Da Giorgia Meloni una scelta familista e inopportuna
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Arianna Meloni, sorella di Giorgia e moglie del ministro Lollobrigida, sarà segretaria politica di Fratelli d'Italia. La stampa di sinistra si è scatenata, come quando contestava a Berlusconi di plasmare Forza Italia a sua immagine. Il problema è l'organizzazione dei partiti, sempre meno democratici.
Arianna Meloni è la nuova responsabile della segreteria politica di Fratelli d’Italia. Di fronte a una notizia del genere, che presta facilmente il fianco a critiche di stampo qualunquistico, occorre contare fino a tre prima di esprimere giudizi che potrebbero risultare ideologici e fuori luogo.
Arianna Meloni è la sorella del Presidente del Consiglio Giorgia ed è anche moglie del Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. Si occuperà non solo del tesseramento e delle liste elettorali, ma anche della verifica delle iscrizioni e della loro regolarità. Inoltre - come detto - sarà responsabile della segreteria politica del partito.
Formalmente l’attuale responsabile dell’organizzazione del partito, Giovanni Donzelli, resterà al suo posto, ma probabilmente nel tempo il suo peso si ridimensionerà nell’economia della struttura organizzativa del partito. Andrea Moi, autore della bella iniziativa del tour nelle piazze per raccontare le iniziative portate avanti dal governo, riceve una delega formale alla comunicazione.
Che cosa c’è di eclatante dopo questi annunci? L’ironia dei giornali anti-governativi si è ovviamente scatenata con accuse prevedibili: “Sorelle d’Italia”, “Il familismo della Meloni”, “Il partito di famiglia”. Sono critiche che arrivano da chi, anche pregiudizialmente, attacca l’esecutivo fin dal suo insediamento e non vede l’ora che l’esperienza del governo Meloni si concluda.
In verità, però, questa situazione è ben diversa. Ci sono anche osservatori obiettivi e neutrali che hanno criticato la scelta di Giorgia Meloni di investire la sorella di un compito così delicato per la gestione di quello che, dati alla mano, è di gran lunga il partito più rappresentativo dell’elettorato. Fratelli d’Italia veleggia stabilmente intorno al 30% e dovrebbe puntare ad aprirsi sempre più alla società civile e al mondo delle professioni, con un approccio inclusivo teso ad allargare il perimetro della sua classe dirigente e a dismettere definitivamente i retaggi di un passato scomodo che fa a pugni con una solida cultura democratica di governo.
Arianna Meloni è l’esponente più autorevole di quel cerchio magico e impenetrabile che si è creato attorno al premier e che include anche suo marito, il ministro Lollobrigida, il quale peraltro non fa quasi nulla per passare inosservato e per far dimenticare agli italiani di essere stato scelto anche perché cognato del premier. Alcune sue boutade degli ultimi mesi, delle quali francamente non si sentiva granchè il bisogno, hanno svelato il suo disagio per l’astinenza da attenzioni mediatiche. Non è da escludere che quelle uscite rispondano peraltro al desiderio di far allentare la pressione su Palazzo Chigi rispetto a dossier ben più delicati, a cominciare da quelli economici e legati ai temi del lavoro ma anche da quelli riguardanti l’immigrazione e le alleanze in vista delle prossime europee.
Chi porta un cognome ingombrante o ha legami famigliari con i potenti di turno gode indubbiamente di vantaggi indiretti, ma rischia anche di pagare per questo. Si può essere bravi ed essere anche sorelle o cognati del Presidente del Consiglio, quindi sarebbe davvero qualunquistico escludere a priori dall’impegno politico soggetti del genere.
Il problema è un altro e riguarda il funzionamento dei partiti. Qualcuno si era scandalizzato ai tempi d’oro di Forza Italia, partito attaccato pesantemente dagli avversari politici e dai media di riferimento in quanto “partito-azienda”, plasmato da Silvio Berlusconi a sua immagine e somiglianza, in funzione della difesa dei suoi interessi e degli interessi delle sue aziende. Si tacciò quella forza politica di non avere neppure una parvenza di democrazia interna, considerato che di congressi nazionali ne aveva fatto solo uno in trent’anni di storia e che la selezione dei vertici avveniva nei pranzi di Arcore anziché in incontri aperti agli iscritti.
Quello che sta succedendo in queste ore in Fratelli d’Italia non è molto diverso. Considerato il legame diretto con Palazzo Chigi, scegliere a tavolino e senza alcuna consultazione interna chi debba gestire il primo partito d’Italia appare un brutto segnale. Peraltro anche il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, esponente di punta del governo e tra i più vicini a Giorgia Meloni, riceve in queste ore l’incarico di curare la comunicazione del governo, visto che il primo settembre il portavoce Mario Sechi traslocherà per diventare direttore del quotidiano Libero. Si nota quindi, una sorta di “reductio ad unum”, con una centralizzazione della guida politica nelle mani della “famiglia allargata” Meloni. L’esatto contrario di ciò di cui il premier avrebbe bisogno per accrescere la sua capacità attrattiva verso gli eletti e i simpatizzanti di altre forze politiche. Un approccio convintamente “padronale”, che fa a pugni con qualsiasi proclama di inclusività.
Di recente qualcuno ha paragonato l’evoluzione di Fratelli d’Italia a quella della Democrazia Cristiana della Prima Repubblica. Si tratta di un accostamento inopportuno, perché ai tempi dello scudo crociato mai nessun Presidente del Consiglio si sarebbe sognato di affidare a sua sorella la guida del primo partito del Paese, annunciandolo peraltro con uno scarno comunicato.