistato nelle varie basi aeree israeliane. «Ringrazio il presidente Donald Trump e l'amministrazione statunitense per il loro incrollabile sostegno allo Stato di Israele. Continueremo a lavorare insieme per rafforzare la nostra sicurezza», ha dichiarato il ministro della Difesa, Israel Katz.
E di sicurezza hanno parlato, sempre ieri, Marco Rubio, neo segretario di Stato degli USA e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Il tema principale del colloquio: la proposta di Trump di realizzare sulla Striscia di Gaza una “Riviera del Medio Oriente” e di prenderne il controllo, proposta messa all’ordine del giorno anche nei colloqui che Rubio avrà negli Emirati Arabi Uniti e in Arabia Saudita. Al termine dell’incontro con Marco Rubio, Netanyahu ha dichiarato: «Sull’Iran finiremo il lavoro iniziato. E lo faremo con il sostegno di Trump». E se il carico di armi giunto nel porto di Ashdot servisse per sferrare un attacco all’Iran?
Altro particolare: il segretario di Stato americano non incontrerà Abu Mazen non ritenendolo necessario in quanto, nella visione di Trump, la ricostruzione di Gaza avverrà senza i palestinesi.
La diplomazia dei Paesi arabi è in piena attività. La proposta del presidente americano è già stata respinta al mittente e giudicata irricevibile. Egitto, Emirati Arabi, Giordania e Qatar si incontreranno il prossimo 20 febbraio a Riad, capitale dell’Arabia Saudita, dove prossimamente dovrebbe avere luogo anche il faccia a faccia tra Trump e Putin, per i colloqui di pace sul conflitto Russia-Ucraina. Al summit sarà presente anche Abu Mazen e si dovrebbero gettare le basi per una proposta condivisa da sottoporre poi ai vertici della Lega Araba. In quell’occasione si parlerà anche della costituzione di un fondo comune per la ricostruzione della Striscia di Gaza, in buona parte distrutta dopo ben 500 giorni di guerra.
Anche i capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme, ribadendo la richiesta della liberazione di tutti gli ostaggi, hanno preso posizione contro il piano di Trump che prevede l’esodo di massa della popolazione di Gaza, definendolo «un'ingiustizia che colpisce al cuore la dignità umana».
Il segretario di Stato americano è atterrato a Tel Aviv poche ore dopo che nella Striscia di Gaza si è tenuta l’impietosa sceneggiata, da parte di Hamas, della liberazione di altri tre ostaggi israeliani, detenuti in qualche tunnel da quel tragico 7 ottobre 2023. Scesi da un furgone bianco, attorniato da uomini armati, gli ostaggi sono stati fatti salire su un palco allestito a Khan Yunis e lì immortalati dalle telecamere. Tra le bandiere di Hamas e della Jihad islamica palestinese “gli spettatori” innalzavano anche cartelli con la scritta: «Nessuna migrazione tranne che a Gerusalemme», una risposta alla proposta di Trump di trasformare la Striscia in una “Riviera del Medio Oriente”. “Riviera” che dovrebbe essere costruita su un cimitero a cielo aperto, dove, sotto le macerie, si trovano migliaia di dispersi. Hamas ha anche costretto un ostaggio israeliano, Iair Horn, a tenere in mano una clessidra con la didascalia «Il tempo sta per scadere», accanto alle foto dell'ostaggio israeliano Matan Zangauker.
Ugualmente Israele ha messo in scena uno spettacolo impietoso: prima della loro liberazione i prigionieri palestinesi sono stati fatti mettere in ginocchio e fotografati con addosso una felpa color bianco con impressa la Stella di Davide e la scritta: «Non dimenticheremo, né perdoneremo». Magliette che i palestinesi, appena liberati, hanno dato alle fiamme al loro arrivo all’European Hospital di Khan Yunis, a Gaza. Esibizioni, sia da parte israeliana che di Hamas, che ostentano sicurezza, ma che contrastano con la drammaticità della situazione: il disprezzo per la vita umana e la noncuranza per gli innumerevoli palestinesi uccisi da questa assurda guerra.
