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ANTICIPAZIONE

Cristo tra gli alpini nella ritirata di Russia

Nel drammatico dietrofront del 1942, rimase viva la fede dei nostri militari che a tutti i costi vollero celebrare il Natale.

Cultura 02_05_2011
libro Torelli

Anticipiamo qui sotto il capitolo "Cristo tra gli alpini" tratto dall'ultimo libro "Sul cappello che noi portiamo. Perchè gli italiani amano gli alpini" (Ancora, pp. 144, euro 13,50) del grande giornalista e inviato Giorgio Torelli. L'episodio citato si riferisce alla drammatica ritirata di Russia dei nostri alpini nel dicembre del 1942.

Vengo a conoscere una storia di Natale e provo a metterla giù. Corre il dicembre dell’anno 1942 e i giorni volgono rovinosamente al Natale. La Russia del Don è una landa che gli eserciti incrostati di ghiaccio si contendono. Avvampano le comete delle katiusce sovietiche. Replicano, dalle grinfie dei cingoli, i cannoni dei Tiger tedeschi. Rinculano, grigioverdi, i pezzi surriscaldati degl’italiani. Il fiume, che ormai è lastra e riflette sulfureo lo scontro di bordate, viene improvvisamente traversato dai carri pesanti dell’Armata rossa.

Cedono di schianto le nostre divisioni di Fanteria. Sbandano, si accalcano in ritirata nel groviglio di slitte, ruote, muli, armi, feriti, assiderati da calpestare e lunghe raffiche dagli aeroplani a stella. Solo gli Alpini reggono. E quelli della Julia – ordine gridato ai telefoni dalle isbe dei comandi – vengono spediti a sud: è là che il fiume fa gomito e la falla dev’essere cauterizzata. Il grosso dei reparti di contenimento accorre a scarponi nella neve alta. Ci sono 35 gradi sottozero. Talora si arriva a meno 42.

Tra i ventenni della Julia, arranca l’artigliere da montagna Romeo De Checchi, contadino da cinque ettari nella lontanissima provincia di Padova. Appartiene al Terzo Artiglieria Alpina, Gruppo Conegliano, 13a Batteria. È un ragazzone con la barba di gelo, le ali del cappello alpino strattonate fin sugli orecchi, un pelliccio di capra russa sopra il pastrano di carta velina. Romeo marcia, spara, combatte, regge, muta posizioni, si rintrona, assale. Tutto si rimescola in quel crepare in piedi prim’ancora che esser morti. Romeo e la sua Julia, piantati dentro lo sgomento della neve, non sanno neppur più che giorni siano.

Il 24 dicembre
, ormai Natale, non arriva neanche nella memoria. In una ventina, ufficiali e soldati (moriranno quasi tutti) sono rimasti amputati dal grosso. L’artigliere padovano 135 Romeo s’infagotta di quel che trova, raccoglie un mitragliatore parabellum che spara comunque, rintrona anche nel freddo più rabbioso, nella morsa che scalza le unghie e strazia naso, occhi, bocca, denti e il palco intero delle ossa. Si combatte ormai senza più accertare il fronte, non c’è buio né luce, la fame devasta. L’artigliere Romeo, paisano e mungitore, resiste alla brama di cibo: non prenderà mai e poi mai «le do pagnòche de pan-biscòto che g’ho sprofondà nel cul del zaino quando che so partìo da casa in luglio». Le pagnotte sono obese, marmoree, stanno in cova sotto il groviglio delle maglie impidocchiate, sotto gli stracci di riserva e l’accozzaglia di un soldato nella steppa.

Le pagnotte
devono restare intatte per il giorno estremo. E intanto il tenente cappellano parla da solo. Ripete nella fiocca sempre più fitta: «Fiói! Oggi xe Natàl! Sarìa grande far la comunión e pregar Dio ch’el ne daga la grazia de vegnir fora da qua e tornar a baita. Ma no g’ho pan! No g’ho gnente!». Adesso una mitragliatrice, poi un mortaio, riprendono a stracciar l’aria. Sparano da vicino al fiume. Volano in fuga, molto neri, uccelli che hanno visto i russi in avanzata. I venti artiglieri alpini sono bruti, dispersi, barboni di guerra, accattoni, sporchi, schifosi, vivi per caso, ingobbiti sotto la tortura, i panni in brandelli, primitiva la fame.

Ma De Checchi Romeo, con le mani da vanga, slarga el zaino, tasta il fondo e ’l tira su le do pagnòche. El capelàn ne fa tochéti. El dà la benedizión. El ne slunga un pezetìn par un, poveri cristi de Alpini, tuti imbambolài. Nel Natale del 1942 venti zóveni italiani sul Don masticarono solo la comunione, el Signor che se faséa pagnòca.