Croazia, la visita del serbo Vucic riattizza il conflitto
Il presidente serbo Vucic, in visita in Croazia, non si pente del suo passato di ultra-nazionalista, facendo infuriare tutti. Il cardinal Bozanic, ricevendolo, lo obbliga a guardare il quadro del beato Stepinac: è Vucic il maggior oppositore della sua canonizzazione.
La visita di Stato in Croazia del presidente serbo Aleksandar Vucic del 12 e 13 febbraio su invito della sua omologa croata, Kolinda Grabar-Kitarovic, avrebbe dovuto rappresentare, secondo gli auspici di quest'ultima, il primo passo del comunque lungo e tortuoso cammino di normalizzazione nei rapporti tra i due Paesi. In realtà, questa visita non solo ha inasprito ancora di più i rapporti tra i due popoli, ma ha rappresentato un suicidio politico della Presidente croata, che ora vede notevolmente ridotte le possibilità di rielezione, tra dieci mesi, alla massima carica dello Stato.
Aleksandar Vucic è un personaggio di primo piano della guerra combattuta nella penisola balcanica negli anni novanta del secolo scorso. Nel 1995, giovane rampollo del criminale di guerra e leader del partito radicale Vojislav Šešelj, intervenne a un incontro politico a Glina, in territorio croato occupato dai ribelli serbi, e definì il governo croato «regime criminale» e «autorità ustascia» affermando che Glina non sarebbe mai più stata una città croata, bensì avrebbe fatto parte della “Grande Serbia“ in via di costruzione (vedi qui). Lo stesso anno, dinanzi al Parlamento serbo, egli affermò che era necessario uccidere cento musulmani per ogni serbo che avesse perso la vita durante i bombardamenti della Nato sulle posizioni serbe in Bosnia (vedi qui). Nel 2000, nel corso di un incontro politico in Serbia, affermò che i territori lungo la linea che unisce le città croate di Koprivnica (75 km a est di Zagabria), Karlovac (50 km a sud della capitale croata) e Karlobag (sulla costa dalmata) dovevano diventare territorio della Serbia (vedi qui). Nel 2007 organizzò a Belgrado una manifestazione di protesta del suo partito per l'arresto del criminale di guerra serbo-bosniaco Ratko Mladic, nel corso della quale incollò sul palazzo della televisione di Stato adesivi con i quali egli provocativamente ribattezzava Bulevar Zoran Džindžic (viale dedicato al primo ministro serbo che aveva fatto arrestare Milosevic, e che fu in seguito assassinato) in Bulevar Ratko Mladic (vedi qui).
Con queste premesse, era difficile attendersi che i croati accogliessero Vucic a braccia aperte, tanto più che Vucic non ha mai rinnegato le sue idee del passato né si è mai scusato per averle espresse. Nonostante il maldestro invito della Grabar-Kitarovic ai media croati di non porre a Vucic domande sul suo passato, c’è chi gli ha chiesto conto del suo discorso di Glina del 1995. Per tutta risposta, il presidente serbo ha dichiarato: “Non aspettatevi da me che mi umili fino a questo punto».
Al di là quindi delle cortesie protocollari e del rituale invito di Vucic alla presidente croata di visitare Belgrado nel prossimo futuro, questo incontro non ha registrato il benché minimo progresso sugli scottanti problemi tra i due Paesi. Il Presidente serbo ha restituito un registro parrocchiale della parrocchia cattolica di Gvozd rubato nel 1995 dai miliziani serbi in fuga dinanzi all’attacco dell’esercito croato, ha portato con sé i dati relativi a tre croati scomparsi al tempo della guerra, mentre sugli altri millecinquecento non ha ancora alcuna notizia sebbene, come egli stesso ha affermato, questi dati sono disponibili. Al contrario, gli archivi dell’ex esercito regolare jugoslavo, la JNA, continuano invece a essere chiusi alle autorità croate che indagano sui massacri commessi durante la guerra degli anni novanta. Sul problema dei risarcimenti di guerra, problema sollevato dal primo ministro croato Plenkovic, verrà invece formata una commissione mista che difficilmente giungerà a un accordo. Insomma, il nulla assoluto.