A Tel Aviv, a Gerusalemme e nel resto del Paese, gli israeliani erano davanti agli schermi televisivi. Nonostante l’impietoso spettacolo proveniente da Gaza, un lungo applauso liberatorio è risuonato nella piazza centrale di Tel Aviv, ribattezzata Piazza degli Ostaggi, nel momento in cui sono apparsi i tre prigionieri. E lo stesso spettacolo, con canti e slogan, si è verificato anche per i 369 palestinesi liberati dagli israeliani. Ventiquattro di loro, quelli con le condanne più gravi, saranno deportati in Egitto e da lì in altri Paesi, mentre gli altri ritorneranno a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Proprio in questa zona della città l’esercito ha lanciato dei lacrimogeni per impedire le manifestazioni di accoglienza di un prigioniero. Secondo la Mezzaluna Rossa palestinese, quattro dei prigionieri rilasciati versano in condizioni molto critiche e sono stati ricoverati nell’ospedale di Ramallah.
«Oggi sono ritornati in Israele tre dei nostri rapiti: li accogliamo con un grande abbraccio. Anche questa settimana Hamas ha cercato di contravvenire all'accordo e provocare una crisi con false accuse. Grazie al nostro esercito, dentro e intorno a Gaza, e grazie alla presa di posizione chiara del presidente Trump, Hamas ha fatto marcia indietro e il rilascio dei rapiti è proseguito», ha dichiarato il premier israeliano. Delle 251 persone prese in ostaggio, 73 si trovano ancora a Gaza e, tra queste ultime, almeno 35 sarebbero morte.
Netanyahu, però, è sotto pressione da parte dei familiari degli ostaggi ancora in mano ad Hamas. Secondo un sondaggio, pubblicato ieri, la maggioranza degli israeliani vuole che il governo raggiunga un’intesa a tutti i costi per riportare a casa i prigionieri. Secondo gli accordi sottoscritti tra Israele e Hamas con la mediazione di Stati Uniti, Egitto e Qatar, i sei israeliani ancora vivi nella “lista dei 33” devono essere rilasciati il 22 febbraio (tre) e i rimanenti l’1 marzo. Ma Israele e Stati Uniti stanno facendo pressioni, anche con minacce, affinché Hamas liberi tutti gli ostaggi ancora detenuti, e consegni anche le salme.
Il cessate il fuoco sta portando una boccata di ossigeno tra gli abitanti della Striscia. Molte persone stanno facendo rientro nel nord di Gaza trovando, però, solamente distruzione e macerie. «Circa in 600.000 sono tornati a ciò che resta delle loro case nel nord di Gaza e quello che doveva essere un momento di ricongiungimento si è trasformato in una sorta di trappola. Le persone sono ancora preoccupate per ciò che potrebbe accadere in futuro. Anche con il cessate il fuoco, nel nord c’è una capacità limitata di soddisfare i bisogni umanitari come alloggio, cibo, igiene e acqua», spiega un membro del gruppo di Azione Contro la Fame a Gaza. Netanyahu, tra l’altro, non ha autorizzato l’ingresso di automezzi che trasportavano case mobili e macchinari per rimuovere le macerie.
Nel frattempo, la situazione sta precipitando in Cisgiordania. Le forze armate israeliane e i coloni hanno continuato nelle loro incursioni e nei loro attacchi contro i civili in varie parti della Palestina occupata. Fonti dell'Autorità Nazionale Palestinese affermano che circa trentamila palestinesi hanno evacuato i campi profughi nella Cisgiordania settentrionale dopo le operazioni militari israeliane. Sebbene l'IDF affermi di non avere una politica di sfollamento, resoconti da Jenin e Tulkarem indicano che le forze israeliane stiano direttamente o indirettamente causando la fuga in massa dei residenti.