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Da Wikileaks ne esce bene la diplomazia vaticana

Uno studio dei documenti pubblicati dimostra come la Santa Sede goda agli occhi degli Usa di un prestigio diplomatico tutto particolare. Libertà religiosa, sviluppo dei Paesi poveri, sforzi di pace: così si conferma il ruolo di attore globale.

Attualità 14_12_2010
san pietro
 
Nelle rivelazioni di Wikileaks gli elementi di facciata finiti sulla stampa hanno oscurato la sostanza di documenti che, essendo autentici, danno una visione della diplomazia vaticana ben diversa da quella apparsa sui giornali.

Non possiamo che dare una rapida sintesi degli elementi che sono sfuggiti all’attenzione mediatica, e che pure si ritrovano nei documenti vaticani di Wikileaks.

Il 3 luglio 2001 il Dipartimento di Stato svolge per le ambasciate americane all’estero un lungo riassunto della politica vaticana. Fra i tanti elementi che compaiono in questo dispaccio ne emergono alcuni davvero interessanti: il Vaticano «appoggia lo sviluppo del Terzo Mondo e l’esenzione dal debito per i Paesi più poveri»; si oppone agli embargo e lo fa per ragioni umanitarie; favorisce il dialogo tra le fedi religiose. Sul Medio Oriente, il Vaticano tiene certamente alla tutela dei Luoghi Santi, compresa Gerusalemme.

Colpisce poi quello che si dice a proposito della Cina: «La Santa Sede – scrive il Dipartimento di Stato – ha eccellenti fonti di informazione sui dissidenti, sui diritti umani, sulla libertà religiosa e sul controllo governativo sulla popolazione». Se si tiene contro delle difficili relazioni con Pechino dell’epoca, non ci sembra questo un elemento trascurabile. Ma è lo sguardo sovranazionale del Vaticano ad affascinare gli americani: «I vescovi, per non parlare dei gruppi missionari indipendenti, danno all’ambasciata vaticana (sic!) una prospettiva unica sugli eventi all’interno della Cina». E in India? Anche in questo quadrante, dopo le recenti violenze anticristiane, «Il Vaticano, i vescovi locali […] e varie organizzazioni missionarie sono e continueranno a essere osservatori attenti degli abusi sui diritti umani e dei relativi sviluppi».

Anche nella Corea del Nord si ha notizia di organizzazioni di soccorso cattoliche che visitano periodicamente il paese, mentre nella regione dei Grandi Laghi, in Africa, il Vaticano sostiene l’opera della Comunità di Sant’Egidio, che svolge «un ruolo importante negli sforzi internazionali per mediare nella crisi, tenendo il Vaticano informato dei suoi sforzi».

A Cuba dopo la visita del Papa, il Vaticano attende il momento in cui Fidel Castro lasci la scena; anche se teme che «la sua sostituzione possa invero essere peggiore». Ma è anche vero (e lo rivela un dispaccio posteriore, datato 22 aprile 2009) che, secondo la diplomazia vaticana, migliori relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti potrebbero ottenere l’effetto di isolare il pericolo rivoluzionario rappresentato da Chavez e dai suoi accoliti. Peraltro, come dice un altro documento dell’era Obama (datato 26 giugno 2009), «la Chiesa è a Cuba l’unica maggiore istituzione indipendente dal governo» e «il Vaticano spera in una transizione alla democrazia a Cuba».

Fra le altre attività umanitarie, Washington sa bene che il Vaticano si occupa anche di combattere il traffico di esseri umani (si cita l’arcivescovo di Pescara, come particolarmente attivo in questo campo), che non ha una posizione allineata agli Stati Uniti sull’Iraq, e che contrasta  la pena di morte.

Passando alle questioni europee (così informa un dispaccio da Washington del 18 agosto 2004) è evidente che il Vaticano è favorevole all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea, qualora osservi i parametri Copenaghen. Certamente, l’allora cardinale Ratzinger aveva espresso alcune riserve in merito alla portata di una tale adesione. Ma va aggiunto (e i documenti di Wikileaks lo confermano) che, diventato Papa, Ratzinger si mostra non meno deciso del suo predecessore nel favorire la piena partecipazione turca all’Unione Europea (come prova un dispaccio dell’ambasciata americana in Vaticano del 7 dicembre 2006).

Non meno positivo è il quadro che si ricava da questi documenti di Wikileaks, quando si affronta il nodo dei rapporti tra il Vaticano e le Nazioni Unite (ne parla sempre il Dipartimento di Stato in un dispaccio del 20 agosto 2004). Al Palazzo di Vetro la diplomazia vaticana è impegnata a combattere il turismo sessuale, soprattutto quello a danno dei minori, a favorire gli aiuti per i Paesi più poveri, a promuovere iniziative che riformino il sistema internazionale, rafforzando l’efficacia degli aiuti umanitari, a rafforzare la condanna dell’antisemitismo fra i paesi democratici, e a far sì che in proposito le Nazioni Unite emanino un’apposita dichiarazione proprio come ha fatto l’OSCE.

