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SILENZIATO DOPO TANTI ONORI

Da icona a reprobo: che incoerenza ecclesiale su Bianchi

Il Domani svela una lettera di Parolin ai vescovi che chiama le diocesi a non invitare Enzo Bianchi. L'ex "priore" di Bose è da isolare non perché abbia espresso una teologia pericolosa, ma per comportamenti inadatti non specificati. Eppure, quando diocesi e editrici cattoliche facevano a gara per contendersi le sue affermazioni eterodosse, dalla Chiesa ufficiale non arrivava nessuno stop.  

Editoriali 06_05_2022

Ogni fedele cattolico, proprio perché sa di essere purtroppo incoerente, apprezza negli organismi della Chiesa la coerenza. A proposito degli ultimissimi sviluppi del caso Enzo Bianchi questa coerenza non si è vista e a farne le spese, ancora purtroppo, sono gli organi ecclesiastici vaticani, in questo caso la Segreteria di Stato.

Quali sono questi ultimissimi sviluppi? È venuta alla luce, in quanto pubblicata dal quotidiano il “Domani”, una lettera del Segretario di Stato Pietro Parolin del gennaio 2020 nella quale si invitano i vescovi italiani a considerare se sia opportuna la presenza di Enzo Bianchi in diocesi come conferenziere o predicatore. Nella sua lettera Parolin fa riferimento ad alcune nuove “testimonianze” e “documentazioni” che sarebbero arrivate alla Segreteria di Stato dopo il decreto, risalente a due anni fa, con cui la Santa Sede estrometteva Bianchi dalla Comunità di Bose da lui fondata. La lettera non chiarisce quali siano queste novità, ma esprime una chiara insistenza affinché a Enzo Bianchi sia tolta la platea. In altre parole una messa al bando dalla Chiesa visibile.

Non ho avuto mai simpatia per le posizioni teologiche e morali espresse in tutti questi anni da Enzo Bianchi – tutt’altro! - però non si può non notare il repentino cambio di prospettiva da parte della Chiesa ufficiale che lascia molto perplessi proprio in fatto di coerenza.

Enzo Bianchi è stato per anni osannato. La formazione del clero di Biella, la diocesi del monastero di Bose, era completamente in mano sua. Fior fiore di cardinali si recavano in pellegrinaggio a Bose per avere i suoi consigli. Non c’era convegno ecclesiale nel quale Bianchi non fosse relatore ufficiale. Si era perfino parlato di una sua ordinazione cardinalizia. Le vetrine delle librerie delle Paoline da decenni espongono soprattutto i libri di Enzo Bianchi, che per presenza in primo piano ha senz’altro battuto perfino il cardinale Ravasi, che da questo punto di vista sembrerebbe non essere secondo a nessuno. Il suo faccione barbuto ha campeggiato nella copertina dei suoi numerosissimi libri, che gli editori cattolici si contendevano, come una grande icona ecclesiale, il biglietto da visita del cattolicesimo moderno e del futuro. Il monastero da lui fondato non aveva veste giuridica ecclesiale, Bianchi non era (come non è) né religioso né sacerdote, eppure era considerato un punto di riferimento insostituibile del cattolicesimo.

Egli collocava i suoi concetti sempre sul confine dell’eterodossia. Quando  Benedetto propose i suoi principi non negoziabili, Bianchi elencò i propri, naturalmente diversi da quelli del papa. Gridò di smetterla con tutti questi discorsi contro l’omosessualità, dato che Cristo non ne aveva mai parlato. Nonostante tutto questo – anzi proprio per tutto questo – però la sua stella rimaneva in ascesa, gli inviti alle conferenze e ai convegni continuavano e nessun Segretario di Stato o Prefetto di qualche dicastero vaticano si era mai permesso di criticarlo né naturalmente di interdirne la presenza nelle diocesi. Certo, c’è stato anche chi lo ha accusato pubblicamente di dire cose sbagliate, come ha fatto senza timori reverenziali mons. Antonio Livi, ma l’opinione pubblica ecclesiale era dalla parte di Bianchi e non da quella di Livi.

Ora, invece, gli viene interdetto di parlare in pubblico. E per di più non risulta che ciò sia dettato da motivi dottrinali. Il riferimento della lettera di Parolin a fatti che in questi ultimi anni sarebbero venuti a galla e che non ci è dato di conoscere, motivano il riserbo. Tuttavia da qualche affermazione della lettera, sembra che l’esilio sia motivato non da errori dogmatici espressi da Enzo Bianchi, ma da comportamenti scorretti dal punto di vista disciplinare e pastorale, nel campo dell’esercizio dell’autorità e delle relazioni umane. Si sarebbe capita una dichiarazione della Congregazione della Fede su gravi passaggi di alcuni suoi libri e, di conseguenza, l’invito ai vescovi a non invitarlo più in diocesi. Questo invece non si è verificato, mentre ora arriva la chiusura dei microfoni e lo spegnimento dei riflettori non per errori dottrinali del suo pensiero, ma per taluni comportamenti. Questo segno ecclesiale dei tempi di oggi lascia perplessi: un vescovo oggi viene destituito non perché insegna dottrine erronee, ma perché non collabora pastoralmente con i suoi confratelli all’interno della Conferenza episcopale. Così Enzo Bianchi è da isolarsi non perché abbia espresso una teologia inattendibile e pericolosa, ma per comportamenti inadatti (e non specificati).

Contemporaneamente all’allontanamento di Enzo Bianchi e al suo isolamento, tantissimi altri Enzo Bianchi sono lasciati al loro posto a pontificare. La Germania di oggi è piena di teologi, professori, conferenzieri, vescovi che le dicono anche più grosse di Enzo Bianchi. Nessun podio viene interdetto al famoso gesuita James Martin. Le vetrine delle librerie delle Paoline, ora che devono togliere i libri di Enzo Bianchi, rimarranno lo stesso piene di testi problematici, inaffidabili e spesso sul crinale dell’eterodossia esplicita.