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MESTIERI & LETTERATURA / 14

Da Giuseppe a Geppetto, il falegname tra realtà e fantasia

Tra i santi è san Giuseppe il falegname più celebre, cui i Vangeli si riferiscono con il termine più ampio di téktōn. Nella letteratura, invece, il falegname più conosciuto è Geppetto. Famosa l’interpretazione che ne diede il cardinal Biffi. E centrale è questo mestiere anche nel leopardiano Il sabato del villaggio.

Cultura 27_12_2022

Se san Servazio, ricordato il 13 maggio, è patrono di fabbri e falegnami, senza dubbio il falegname più celebre del Martyrologium romanum è san Giuseppe, sposo di Maria e padre putativo di Gesù, chiamato nei Vangeli con il termine greco téktōn, che non designa solo il falegname, ma anche il carpentiere o lo scalpellino o comunque un lavoratore nel campo dell’edilizia. Qualunque sia stata precisamente la sua professione, san Giuseppe è stato tramandato alla storia come "il falegname", divenendo lui stesso patrono della categoria.

Nella letteratura italiana il falegname più conosciuto è Geppetto, personaggio del romanzo italiano più venduto di sempre (se si dà credito alle classifiche), ovvero Le avventure di Pinocchio di Collodi, pubblicato nel 1883, divenuto subito best seller e poi long seller, tradotto in duecentosessanta lingue. La storia è arcinota, come famosa è l’interpretazione che il cardinale Biffi ha dato dell’opera nel saggio Contro Maestro Ciliegia. Maestro Ciliegia e Geppetto sono due falegnami.

Il primo ha un pezzo di legno («che gli è capitato» ovvero che, nella sua prospettiva, ha avuto casualmente, senza un motivo preciso) da cui vuole ricavare una gamba per il tavolo e dinanzi alle parole del legno non crede a quanto sente, convinto che possa esistere solo quanto è concepibile nella sua mente. Maestro Ciliegia è, in poche parole, simbolo della riduzione razionalistica della realtà che non concepisce la presenza del mistero della realtà. La realtà non è più percepita come luogo dell’avventura, luogo di accadimento di qualcosa di inaspettato e di esterno, di soprannaturale, che si spalanca a una dimensione più ampia rispetto a quella delle mura visibili. Anzi, nella contemporaneità la realtà è sempre più stretta e il paradosso è che questo è accaduto nell’epoca in cui le scoperte geografiche, scientifiche ed astronomiche hanno dilatato sempre più gli spazi conosciuti. Un mondo sempre più piccolo (rappresentato nella letteratura del Novecento come una ragnatela in Pirandello, un carcere in Sartre, solo per addurre pochi esempi) caratterizza proprio gli anni in cui si sono scoperte la quarta dimensione e la presenza di miliardi di stelle.

Geppetto è, invece, un falegname pieno di creatività, che vuole fabbricare qualcosa di meraviglioso. Così bussa alla porta di Maestro Ciliegia per chiedergli del legno:

Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno: ma un burattino maraviglioso, che sappia ballare, tirar di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchier di vino: che ve ne pare?

Maestro Ciliegia consegna con gioia quel pezzo di legno, che prima aveva offeso Geppetto e ora gli va a colpire gli stinchi, provocando una zuffa tra i due. Fin da subito, quel legno che diventerà poi Pinocchio, si comporta da maleducato e da ribelle verso colui che gli darà una forma e il nome.

Geppetto rientra a casa e inizia a intagliare il legno per farne un burattino cui conferisce il nome di Pinocchio. Scolpisce gli occhi, il naso, la bocca. Gli occhi iniziano a muoversi, la bocca a ridere e a canzonare il falegname.

Geppetto, per non guastare i fatti suoi, finse di non avvedersene, e continuò a lavorare. Dopo la bocca, gli fece il mento, poi il collo, le spalle, lo stomaco, le braccia e le mani. Appena finite le mani, Geppetto sentì portarsi via la parrucca dal capo. Si voltò in su, e che cosa vide? Vide la sua parrucca gialla in mano del burattino.

Geppetto non ha ancora terminato di realizzare Pinocchio e già sperimenta l’insolenza del burattino che lui chiama figlio:

— Birba d’un figliuolo! Non sei ancora finito di fare, e già cominci a mancar di rispetto a tuo padre! Male, ragazzo mio, male! — […] — Me lo merito! — disse allora fra sé. — Dovevo pensarci prima! Ormai è tardi! —

Nonostante l’ingratitudine di Pinocchio, Geppetto gli insegna a camminare. Il burattino incomincia ben presto a muoversi da solo, corre per la stanza e poi scappa. Come ha notato il cardinale Biffi, Geppetto rappresenta Dio e Pinocchio è ciascuno di noi. L’intagliatura del pezzo di legno è segno della creazione. L’uomo è stato dotato di quella libertà che lo rende capace di scegliere tra il bene e il male e gli permette, in maniera orgogliosa e talvolta anche tracotante, di allontanarsi dal Padre Creatore.

La figura del falegname, più in generale quella dell’artista, si avvicina (in parte) a quella di Dio Creatore, come ha sottolineato Torquato Tasso (1544-1595) nei Discorsi dell’arte poetica: come Dio ha creato il mondo, così il poeta scrive l’opera.

Nel grande idillio Il sabato del villaggio, che si apre con un’indimenticabile scena di paese «in sul calar del sole», giocata sull’antitesi di due figure, la «donzelletta» e la «vecchierella», grande è la maestria con cui Leopardi ci stampa nella mente l’imbrunire, l’apparire della recente luna, il suono delle campane che preannunciano la festa, le grida dei fanciulli che rallegrano chi le ascolta, accomunate al fischiettare dello zappatore, solitario, che torna a casa terminato il lavoro. Qualcuno, però, non ha ancora terminato le fatiche, nel silenzio della sera cerca di concludere i propri lavori prima che sia notte:

Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
E tutto l’altro tace,
Odi il martel picchiare, odi la sega
Del legnaiuol, che veglia
Nella chiusa bottega alla lucerna,
E s’affretta, e s’adopra
Di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba.

Tra tutti i lavoratori Leopardi sceglie un mestiere particolare, quello del falegname artigiano, figura oggi quasi del tutto scomparsa, perché i mobili vengono fabbricati quasi del tutto a livello industriale. Il falegname di Leopardi rappresenta l’età adulta con i suoi compiti e le sue responsabilità, un’età che ha perso la dimensione della spensieratezza della fanciullezza e che ha spesso perso la dimensione dell’attesa e dell’entusiasmo, ma brama solo trovare riposo nel giorno festivo.

Quando l’attesa non è seguita dal compimento, spesso subentra la delusione. Quando non accade nulla, oppure noi non vediamo perché abbiamo gli occhi chiusi, la realtà delude. L’età adulta è come la domenica, il giorno di festa. Il consiglio velato e affettuoso che affida Leopardi alle giovani generazioni è di non essere ansiosi che giunga in fretta l’età matura.