Cristiani iraniani arrestati in Turchia
Reclusi in centri per il rimpatrio in condizioni pessime, rischiano di essere rimandati in Iran da dove sono fuggiti per sottrarsi alla persecuzione
Cinque famiglie cristiane, in tutto 17 persone, sono detenute in centri di permanenza per il rimpatrio in Turchia. Si tratta di persone, tutte tranne un cristiano assiro, fuggite dall’Iran temendo di essere perseguitate per aver abiurato l’Islam ed essersi convertite al Cristianesimo, un reato di apostasia che può costare la vita. Ciononostante le autorità turche intendono rimandarle in patria e, per indurle ad accettare, impongono loro condizioni di vita pessime: scarsità di cibo, acqua e medicinali, sporcizia, isolamento, separazione dei membri delle famiglie (donne e bambini insieme, gli uomini per conto loro) con la concessione di brevissimi incontri solo una volta alla settimana. In una intervista riportata da AsiaNews, uno dei cristiani reclusi, Kamran Topa Ebrahimi, parla di una guerra psicologica: minacciano, dice, la detenzione a tempo indefinito e in condizioni insostenibili in caso di mancato rimpatrio: “come può la Turchia deportarci perché cristiani – domanda – fanno finta di non sapere cosa sta succedendo (in Iran, n.d.A.). Questa è una guerra psicologica contro di noi per costringerci a firmare i nostri moduli di deportazione. Le circostanze sono così difficili che preferiremmo andare in Iran ed essere uccisi più che restare qui”. Kamran racconta poi di sua moglie e dei suoi due figli che vede di rado, che addirittura devono usare un bidone della spazzatura per lavarsi quando riescono a procurarsi dell’acqua, bene primario che spesso manca. Le cinque famiglie, quasi tutte prima residenti a Isparta, nel sud-ovest del paese, sono rinchiuse nei campi della città costiera di Antalya che dista circa due ore di macchina. In altri campi si trovano altri cristiani arrestatati negli ultimi sei mesi in diverse città. Alcuni hanno registrato dei video di denuncia degli abusi inflitti loro e li hanno condivisi sui social, nonostante le minacce della polizia.