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medio oriente

Da Gaza allo Yemen, il conflitto rischia di allargarsi

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L'operazione di rappresaglia in Yemen ha provocato due morti e 40 feriti. Ma gli Houthi hanno ribadibo che «agiremo fino a quando Israele non cesserà il fuoco nella Striscia di Gaza». Nel frattempo l'opposizione a Nethaniau si allarga, mentre Israele conferma l'intenzione di invadere Gaza se non verranno riconsegnati gli ostaggi. 

Esteri 07_05_2025

Il primo ministro Benjamin Netanyahu l'aveva promesso: la risposta sarà violenta. Domenica scorsa, un missile lanciato dallo Yemen ha superato le difese israeliane e ha colpito una zona dell’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, seminando il panico tra i passeggeri e ferendo diverse persone.  Il via libera all'operazione di rappresaglia sul paese della penisola arabica è stato dato da Netanyahu, mentre si trovava in tribunale a Tel Aviv in qualità di testimone. Dapprima, l'aviazione israeliana ha bombardato il porto di Hodeidah e una fabbrica di Bajil, nello Yemen, uccidendo due persone e ferendone oltre quaranta; ieri, gli aerei da combattimento dell'Idf hanno attaccato e distrutto infrastrutture degli Houthi nelle vicinanze dell'aeroporto yemenita di Sana'a, provocandone la completa inagibilità. «Risponderemo agli attacchi - ha dichiarato il portavoce degli Houthi -. Agiremo fino a quando Israele non cesserà il fuoco nella Striscia di Gaza». Fonti vicine agli Houthi hanno riferito che l'aeroporto internazionale di Sana'a è ora inagibile.

Ma quello che si sta delineando tra Israele e Hamas è un vero e proprio braccio di ferro, con conseguenze e contraccolpi imprevedibili, che potrebbero, questa volta, coinvolgere altri paesi arabi della regione. Se Hamas non riconsegnerà, entro pochi giorni, gli ostaggi, l'esercito israeliano invaderà Gaza. «Migliaia di riservisti sono stati richiamati - ha affermato il capo dell'esercito Eyal Zamir, parlando ai militari nel corso di una visita alla base militare di Atlit, sulla costa settentrionale del Mediterraneo – l’obiettivo è distruggere definitivamente tutte le infrastrutture sopra e sotto terra». E il ministro israeliano della Sicurezza nazionale, di estrema destra, Itamar Ben-Gvir ha aggiunto: «Dobbiamo aumentare l'intensità e continuare fino a raggiungere la vittoria totale. Dobbiamo ottenere una vittoria completa».

Il piano per occupare Gaza è stato approvato dal Gabinetto di sicurezza e prevede la conquista della Striscia e il mantenimento dei territori occupati. Ma non tutti all'interno del governo appoggiano questa tesi. Infatti, se l'esercito si scaglierà in questa operazione su larga scala, gli ostaggi potrebbero essere uccisi. Le famiglie dei prigionieri, naturalmente, sono molto preoccupate, ma i leader politici, tra cui il primo ministro Benjamin Netanyahu, stanno insistendo sul fatto che una maggiore pressione militare aiuterà a raggiungere un accordo per il ritorno degli ostaggi.

In molte piazze e lungo le arterie principali delle città israeliane le manifestazioni contro il governo sono in aumento. Centinaia di manifestanti si sono radunati davanti al palazzo della Knesset, a Gerusalemme, chiedendo al primo ministro un accordo con Hamas. Ma il governo è sotto accusa anche per la decisione di aver richiamato alle armi migliaia di riservisti e per il trattamento salariale riservato agli insegnanti. Secondo Yair Lapid, leader dell'opposizione e capo del partito Yesh Atid, Netanyahu non sta facendo il possibile per riportare indietro gli ostaggi, perché ciò porrebbe fine al suo mandato e al suo potere. «È una guerra inutile. È da oltre un anno e mezzo che combattiamo e non siamo riusciti a sconfiggere Hamas - dice un manifestante -. Non ci riusciremo nemmeno ora. È chiaro che il governo vuole solo occupare Gaza, per costruire nuovi insediamenti. I nostri soldati verranno uccisi e gli ostaggi torneranno dentro sacchi neri. Questo è ciò che accadrà». In questa guerra sono già morti 854 militari, di cui 503 dopo il 7 ottobre tra la Striscia e il Libano.

A Gaza, intanto, case, tende e rifugi improvvisati sono quotidianamente presi di mira dai missili lanciati dagli aerei israeliani contro quello che ancora non è stato distrutto. Decine di attacchi dell'aviazione e raffiche di artiglieria colpiscono il territorio lasciando sul terreno morte e distruzione.

Ma non solo. La mancanza di aiuti umanitari, bloccati dallo scorso mese di marzo dal governo israeliano, sta causando una delle più grandi carestie provocate del nostro tempo. La popolazione è alla fame e il bilancio, dopo 579 giorni di questa assurda guerra è terrificante: 52. 567 sono i morti e 118.610 i feriti, molti dei quali in gravi condizioni. Marwan Al-Hams, direttore generale degli ospedali da campo di Gaza, se ancora si possono definire così, ha rivelato che oltre 16.000 bambini sono stati uccisi, cioè, negli ultimi diciassette mesi, è morto un bambino ogni 40 minuti. «Non ha senso avviare colloqui o prendere in considerazione nuove proposte di cessate il fuoco fintanto che a Gaza prosegue la guerra della fame e la guerra di annientamento» ha detto Basem Naim, un alto funzionario di Hamas.

Si è inoltre appreso che alcune settimane fa, durante un'operazione condotta dalle forze israeliane nel quartiere Shavura di Rafah, città all’estremo sud della Striscia, un comandante dei miliziani di Hamas, che aveva partecipato al massacro del 7 ottobre, responsabile della detenzione di numerosi ostaggi israeliani e comandante dell'unità dei cecchini dell'organizzazione terroristica, si è arreso ed è stato arrestato.

In Cisgiordania, l'esercito ebraico prosegue la sua guerra "silenziosa". Da oltre tre mesi, le forze di occupazione israeliane continuano ad attaccare la città di Jenin e il suo campo profughi, intensificando le operazioni di demolizione e distruzione all'interno del campo, con l'obiettivo di modificarne le caratteristiche e la struttura e impedendone l'accesso. Il municipio di Jenin ha diffuso dei dati secondo cui circa seicento case, nel campo profughi, sono state completamente distrutte, mentre le altre sono state parzialmente danneggiate e rese inagibili. Le ruspe sono entrate in funzione anche nel villaggio di Khalet Al-Dab, nell’area di Masafer Yatta, sempre in Cisgiordania. Sono state abbattute nove abitazioni, cinque tende e altrettanti recinti per animali. L'abbattimento rientra in un piano di controllo: le forze israeliane hanno annunciato dei progetti per demolire oltre cento abitazioni in due campi profughi del nord della Palestina. Le organizzazioni per i diritti umani temono una nuova ondata di sgomberi forzati.