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L'ANNIVERSARIO

Cristina Campo e lo splendore gratuito della liturgia

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A cento anni dalla nascita di Cristina Campo, oltre gli schemi di certa critica che si ferma al suo tradizionalismo. Poetessa tormentata e dalla vita privata sui generis, scrisse pagine meravigliose sulla liturgia come «splendore gratuito, spreco delicato, più necessario dell'utile». 

Cultura 28_04_2023

Un post interessante su Facebook di un noto scrittore italiano, Fulvio Abbate, faceva riferimento alla scrittrice, traduttrice e poetessa Cristina Campo (vero nome Vittoria Guerrini, 1923-1977), di cui si festeggia il centenario della nascita. Nel post di Abbate si affermava: “Mi è impossibile aderire al mito di Cristina Campo, di cui si onora in questi giorni il centenario della nascita, ne comprendo la voce tersa, ma ravviso anche nel suo sguardo sulle piccine cose del mondo un tratto di disumana – vi sembrerà strano – assenza di vera pietà, proprio di chi indossi l'abito di luce minacciosa del divino per calpestare la vera grazia, che è sempre rivoluzionaria, e non affine ai mostri del tradizionalismo cattolico”.

Questa purtroppo è una lettura da sinistra di un mondo che evidentemente non viene per niente compreso. Come mai quel riferimento al tradizionalismo cattolico? Perché Cristina Campo ne fu una protagonista proprio a ridosso di quel Concilio che in un certo senso diede il via al tradizionalismo cattolico di nuova generazione.

Cristina Campo fu impegnata nell’Associazione Una Voce, contribuendo alla fondazione della sezione italiana, ed ebbe un ruolo importante per la stesura del Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae, presentato dai cardinali Ottaviani e Bacci, che molto amareggiò Paolo VI. In quel documento, proprio nella presentazione dei due Cardinali, si trova il seguente passaggio che viene spesso citato: «Come dimostra sufficientemente il pur breve esame critico allegato – opera di uno scelto gruppo di teologi, liturgisti e pastori d’anime – il Novus Ordo Missæ, considerati gli elementi nuovi, suscettibili di pur diversa valutazione, che vi appaiono sottesi ed implicati, rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino, il quale, fissando definitivamente i "canoni" del rito, eresse una barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse l’integrità del magistero». Su questo sono stati scritti fiumi di parole.

Cristina Campo fu poetessa molto apprezzata ed ebbe una vita in parte tormentata, terminata troppo precocemente. La sua vita privata fu anche sui generis, lei cattolica tradizionalista fu legata allo scrittore ed esoterista Elémire Zolla (1926-2002), i cui interessi per la tradizione esulavano certamente dall’ambito cattolico. Forse la Campo si avvicinò a Zolla nel momento in cui cominciò a cercare la bellezza della liturgia nel rito ortodosso, frequentando molto il Russicum. L’archeologo Filippo Delpino, che è stato presidente di Una Voce, la ricorda come un’animatrice instancabile del mondo cattolico tradizionalista, ricevendo spesso a casa sua, perché era frequentemente allettata per via di una malattia cardiaca che poi avrebbe posto fine alla sua breve esistenza.

Cristina Campo, traduttrice dei Detti dei padri del deserto, ci offre alcune belle riflessioni sulla liturgia, come quella in cui dice: «Liturgia – come poesia – è splendore gratuito, spreco delicato, più necessario dell'utile. Essa è regolata da armoniose forme e ritmi che, ispirati alla creazione, la superano nell'estasi. In realtà la poesia si è sempre posta come segno ideale alla liturgia ed appare inevitabile che, declinando la poesia da visione a cronaca, anche la liturgia abbia a soffrirne offesa. Sempre il sacro sofferse della degradazione del profano». Sono parole molto profonde, il concetto di «splendore gratuito» è molto bello ed andrebbe certamente meditato e approfondito.

Proprio continuando su quella linea di pensiero, Cristina Campo così prosegue: «La liturgia cristiana ha forse la sua radice nel vaso di nardo prezioso che Maria Maddalena versò sul capo e sui piedi del Redentore nella casa di Simone il Lebbroso, la sera precedente alla Cena. Sembra che il Maestro si innamorasse di quello spreco incantevole. Non soltanto lo oppose alteramente alla torva filantropia di Giuda che, molto tipicamente, ne reclamava il prezzo per i poveri: "Avrete sempre i poveri, ma non avrete sempre me" - parola terribile che mette in guardia l'uomo contro il pericolo delle distrazioni onorevoli: Dio non c'è sempre e non rimane a lungo e quando c'è non tollera altro pensiero, altra sollecitudine che Se stesso - ma addirittura replicò quel gesto la sera dopo, quando, precinto e inginocchiato, lavò con le Sue mani divine i piedi dei dodici Apostoli, allo stesso modo che Maddalena, scivolando tra il giaciglio e il muro, aveva lavato i Suoi. Dio, come osservò uno spirito contemplativo, si ispira volentieri a coloro che ispira». Credo che tutti coloro che amano la liturgia si sentiranno toccati da questi pensieri così sublimi.