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LETTERE IN REDAZIONE

Crocifissi bruciati a scuola. E nessuno si indigna

Venerdì scorso, in una scuola del veronese, un crocifisso è stato deriso e bruciato da alcuni ragazzini. Forse la colpa è nostra, che abbiamo smesso di trasmettere loro il senso del sacro e il posto dell'Altro nel mondo.

Croce bruciata

Venerdì scorso, in una scuola del veronese, un crocifisso è stato deriso e dileggiato con gesti irrispettosi e, nel parcheggio antistante l'Istituto, altri crocifissi – rubati dalle aule – sono stati fatti a pezzi e poi bruciati. Gli autori di questi gravi gesti sono tutti ragazzini sotto i 15 anni, probabilmente non mossi da un consapevole odio religioso – specificamente diretto contro il credo cristiano – ma eccitati dall'idea di compierne una di veramente grossa, mostrandosi adulti e degni di considerazione agli occhi di qualche altro compagno più grande.

Se un tempo si dava fuoco ai cestini per l'immondizia o ai cassonetti come atto di ribellione e disprezzo per la cosa pubblica, e tutt'al più si bucavano le gomme alle automobili degli insegnanti come somma mancanza di rispetto alla loro autorità, ora – anche a voler credere si tratti davvero solo di una bravata troppo esagerata – sembra davvero sia stato superato un limite. Gli atti compiuti dovrebbero suscitare indignazione.

C'è un articolo nel nostro Codice Penale a lungo dimenticato, così desueto che raramente viene studiato persino nelle facoltà di giurisprudenza. Si tratta dell'articolo 404, rubricato ”Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose“ che punisce gli atti di vilipendio a qualsiasi religione mediante offese verbali e azioni dirette a dissacrarne gli oggetti di culto. È una disposizione che, a ben vedere, ci permetterebbe di denunciare e veder condannato chiunque sentiamo pronunciare una bestemmia; che punisce atti sconsiderati come il rogo di libri sacri quali il Corano o la Bibbia; è la norma, in fine, chiamata in causa quando, nel corso di una manifestazione violenta, poco tempo fa fu distrutta intenzionalmente una statua della Madonna, scagliandola in mezzo alla strada.

È una disposizione di legge che – da quando è stato abrogato l'articolo che dichiarava il cattolicesimo come religione di Stato – protegge indifferentemente ogni credo religioso da gesti di disprezzo nei confronti dei ministri di culto, degli oggetti e dei luoghi adibiti alle cerimonie sacre. Un articolo che, insomma, custodisce una forma di rispetto nei confronti del sacro e tutela il sentimento religioso dell'uomo. Gesti come quelli perpetrati di fronte a quella scuola costituiscono un reato, eppure – apprendendo questa notizia – un mio collega è riuscito a bisbigliare solo «Io non mi stupisco più di nulla».

Dovremmo farlo, invece. Dovremmo ricordarci di questo articolo 404 e recuperare il perduto sentimento dell'indignazione, messo da parte in nome di una certa tiepidezza, pericolosa come l'assuefazione a vedere e sopportare offese anche a ciò che consideriamo sacro, cioè simbolo del sovra-umano. Viene in mente, per bruciante contrasto, il passo delle Fonti Francescane in cui San Francesco d'Assisi raccomanda ai suoi frati la devozione verso il Corpo di Cristo, verso i crocifissi, gli altari e i simboli sacri. Si racconta che, se entrando in una chiesetta – tra le più povere della campagna – il Santo trovava la casa del Signore sporca o mal tenuta, egli provvedeva subito con grande zelo a spazzarne il pavimento, a riordinare l'altare e a conservare con cura il tabernacolo e le immagini sacre, tanto grande era il suo amorevole rispetto per le cose del Signore.

Ritorna alla mente anche il buon Don Camillo di Guareschi che, entrando in chiesa semidiroccata, alla periferia di un kolkhoz comunista nel cuore dell'Unione Sovietica, e trovandola trasformata in un granaio si commuove nel vedere il crocifisso dell'altare maggiore accatastato e dimenticato in un angolo, tra la polvere e i topi. Questi sentimenti di venerazione sembrano davvero lontani, ma il nostro tempo è divenuto così assuefatto all'indifferenza verso ciò che è sacro da non scomporsi più nell'apprendere notizie come quella del rogo volontario di alcune croci?

Come deprecare il grave atto di vilipendio compiuto da quei ragazzini, se esso non ci sconvolge? Come insegnar loro “che non si fa” se non sentiamo come profondamente sbagliata una simile offesa? Forse quel rogo di crocifissi trova origine e spiegazione nella nostra perdita del senso del sacro, in una de-sacralizzazione ben più profonda di una generica secolarizzazione dei nostri giorni, che ci ha reso incapaci di rispettare quanto meno ciò che costituisce oggetto di venerazione e di culto per l'altro, sebbene non ne condividiamo il credo religioso.

Forse il gesto di quei ragazzini è stato permesso un po' da tutti noi, quando non ci indigniamo, quando “non ci stupiamo più di nulla”... da quando, cioè, abbiamo smesso di trasmettere loro il senso del sacro e il posto dell'Altro nel mondo.