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IL GIORNO DEI MORTI

Cristo vince la morte e il tabù neoborghese

I nostri morti vanno ricordati
perché vivono realmente in Cristo.
Ciò impegna la fede e la ragione. Il nulla non può avere l’ultima parola.

Attualità 02_11_2011
Cristo scende agli inferi

 

Con la liturgia di oggi la Chiesa prega per i defunti. Per il nostro mondo che in tutti i modi cerca di rimuovere i pensieri "fastidiosi" e "scomodi" il solo por mente alla morte dà scandalo. Contribuire a vincere questi falsi tabù è dunque già opera di opportuna nuova evangelizzazione.

Dopo Ognissanti ecco che la Chiesa prega e offre il Sacrificio Eucaristico per tutti i fedeli defunti: è la loro Commemorazione, il ricordo di tutti coloro che ci hanno preceduto nel Regno dei Cieli. La Liturgia prega nel Prefazio dei defunti: Vita mutatur, non tollitur -la vita non è tolta ma trasformata. È la lex orandi lex credendi, cioè la Chiesa crede ciò che prega, soprattutto nella Liturgia, e questa preghiera liturgica ci dà la speranza, che per il cristiano è una certezza, che la nostra vita non è in balìa del vuoto e del nulla, del tragico destino del niente dopo la morte ma è custodita da Dio che ce la ridonerà in pienezza il giorno della Resurrezione dai morti: et expécto resurrectiónem mortuórum et vitam ventúri sæculi (dal Credo Niceno-Costantinopolitano: e aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà).

Allora, pregare per i nostri morti, ricordarli vivi non solo nel nostro cuore ma vivi realmente in Cristo che è fedele alle sue promesse e alla Volontà del Padre («questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell'ultimo giorno» Gv 6,39), non è un non-senso ma un atto di fede e anche di ragione: il nulla non può avere l’ultima parola in un mondo pieno di senso, se abbiamo la mente ed il cuore per saper leggere i segni di Dio. Egli se ci dona la vita è per sempre, che senso avrebbe togliercela dopo un periodo più o meno lungo di esistenza e poi finire nel nulla?

Certo, oggi la morte è un tabù. Fa paura. Tutti la scansano e la esorcizzano. Si cambia anche il linguaggio pur di non affrontarla (dal: è morto, al: è scomparso, mancato, venuto meno…). Nei "salotti bene" puoi parlare di tutto ma non di questo. Perché? È "morta", questa sì, la Fede nel cuore di tanti nostri fratelli (forse per questo Papa Benedetto XVI ha indetto l’Anno della Fede nel 2012?…). Rassegnati e tristi, senza speranza per il futuro, soprattutto i giovani, mostrano una dimenticanza preoccupante: non ci si pone più le domande radicali sul senso della vita e quindi le risposte vengono meno. Cristo è stato emarginato e la maggior parte delle persone vive etsi Deus non daretur, come se Dio non esistesse. Conseguenza: il perché del vivere e del morire e il cosa c’è dopo la morte non lo sa più nessuno.

Eppure il 2 di novembre, o l’1 che è giorno di festa anche civile, tutti si recano al cimitero per una preghiera, per portare dei fiori, per raccogliersi vicino ai propri defunti nel ricordo, a volte struggente. Forse abbiamo perduto i contenuti della nostra fede cristiana, abbiamo dimenticato la Resurrezione dai morti e la vita eterna, concetti che appaiono come flatus vocis, parole vuote alla maggior parte degli uomini. Ma non abbiamo perduto quel senso profondo che viene dal nostro essere più intimo che cioè la vita non può finire con la morte, che rivedremo i nostri cari e che li riabbracceremo, che l’amore ricevuto e donato non può perdersi nel nulla. Che i legami affettivi non possono andare distrutti per sempre.

La fede cristiana, però, offre molto di più e un generico credere non basta. Non basta un ricordo, non basta la fede in una divinità senza volto, in un Qualcosa che sicuramente ci sarà ma che è inconoscibile, in un Essere soprannaturale. Il Cristianesimo è un’altra cosa: Dio si è fatto uomo e si può incontrare oggi, è vivo, è risorto, ha vinto la morte e ci ridonerà anche a noi la vita, quella vera, autentica, senza fine nella gioia. Egli è Persona, con un Volto preciso, che si è rivelato in Gesù di Nazaret: con Lui dobbiamo avere un rapporto personale e intimo. Risorgeremo con il nostro corpo che unito all’anima vivrà per sempre in Dio, o per una risurrezione di vita o per una risurrezione di condanna. Sì, perché la possibilità e il rischio della dannazione c’è, se non saremo trovati in grazia di Dio il giorno della nostra morte. La vita non è uno scherzo e non ci si può prendere gioco di Dio (cf. Gal 6,7).

La Chiesa, la sapienza cristiana, ci viene allora in aiuto anche il 2 novembre e ci ricorda l’essenziale. Da sempre prega per i morti. Lo facevano già gli Ebrei, come si evince dal 2° Libro dei Maccabei nell’Antico Testamento: «Perché, se (Giuda Maccabeo) non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Ma se egli pensava alla magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato» (12,44-45). I cristiani hanno sempre creduto che soprattutto la Santa Messa, il vero e unico Sacrificio, e anche le preghiere di suffragio, le penitenze e le opere indulgenziate, fossero di aiuto ai propri cari per espiare le colpe e giungere alla beatitudine in Cielo. Infatti, il Catechismo scrive che «il sacrificio eucaristico è offerto anche per i fedeli defunti che sono morti in Cristo e non sono ancora pienamente purificati, affinché possano entrare nella luce e nella pace di Cristo» (CCC 1371); e continua citando santa Monica, la madre di sant’Agostino, che prima di morire pregò i suoi figli: «Seppellite questo corpo dove che sia, senza darvene pena. Di una sola cosa vi prego: ricordatevi di me, dovunque siate, innanzi all'altare del Signore» (idem).

Giovanni Pascoli (1855-1912), scrivendo la poesia Novembre, dava all’inizio l’illusione che la vita fosse come la primavera, la luce del sole chiara e il profumo del biancospino forte e penetrante. Ma l’illusione dura poco: ecco l’estate fredda dei morti, arriva velocemente l’inverno gelido di novembre, della morte. E la malinconia aleggia con la tristezza che tutto finisce e le foglie della vita, con il loro profumo, cadono per sempre. Noi invece crediamo che la vita non finisce con le foglie che cadono e con il freddo della morte. La vita un senso ce l’ha perché è il Volto di una Persona che ci attende nell’amore. Il Volto di Cristo. È Lui la speranza che in fondo tutti cercano il 2 di Novembre. La speranza che i nostri morti e i loro volti brillino ancora di luce. Questa Luce è solo Dio che la può accendere perché Egli non è il Dio dei morti ma dei viventi (Mc 22,32) e non può abbandonare alla morte coloro che ama.