Dagli immigrati alle tasse, a Pontida torna la Lega di lotta
Nell’annuale festa del Carroccio, davanti a una platea più numerosa che mai, Salvini ha promesso un referendum se il governo giallorosso cambierà il decreto sicurezza. Il leader leghista ha rilanciato il tema della flat tax e quello della modifica, in senso maggioritario, della legge elettorale.
Le spiegazioni dietrologiche sulla repentina operazione trasformistica che ha portato il Movimento Cinque Stelle a cambiare partner di governo e a creare un nuovo esecutivo sempre a guida Giuseppe Conte si sprecano e si perdono lungo la traiettoria che da Roma conduce a Bruxelles. Che l’Europa sia in generale più malleabile nei confronti dell’Italia, sia sul versante dell’immigrazione, con un accordo più equilibrato per la gestione degli sbarchi e un’equa divisione tra i diversi Paesi per quanto riguarda i flussi migratori, sia sul versante finanziario, con una rinegoziazione del Patto di stabilità, è un dato di fatto.
Ma che cosa ha fatto cambiare atteggiamento all’asse franco-tedesco dominante in Europa rispetto al trattamento da riservare al nostro Paese? È molto semplice: Conte, con un’abile e spregiudicata operazione di palazzo, che ha avuto fin dall’inizio il placet del Quirinale, ha defenestrato i sovranisti alla Salvini e ha ricreato in Parlamento una maggioranza europeista. Dunque, l’Italia ora sta incassando dalle cancellerie europee e dai mercati il credito che ha maturato per aver fatto fuori un ministro dell’Interno scomodo come il Capitano e per aver mandato in frantumi una maggioranza giallo-verde critica nei confronti della governance del Vecchio Continente.
Indubbiamente i pentastellati, appoggiando l’elezione di Ursula von der Leyen a presidente della Commissione Europea, erano già saliti sul carro europeista e quindi Matteo Salvini avrebbe dovuto fiutare l’aria e non avventurarsi in una crisi che lo avrebbe fatalmente portato all’estromissione dal circuito governativo, senza la minima possibilità di un rapido ritorno alle urne.
Ecco perché ora il leader del Carroccio ha rispolverato i toni khomeinisti della Lega di lotta. E lo ha fatto ieri a Pontida, in provincia di Bergamo, dove si è tenuta la rituale festa della Lega, nata per celebrare il Giuramento di Pontida che, nel 1167, portò alla nascita della Lega Lombarda contro Federico Barbarossa. «Il presidente del Consiglio - ha tuonato Salvini - ha svenduto l’Italia a Macron e alla Merkel. Se toccano il decreto sicurezza ci mobiliteremo. Sono traditori rinchiusi nei palazzi. È un governo di poltronari presieduto da un servitore di due padroni (il riferimento è a Merkel e a Macron, ndr)».
Davanti a una platea più numerosa che mai, l’ormai ex ministro dell’Interno ha rilanciato il tema dell’immigrazione: «L’Italia rischia di tornare a essere un campo profughi. Se smonteranno il decreto sicurezza faremo un referendum: sarà il popolo contro il palazzo. Non raccoglieremo 500.000 firme per il referendum, raccoglieremo 5 milioni di firme per difendere i sacri confini del Paese, perché i nostri non sono morti sul Piave per avere i confini aperti».
Ma Salvini è convinto che il Conte-bis non avrà vita lunga e che presto ci saranno elezioni anticipate. Su un piano più politico, il leader leghista ha riaffermato l’idea della flat tax («sarà il primo provvedimento della Lega al governo») e non ha escluso un altro referendum, quello per cambiare la legge elettorale: «Voglio un sistema maggioritario: chi ha un voto in più governa, e lo si sa la sera stessa delle elezioni». Ovvio l’intento del leader leghista - che, sondaggi alla mano, guida il primo partito italiano - di capitalizzare questo vantaggio facendo il pieno di seggi con un sistema elettorale che peraltro è lo stesso che voleva Matteo Renzi anni fa quando aveva portato il Pd al 40,8% (europee del 2014).
Nel discorso del segretario della Lega c’è stata poi anche una stoccata per i Cinque Stelle: «Su Di Maio non cambio idea, è un amico anche se cambia fronte. Ma non condivido le sue scelte: mi spiace vedere che l'evoluzione dei 5 stelle si trasformi nel cappello in mano in Umbria per una poltrona». Proprio ieri, infatti, il nuovo ministro degli Esteri ha lanciato un appello al Pd e alle altre forze di sinistra per una sorta di alleanza civica in vista delle regionali umbre. E dal Nazareno continuano ad arrivare segnali di grande attenzione all’evoluzione del mondo pentastellato perché i dem sperano in questo modo di evitare l’annunciata debacle sia in Umbria che nelle altre regioni chiamate al voto nei prossimi mesi (Emilia Romagna in primis, ma anche Calabria e, più avanti, Toscana e Puglia).
Intanto Salvini, con le esternazioni di ieri a Pontida, dedicate anche alla difesa della famiglia e condite da richiami alle parole di alcuni Pontefici, ha riannodato in pieno i fili del suo rapporto con l’elettorato e si prepara alla battaglia d’autunno contro «il governo delle tasse e degli immigrati». E ha anche ricompattato, almeno all’apparenza, il suo partito, riconoscendo ai suoi predecessori Umberto Bossi e Roberto Maroni di aver sempre creduto nella Lega e nella sua missione politica. Un buon viatico per riprendere in mano fino in fondo le redini dell’opposizione di centrodestra.