Curcio, il nuovo Schettino della sinistra antagonista
Anche la sinistra antagonista ha il suo capitan Schettino. E' Renato Curcio, fondatore non pentito delle Br e oggi applaudita star alle Feste rosse. L'ex terrorista è stato invitato a parlare del suo libro inchiesta e come il capitano della Costa Concordia ha tenuto le sua (non) bella lezione.
Ha più titoli a parlare di “gestione del panico” uno come Schettino che, dopo aver inginocchiato la sua nave davanti al Giglio ha mandato negli abissi 32 poveri turisti, oppure l’ex br Renato Curcio invitato a discutere di lavoro, dopo essersi esercitato per anni con la pistola contro sindacalisti e imprenditori? Beh, senza dubbio è impossibile accettare ex cathedra il capitano della Costa Concordia che maestro lo è stato, ma solo nella gestione del panico suo, dopo essersi calato in una scialuppa (lui dice di esserci cascato dentro accidentalmente) e assistere da uno scoglio al naufragio. Ma è pure difficile immaginare il fondatore delle brigate armate nei panni del raffinato docente esperto giuslavorista. Difficile, ma non impossibile tanto è vero che il barbuto Renè è riapparso l’altro giorno nel paese di Casciana Terme Lari, nel pistoiese, inviato dagli organizzatori della "Festa Rossa" a parlare del suo ultimo libro dal suggestivo titolo Il Pane e la Morte.
Come Capitan Codardo, anche Curcio non si è mai pentito degli assassini di poliziotti, carabinieri, giornalisti, sindacalisti, dirigenti dello Stato e politici statisti firmati con la stella a cinque punte delle Brigate Rosse. Anzi, non ha alcuna remora ad apparire e a rifilare lezioni di politica, sociologia e storia ad amici e compagni, a studenti universitari e frequentatori di feste paesane. Insomma, il nostro ex non è per niente imbarazzato dai suoi trascorsi, ma se ne va volentieri in giro per l'Italia a presentare saggi e tenere seminari, soprattutto ai più giovani. Libero lui, certo, di farlo (deve pur campare con i suoi libri), un po’ meno responsabili e avveduti quelli che lo invitano a insegnare. Come Federico Giusti dei Cobas e Paolo Papucci, presidente dell’associazione politico-culturale “La Rossa”, organizzatrice della kermesse toscana. Per il sindacalista, Curcio è un esperto di lavoro, «altamente competente», mentre il Papucci dice che la sua «è solo un’associazione che vuole parlare e discutere di tematiche forti, insieme a personaggi in grado di farlo. Curcio ha pagato e il suo passato non ci interessa e non è al centro del dibattito».
Già, Curcio ha versato diligentemente la sua quota penale alla società e allora scurdammoci o’ passato. Ponzio Pilato era un dilettante a confronto con il capataz della pia associazione "Festa Rossa". Ma in Italia, caro presidente, c’è, ancora qualcuno che proprio non riesce a dimenticare le imprese di Curcio e della sue Br: sono le famiglie delle vittime del terrorismo, rosso coma la festa di Casciana, che piangono ancora sulle loro tombe. Sarebbe sacrosanto, anche se non obbligatorio in termini di legge, un po’ di silenzio da parte di questi ex terroristi mai pentiti e oggi improvvisati maestri: messi insieme fanno una bella pattuglia di ex combattenti e reduci, uno sgangherato corpo docente sempre in cattedra quando c'è da fare marchette ai loro libri. Da Scalzone a Battisti, da Franceschini a Moretti, da Toni Negri a Curcio, appunto.