Tutte le forze politiche croate, da destra a sinistra, hanno condannato la visita del presidente serbo e l’atteggiamento da “tappetino” della Presidente per non mettere in imbarazzo l’ospite serbo. Perfino il partito cui apparteneva la Presidente fino al momento della sua elezione, l'Hdz, principale partito di centro-destra, si è dissociato dall'iniziativa, e il premier Plenkovic, che non intrattiene buoni rapporti con la Presidente, ha dichiarato di non essere stato preventivamente avvertito dell'invito fatto a Vucic. La reazione popolare è stata ancora più forte. Oltre alle manifestazioni di protesta tenutesi a Zagabria, le influenti associazioni dei reduci della Guerra per la Patria degli anni Novanta hanno affermato che non appoggeranno la Presidente in caso di sua ricandidatura alla più alta carica dello Stato. Allo stesso modo si sono espressi l’influente associazione delle vedove dei reduci della guerra, e moltissimi cittadini hanno espresso la loro rabbia sui social network – è stato particolarmente preso di mira l’account Facebook ufficiale della Presidente.
C’è da domandarsi per quale motivo la Presidente croata, in passato spesso dura con Vucic e la Serbia, abbia voluto affrontare un rischio politico così grande, per di più in un anno elettorale. La risposta si può trovare nella politica statunitense ed europea favorevole a un avvicinamento all’Unione Europea e alla Nato di uno Stato, la Serbia, da sempre alleato di ferro della Russia, e decisivo per l’equilibrio geopolitico nei Balcani e nell’Europa sud-orientale. La presidente Grabar-Kitarovic, membro della Commissione Trilaterale, è considerata dalle cancellerie occidentali la persona giusta per accelerare questo processo di legittimazione e di integrazione politica della Serbia nelle istituzioni europeo-occidentali e il suo allontanamento dalla sfera d’influenza russa.
Il desiderio di infliggere questo smacco alla Russia fa passare in secondo piano il fatto che Vucic è tutt’altro che un leader europeo moderato, e che il Paese da sempre è governato dalla medesima ideologia politica che, con il suo acceso nazionalismo, ha fomentato le guerre nei Balcani dell’ultimo secolo. Basti pensare che l’élite politica serba in questi ultimi anni stabilmente presenzia all’inaugurazione di statue dedicate a Gavrilo Princip, l’assassino del principe austro-ungarico Francesco Ferdinando e della moglie di quest’ultimo a Sarajevo nel 1914, fatto che rappresentò la scintilla per lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Tra i serbi, Princip viene ancora oggi celebrato come eroe della patria; egli rappresenta, come ha affermato Ljubiša Cosic, sindaco serbo di Sarajevo Est, «il passato del quale siamo fieri e il futuro che costruiranno le future generazioni» (vedi qui e qui).
Durante la sua permanenza a Zagabria, il presidente serbo è stato ricevuto anche dall’arcivescovo di Zagabria, cardinal Josip Bozanic, nel Palazzo arcivescovile che si trova accanto alla cattedrale dove riposano i resti mortali del beato cardinale Stepinac, della cui canonizzazione Vucic è il principale oppositore. Anche in ambito cattolico si sono levate voci contrarie a questo incontro, soprattutto dopo che, nel corso della conferenza stampa congiunta con la Presidente croata, Vucic aveva associato il nome di Stepinac al campo di sterminio ustascia di Jasenovac.
Tuttavia, il cardinal Bozanic non ha accettato passivamente le idee di Vucic. Come mostra infatti una fotografia dell’incontro diffusa dall’Ufficio Stampa dell’Arcidiocesi di Zagabria, Vucic è stato fatto sedere in una posizione dalla quale, ogni volta che rivolgeva lo sguardo al cardinale, era obbligato ad avere nel suo campo visivo un quadro del beato Stepinac appeso a una parete proprio sopra il cardinal Bozanic. Una grande lezione di dignità e di autorevolezza.