"Curare Alfie è faticoso, ma l'arroganza è satanica"
Si può faticare come medici, si può provare angoscia, ma l’arroganza davanti a questioni delicatissime, sul limite misterioso fra vita o morte, ha tutta l’aria di una mentalità priva di umiltà che si considera divina e onnisciente, motivo per cui mi sembra satanica. Ma satana non vince su Cristo. Ecco perché.
Essendo amico di alcune delle persone che lavorano per La Nuova Bussala Quotidiana, sono ormai da molto tempo al corrente della vicenda, ora nota, legata alla vita di Alfie Evans, il bambino di Liverpool, affetto da una malattia non diagnosticata e la cui esistenza è stata ufficialmente giudicata non degna di essere difesa e sostenuta dalle autorità dell’Alder Hey Hospital e dal sistema giudiziario della Gran Bretagna.
Come sempre in questi casi, ad esempio quello che l’anno scorso coinvolse Charlie Gard a Londra, mi viene naturale nutrire una simpatia per l’equipe medica incaricata di curare una persona in queste condizioni. Come cappellano ospedaliero da molti anni, ho visto da vicino il prezzo umano pagato da chi porta questo tipo di responsabilità e ho visto che cosa succede quando agli operatori sanitari sembra che i propri sforzi servano più a prolungare un’agonia tormentata piuttosto che aiutare una vita sofferente. Non mi sembra impossibile né sempre del tutto sbagliato che, in generale, un ospedale possa arrivare alla dolorosa decisione di non voler continuare le cure quando queste possono apparire inutili.
Rimango invece veramente sconcertato, se non sdegnato, dalla sete di potere e dell’illimitato senso di sovranità infallibile sulla vita umana che emerge quando questo giudizio è usato come pretesto per bloccare i sostegni vitali e qualunque altra alternativa richieste dai genitori, che non hanno ancora perso né la speranze né il senso del valore della vita di loro figlio. A maggior ragione quando le istituzioni che presentano delle alternative, senza alcun costo per il sistema britannico, sono ineccepibili; L’anno scorso, ad offrire un’alternativa a Charlie Gard era un’equipe di medici dell’Harvard University negli Stati Uniti, ora ad offrirla ad Alfie Evans è l'Ospedale Bambino Gesù a Roma.
Sia l’anno scorso sia quest’anno, le alternative ragionevoli offerte da personalità mediche di primo ordine, insieme alla richiesta coraggiosa dei genitori, vengono respinte solo perché accettarle potrebbe in qualche modo mettere un punto interrogativo sul giudizio inappellabile del sistema medico/giudiziario dello Stato britannico. Perciò l’autorità della famiglia alla custodia del “best interest” dei figli viene soppressa, solo perché il loro giudizio non concorda con quello dell’équipe medica. L’arroganza davanti a questioni delicatissime, sul limite misterioso fra vita o morte, ha tutta l’aria di una mentalità priva di umiltà che si considera divina e onnisciente, motivo per cui mi sembra satanica.
Ma satana non vince sul nostro Cristo. La settimana scorsa io ed alcuni amici abbiamo ascoltato il racconto improvvisato di un’amica che ha seguito la vicenda di Alfie Evans sin dall’inizio. Quando parlava del silenzio delle autorità ecclesiastiche inglesi bruciavo dal senso di imbarazzo e di frustrazione. Ma quando ha spiegato che l’Ospedale legato alla Santa Sede, il Bambin Gesù, aveva offerto accoglienza ad Alfie, mi sono sentito molto sollevato e provocato. Ho capito che questa vicenda mi interroga rispetto a come sto accogliendo le vite scomode nelle circostanze della mia vita, se sto facendo spazio alle persone che di primo impatto possono apparirmi di sconforto, inutili o che mi provocano angoscia. Inoltre, il gesto generoso e coraggioso di papa Francesco nel ricevere mercoledì scorso Thomas Evans, il padre del piccolo Alfie, e di difendere la dignità del bambino davanti a tutto il mondo durante l’udienza generale, mi ha pervaso di un senso di gratitudine e di necessità di missione.
Alfie è molto malato. E le autorità britanniche sembrano decise a difendere la loro infallibilità sulle questioni relative alla vita e alla dignità dei loro sudditi, in particolare del piccolo Alfie (nella foto in alto il presidio della polizia per impedire il trasferimento di Alfie). Però la sua vicenda e la fedeltà semplice ed implacabile dei suoi giovanissimi genitori sta provocando le coscienze di tanti, compreso me. Non giudico la questione medica. Non sono un medico. Non giudico l’ospedale che non vuole continuare a curare Alfie. Ma respingo l’arroganza del potere che rifiuta la categoria della possibilità, sopratutto quando non è a loro che viene chiesto di portare avanti una cura e la ricerca di una diagnosi. Infine, sono grato con tutto il cuore a chi vuole valorizzare questa vita, alle persone che accompagnano con le opere e con la preghiera questa povera famiglia e di vedere che in questa storia c’è più che l’uomo all’opera.