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Il quadro

Da Babiš a Wilders, nuove grane per il super-Stato dell’Ue

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Il ceco Babiš è stato incaricato di formare un nuovo governo. In Olanda, dove si vota domani, i sondaggi danno in testa il sovranista Wilders. Nuovi segni, dopo Orban e Fico, che i cittadini sono sempre più stanchi dell’idea di Europa che hanno in mente von der Leyen e Draghi.

Politica 28_10_2025
Andrej Babiš, 4 ottobre 2025 (via LaPresse)

Il centralismo di Mario Draghi, condiviso al 100% da Ursula von der Leyen e Antonio Costa, si scontra con la realtà. Dopo Viktor Orban e Robert Fico, nei prossimi giorni anche l’olandese patriota Geert Wilders potrebbe diventare premier. E sembra in dirittura d’arrivo un nuovo governo Babiš. La prima buona notizia per una Europa dei popoli, rispettosa dei trattati e delle competenze nazionali, scevra da ogni tentazione centralista e antidemocratica, come quelle proposte da Draghi e ben criticate da Stefano Fontana sulla Bussola, è arrivata proprio ieri, 27 ottobre. Ieri, infatti, il presidente della Repubblica Ceca, Petr Pavel, ha invitato Babiš a formare un nuovo governo, affermando di aver preso la sua decisione nel rispetto dei «risultati delle elezioni (…), dell'andamento dei negoziati fino ad oggi e delle posizioni adottate dai vari partiti parlamentari». Già queste affermazioni sono un evento per l’Europa, visti i precedenti in Romania, nelle elezioni parlamentari francesi, in quelle tedesche e ancora in quelle europee del 2024.

Certo, il partito di Babiš (Ano 2011) ha vinto le elezioni del 3-4 ottobre, ottenendo il 34,5% dei voti e 80 seggi nel parlamento composto da 200 membri. Domenica si era già trovato l’accordo tra i partiti conservatori per formare una coalizione e Karel Havlíček, membro di Ano, aveva dichiarato l’intesa con lo stesso Babiš sul programma preliminare di coalizione con Spd (Libertà e democrazia diretta) e Motoristi. Dunque, nel giro di alcune ore dovremmo avere un governo di destra a Praga, identitario, patriottico e sovranista. Il programma comune della coalizione evidenzia il rispetto delle priorità nazionali e delle competenze di Praga e il netto rifiuto non solo della fantomatica e sovietica abolizione del voto all’unanimità dei Paesi europei, ma anche la ferma opposizione a qualunque neocentralismo o neocolonizzazione ideologica ambientalista, tentazione guerrafondaia e crescita del debito pubblico comune gestito da Bruxelles.

Sul fronte slovacco, dopo l’espulsione del premier Robert Fico e del suo partito (Smer) da parte dei Socialisti europei, a conferma della loro deriva anarcolibertina, lo stesso Fico ha avviato la discussione con il primo ministro ungherese Orban sull'adesione di Smer al gruppo Patriots for Europe (PfE) nel Parlamento europeo. Il PfE oggi conta su 86 seggi nel Parlamento europeo, il che lo rende il terzo gruppo politico più grande, posizione che si rafforzerebbe se Smer dovesse aderire con i suoi cinque eurodeputati. Lo stesso Fico nei giorni scorsi ha accusato l'Unione europea anche di ipocrisia e priorità sbagliate nel suo approccio sulla fine della guerra tra Russia e Ucraina, sostenendo che Bruxelles sia più concentrata nel punire Mosca che impegnata a raggiungere la pace. Fico, Babiš e Orban già condividono di fatto un programma comune a Bruxelles: promuovono la linea più rigorosa sull'immigrazione, sostengono la più ferma opposizione alle suicide imposizioni del Green Deal e all’ideologia Lgbt, difendendo le proprie identità nazionali cristiane, a partire dalla necessaria evidenza biologica, biblica e razionale di uomo e donna, della loro complementarità, presupposto per formare una famiglia.

A disturbare i sogni autoritari e centralisti di Bruxelles sono anche le prossime elezioni in Olanda, dove proprio il sovranista Geert Wilders, con il suo Partito della Libertà (PVV, parte del gruppo dei Patrioti a Bruxelles), è in testa ai sondaggi e, nonostante i distinguo tra i partiti, caratteristici delle ultime giornate di campagna elettorale, potrebbe guidare la coalizione del prossimo governo. Il voto in Olanda sarà domani, 29 ottobre. Già alle ultime elezioni, 11 mesi or sono, il PVV aveva ottenuto il maggior numero di voti, divenendo perno di una coalizione però  fragile e frastagliata, disgregatasi proprio sulle politiche contrarie alle migrazioni irregolari, alla sostituzione etnico-religiosa e alla colonizzazione islamica. Lo scorso fine settimana, durante un comizio, il leader della destra ha chiesto se «i Paesi Bassi saranno più di un grande centro di asilo? (…) O vogliamo mettere di nuovo gli olandesi al primo posto?».

Qui sta uno dei punti cruciali a cui, dal 2019 ad oggi, né le due Commissioni europee presiedute da Ursula von der Leyen, né il Consiglio europeo presieduto prima dal liberale Charles Michel e poi dal socialista Antonio Costa, hanno saputo dare una risposta seria e definitiva. Oltre che contro Orban, von der Leyen e Costa si ritroveranno a combattere anche Babiš e Fico e forse pure Wilders. D’altronde, in un'Europa centralista e rassegnata a un crescente numero di centri di asilo per immigrati e alla scomparsa progressiva di bambini autoctoni, i cittadini rispondono sempre più di no.



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