Cui Prodi? Le ambizioni smodate del professore
Ha trovato il modo di ritornare alla ribalta con l’ennesimo endorsement. Stavolta a favore di Renzi, il suo acerrimo nemico. Cosa si cela sotto? L'ambizione di Prodi nel ritagliarsi un ruolo post voto da salvatore della patria. Improbabile.
-FAMILY DAY ALLE URNE TRA DIVISIONI E SPERANZE di Benedetto Rocchi
Nel giorno in cui, ieri, uno dei suoi sponsor degli anni ottanta, il sindaco di Nusco Ciriaco De Mita ha toccato la vetta della veneranda età di 90 anni, si è infiammata la discussione sulle dichiarazioni di Romano Prodi, un altro veterano della scena politica, che proprio non vuole saperne di andare in pensione e di tacere visto che non avrebbe alcun titolo per parlare.
Il più volte Presidente del Consiglio ha trovato il modo di ritornare alla ribalta con l’ennesimo endorsement, che peraltro è apparso in contraddizione con le sue celebri prese di distanza dal Pd renziano. A giugno scorso, all’indomani del crollo del centrosinistra nei ballottaggi delle elezioni amministrative, si accese uno scontro tra Matteo Renzi e Romano Prodi. Quest’ultimo, seccato dalle parole del segretario dem, dichiarò: "Leggo che il segretario del Partito democratico mi invita a spostare un po' più lontano la tenda. Lo farò senza difficoltà: la mia tenda è molto leggera. Intanto l'ho messa nello zaino". Le ruggini tra i due risalgono al 19 aprile 2013, quando 101 franchi tiratori impallinarono il Professore bolognese frenando la sua corsa al Quirinale. Da allora, ma forse anche prima di allora, i due non si sono mai amati.
Tutto questo fa apparire ancora più bizzarra la dichiarazione con cui, alcuni giorni fa, Romano Prodi ha assicurato il suo voto alla coalizione di centrosinistra, accusando Liberi e Uguali di lavorare per le divisioni "mentre l’attuale centrosinistra guidato dal Pd sta cercando di unire". Cui prodest? A chi può giovare, se non allo stesso Prodi, una frase del genere? Cosa c’è sotto?
I prodiani come Giulio Santagata in questa tornata elettorale corrono nella lista Insieme, alleata con il Pd, e quindi se perde la coalizione perdono anche loro. Ma la spiegazione non è questa. Tutto va ricondotto alla invincibile e sfrenata ambizione di Romano Prodi che, rendendosi conto della pochezza del ceto politico del centrosinistra degli ultimi anni, accarezza l’idea di essere chiamato come “salvatore della patria” in caso di impasse post-voto. Pur escludendo ragionevolmente l’ipotesi di una vittoria del centrosinistra, ma dando per probabile l’eventualità che non ci sia alcun vincitore, Prodi è tra quelle personalità che, non militando in alcun partito ma potendo vantare una consolidata esperienza di governo, potrebbe essere candidato a ruoli ministeriali o istituzionali. D’altronde, se il leader del centrodestra, che ha qualche anno più di lui, pur essendo incandidabile per una condanna, continua a sognare di tornare a Palazzo Chigi, non è assurdo che anche il suo storico competitor possa sotto sotto coltivare quell’idea.
Se poi prendesse quota, in caso di stallo, caos e ingovernabilità, l’idea di una nuova assemblea costituente che riscriva le regole del gioco, ecco che uno come Prodi potrebbe essere chiamato a dare il suo contributo. Lui vuole accreditarsi come il federatore di un centrosinistra post-renziano che resusciti parte del mito dell’Ulivo e riaggreghi quanto l’ex sindaco di Firenze ha separato. Ma se il Pd si indebolisse troppo e scendesse al 20%, il potere contrattuale del centrosinistra nelle future partite della politica italiana sarebbe molto scarso, tanto più che i sondaggi accreditano di percentuali assai basse le altre liste alleate con il Pd: Insieme non sfonda, Emma Bonino è sempre stata sopravvalutata all’inizio ma poi il contributo elettorale suo e dei Radicali è sempre stato da prefisso telefonico o quasi, i cattolici di Beatrice Lorenzin e Pierferdinando Casini non sembrano andare oltre l’1%.
Quindi è duplice l’intento di Prodi con quell’endorsement pro-centrosinistra: scongiurare il rischio di larghe intese o quanto meno far sì che al tavolo delle larghe intese il centrosinistra ci arrivi con un peso consistente e non come coalizione moribonda che elemosina poltrone ma non incide più di tanto sulla linea politica; stoppare l’avanzata degli scissionisti come Piero Grasso o Pierluigi Bersani o, ancor più, Massimo D’Alema, suoi competitor nell’ipotetico futuro tentativo di ricucitura tra le diverse anime del centrosinistra, e possibili alleati del Movimento Cinque Stelle qualora quest’ultimo registrasse un exploit il 4 marzo ma avesse bisogno di altri voti in Parlamento per poter costituire un governo.
Nella sua carriera politica Romano Prodi non ha mai parlato a caso. Ha sempre avuto una strategia, un disegno, un obiettivo, qualche vendetta da consumare. Se anche questa volta ha deciso di rompere il silenzio e di schierarsi apertamente, peraltro a favore di un suo avversario storico come Matteo Renzi, vuol dire che intende giocare la sua partita, dai contenuti e dagli esiti molto incerti, e assai flessibili, in ragione di quello che sarà l’esito delle urne. Se il centrosinistra raggiungesse un buon risultato, lui vorrebbe essere ringraziato; se al contrario dovesse registrare una cocente sconfitta, qualcuno forse lo supplicherebbe di fare il “padre nobile” o anche qualcosa di più in un nuovo centrosinistra post-renziano. In ogni caso, cadrebbe in piedi. In un Paese come l’Italia dove il ricambio generazionale in politica appartiene al libro dei sogni, Romano Prodi potrebbe avere ancora un futuro in prima linea. Nel segno di un nuovo Ulivo.