Alla Festa dei rossi, lo scrittore ex brigatista ha potuto pacificamente presentare il suo libro-inchiesta «sul polo industriale brindisino, sui veleni emessi dalle fabbriche e sulle troppe morti bianche». Tranquillamente, firmando autografi e stringendo mani alle persone accorse per salutarlo. Una performance che non è invece piaciuta al sindaco di Casciana, Mirko Terreni del Pd, che ha preso subito le distanze, così come il vice presidente vicario del consiglio comunale: «Chissà se quella gente che ha ascoltato Curcio sa anche chi era Aldo Moro e la storia del suo rapimento, della sua prigionia e della sua esecuzione da parte del "tribunale del popolo" delle Brigate Rosse. Tutto ciò è pericoloso e diseducativo. Penso che dovrebbe esserci un'ondata di indignazione collettiva». Bravi il sindaco e anche il vice: ma questi bei pensieri dovrebbero dedicarli ai loro amici dell’Arci, dei Cobas e ai consiglieri comunali che partecipano alla Festa, in bella e poco raccomandabile compagnia della galassia dei centri sociali toscani. Ecco chi c'è presente alla rimpatriata: l’Osservatorio sulla repressione, i No Tav, le Brigate di solidarietà attiva, il gruppo Notti Rosse di Casalgrande (Reggio Emilia), il Coordinamento cittadino di lotta per la casa di Roma, l’Unione Inquilini e la Brigata Sociale di Viareggio, Asia Usb e Comitato per il diritto all’abitare ex caserma occupata di Livorno e progetto “Prendo Casa” di Pisa. Insomma, un revival in piena regola dei formidabili anni Settanta, con tutti i compagni che allora sbagliavano e che anche adesso perseverano nell'errore.
Ma si sa, in Italia il comunismo non s’è mai realizzato nella sua forma storicamente conosciuta: presa violenta del potere, dittatura di una burocrazia di partito e conseguente instaurazione dello Stato di polizia. Questo volevano i partigiani della Resistenza rossa e questo voleva il Pci del dopoguerra: scacciati i nazi fascisti l’Italia era pronta per passare sotto i Soviet dell’Urss. Disegno fallito, ma perseguito fino agli anni Settanta, fino allo strappo berlingueriano da Mosca. Le Brigate Rosse non sono arrivate dalla luna, appartengono a pieno diritto all’album di famiglia della sinistra. All’atto di fondazione, nel 1969, (in una soffitta di Reggio Emilia) parteciparono una settantina di fuoriusciti dalle sezioni Pci e Fgci, mentre i primi nuclei si formarono all'interno delle fabbriche milanesi della Pirelli e della Sit-Siemens, controllate dalla Cgil. In quegli anni, anche se minoritaria, era ancora forte e ben nutrita una fronda interna (Longo e Secchia) che ancora inseguiva i miti della Resistenza tradita e della Rivoluzione incompiuta. Ma fino all'assassinio del sindacalista Guido Rossa (siamo nel 1979, quando erano già 10 i magistrati uccisi) e al rapimento Moro, il partito fece finta di nulla. Anzi: confuse le carte, rifiutò di riconoscere come suoi figli legittimi quei ragazzi che decisero di darsi alla lotta armata, li dichiarò “schegge impazzite” e se-dicenti comunisti, insinuando il sospetto che fossero un’invenzione della Cia e dei Servizi segreti al servizio della Dc. Lo scrive Ugo Pecchioli, storico ministro ombra del Pci: nei verbali delle riunioni a Botteghe Oscure, Pecchioli accusava complicità e reticenze del partito nel contrasto al terrorismo, soprattutto dentro le fabbriche e nel sindacato.
Vabbè, questa è tutta un’altra storia che però l’irriducibile ed ora preparatissimo Curcio conosce benissimo. E la dovrebbero conoscerla anche gli eredi di quel Pci che in quegli anni strappavano dal loro album di famiglia le foto imbarazzanti delle "schegge impazzite". Sanno, ma fingono di non sapere. Meglio fare inchieste sulle morti bianche e le vittime dei veleni industriali che ricordare quelle dei terroristi e del loro piombo, metallo anch’esso piuttosto pesante e mortifero. Meglio allora stracciarsi le vesti, dire che il rosso non è mai stato il colore preferito alle sfilate del Pd, del boy scout Renzi e della sua compagnia di volonterosi lupetti di governo. Per poter così processare capitan Curcio, nuovo Schettino della sinistra antagonista, come unico responsabile degli inchini al terrorismo negli anni Settanta.