Interessanti appaiono, pur nelle reciproche differenze, i rapporti del Vaticano con la Spagna di Zapatero. Il 19 luglio 2007, in occasione del viaggio del Papa in Spagna, l’ambasciata americana in Vaticano nota che Benedetto XVI «ha optato per un rispettoso dialogo in merito agli attacchi aperti contro la politica del Governo spagnolo sul matrimonio dei gay, sul divorzio e sull’aborto». Il messaggio papale, in cui si riafferma il pensiero della Chiesa, è rivolto «all’intero mondo occidentale, e non solo alla Spagna».

Certamente, ci sono diversi altri problemi che agli occhi americani (ma sono occhi di osservatori esterni, dopo tutto) appaiono come irrisolti: come ad esempio il problema delle relazioni ebraico-cattoliche, con annessa la questione della beatificazione di Pio XII. Ma, alla vigilia del viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa, un dispaccio dell’ambasciata americana presso la Santa Sede (datato 27 gennaio 2009) nota come i responsabili delle relazioni ebraico-cattoliche siano molto attenti a queste relazioni e che il Pontefice ha giocato il tutto per tutto in questa partita, dato che le buone relazioni tra cattolici ed ebrei «possono contribuire a combattere l’antisemitismo».

Non deve quindi sorprendere che agli occhi di Washington il Vaticano goda di un prestigio diplomatico tutto particolare. In previsione della visita del nuovo Presidente americano Obama a Roma, dall’ambasciata americana in Vaticano, il 26 giugno 2009, si fa notare che «il Vaticano è secondo solo agli Stati Uniti nel numero di Paesi con cui intrattiene relazioni diplomatiche (188 e 177 rispettivamente)», che il Papa si è immediatamente compiaciuto e congratulato col presidente per la sua elezione, che L’Osservatore Romano è un giornale amico, e che al Vaticano è particolarmente piaciuta la posizione di Obama sui diritti umani e sulla chiusura della prigione di Guantanamo. L’ambasciata informa altresì il presidente che il Papa è promotore della libertà religiosa a livello internazionale e che apprezza l’appoggio americano su questo terreno. Benedetto XVI, inoltre, «gode del rispetto anche dei non cattolici», ed è quindi «un megafono morale che non ha confronti».

Il Vaticano, si ribadisce anche in queste note, «è stato molto esplicito circa la protezione dei popoli più vulnerabili del mondo dal danno causato dalla crisi finanziaria globale», e ha anche accolto positivamente l’appello del presidente Obama per «eliminare le armi nucleari». Dal punto di vista religioso, la Santa Sede «ha lavorato per decenni al miglioramento della comprensione col mondo islamico», e dopo l’undici settembre ha anche avviato delle discussioni interconfessionali, come pure dopo il discorso di Ratisbona.

Anche in merito ai cambiamenti climatici, sono interessanti le osservazioni americane (appena del 21 gennaio 2010) sulla posizione del Vaticano: esso vuole che il processo di Copenaghen vada avanti, e ha a cuore la protezione dell’ambiente.

Nessuna sorpresa e molte soprese, si direbbe, da questi dispacci di Wikileaks. Ci si è spesso soffermati sulle “luminarie” mediatiche senza soffermarsi sugli spunti di riflessione che questi documenti potevano offrire. A nostro modesto avviso, anche a una loro lettura superficiale, la diplomazia vaticana esce confermata, da questi documenti, in un prestigio morale e diplomatico veramente notevole.

Ma quello che è sfuggito ai più è anche un altro elemento, che diremmo di prospettiva. La Chiesa cattolica è per natura prismatica: ragiona, pensa e parla avendo come riferimento i millenni, molte civiltà e molte lingue, come pure emerge dai dispacci di Wikileaks. Aver concentrato l’attenzione (e, quel che è peggio, imbastito tesi) solo su quello che pensavano gli americani ci è parso del tutto fuorviante. Ragion per cui, ancora una volta, lo studioso deve essere cauto, perché è ancora sprovvisto degli strumenti necessari a una comparazione, possibile solo con l’apertura del maggior numero di documenti possibile. Quello che leggiamo in Wikileaks, come ha detto il direttore della Sala stampa vaticana, riflette pertanto le percezioni degli autori di quei documenti. Che non sono necessariamente infondate, come abbiamo visto da un’indagine più approfondita. Ma che, pure, non sono ancora avvalorate dal necessario confronto di carte, così caro agli storici. Ma anche a molti giornalisti.

*Professore Associato di Storia delle Relazioni Internazionali, Università degli Studi "G. Marconi", Roma