Cristiani in Pakistan, la minoranza più perseguitata
Lahore, Pakistan: due chiese sono state colpite da attentatori suicidi talebani. Il bilancio provvisorio è di almeno 14 morti. Prima sconcerto, poi rabbia e infine lutto nella piccola e perseguitata minoranza cristiana locale. Ma questi attentati sono solo una parte del problema. I cristiani pakistani sono minacciati dalla polizia, dalla legge sulla blasfemia e dai pogrom.
Ieri, domenica 15 marzo, due attentati suicidi hanno colpito due chiese cristiane, la Saint John Catholic Church e la Christ Church, a Youhanabad, un sobborgo di Lahore, nel Punjab, dove vive la più grande comunità di cristiani del paese, oltre 100.000 persone. Il bilancio provvisorio è di 14 morti e almeno 78 feriti. L’intenzione di arrecare il massimo danno è evidente. In quel momento infatti le chiese, molto vicine una all’altra, e i loro dintorni erano gremiti di fedeli convenuti per partecipare alle celebrazioni domenicali. Secondo alcune testimonianze, gli attentatori hanno cercato di entrare prima dall’ingresso principale dei due edifici e poi da uno secondario. Fermati dalle guardie di sicurezza insospettitesi, si sono fatti esplodere all’esterno. Passato il primo momento di panico, la folla inferocita ha scatenato una caccia all’uomo, alla ricerca di eventuali complici. Convinta di averne individuati due, ha bruciato vivo un uomo e ne ha linciato un altro. Quindi migliaia di cristiani armati di bastoni si sono riversati nelle strade circostanti, bloccandole, e hanno attaccato una stazione di autobus.
Gli attentati sono stati rivendicati dal gruppo talebano Jamatul Ahrar. “Ce ne saranno molti altri”, ha detto il portavoce del gruppo in una dichiarazione inviata via e mail alla stampa: una minaccia già lanciata nei mesi scorsi dopo che l’esercito aveva sferrato un’offensiva contro le basi dei terroristi nelle regioni montuose del nord ovest, al confine con l’Afghanistan. Per vendetta, a dicembre i talebani hanno attaccato una scuola militare uccidendo 132 alunni, tra i 7 e i 18 anni.
Il Pakistan è ottavo – responsabile di persecuzioni definite estreme – nella classifica 2015 Open Doors dei 50 stati in cui i cristiani sono più perseguitati. Attacchi a chiese e proprietà di cristiani, vessazioni e abusi sono frequenti. L’attentato più grave per numero di vittime si è verificato nel settembre 2013 a Peshawar. Anche in quel caso, due attentatori suicidi si sono fatti esplodere tra la gente all’uscita dalla messa della domenica, uccidendo più di 80 persone e ferendone 120.
Ma i terroristi non sono l’unica minaccia per i cristiani. Il pericolo proviene anche da una parte della popolazione istigata e manipolata dagli estremisti. Tra le vittime più recenti, lo scorso novembre, ci sono i due giovani cristiani di un villaggio vicino a Lahore, marito e moglie, accusati di blasfemia e per questo sequestrati per giorni e poi bruciati vivi in una fornace da una folla – centinaia di persone accorse dai villaggi vicini – convinta che i due poveretti avessero dato fuoco ad alcune pagine del Corano.
Piccola minoranza su una popolazione quasi interamente di fede islamica, i cristiani pakistani mancano di adeguate tutele da parte dalle autorità, quando non sono le stesse forze dell’ordine a infierire su di loro. Il 5 marzo, ad esempio, un giovane cristiano di Lahore è stato torturato per una notte intera dalla polizia ed è deceduto per le violenze subite. Il suo cadavere è stato poi gettato davanti alla porta dei suoi genitori la mattina successiva. Era stato arrestato nell’ambito di una inchiesta condotta dalla polizia per un furto di cui sua madre era stata accusata e di cui lei continua a proclamarsi innocente. Ma a denunciarla è stato il suo datore di lavoro, un musulmano: a lei, donna e cristiana, nessun vuol credere.
Talvolta sono intere comunità a fare le spese dell’ostilità popolare. Un anno fa, durante la quaresima, a Samundari, nel Punjab, le abitazioni di decine di famiglie cristiane sono state demolite senza preavviso per ordine dell’amministrazione comunale, con il pretesto, del tutto infondato, di abusi edilizi denunciati da un proprietario terriero locale. Da allora una parte delle famiglie vivono in tende e ripari di fortuna e le altre presso parenti. Molte hanno perso beni e proprietà, saccheggiati dai vicini. Come se non bastasse, subiscono incessanti minacce e molestie senza che le autorità locali muovano in dito. Solo da poco Khalil Tahir Sindhu, ministro provinciale per i Diritti umani e le minoranze, ha deciso di occuparsi del caso.
Sui cristiani incombe inoltre il pericolo di venire accusati – per dispetto, ritorsione, vendetta… – di aver offeso il Corano e Maometto. Il reato di blasfemia in Pakistan è punito anche con la pena di morte. Per questo è motivo di ulteriore preoccupazione la decisione del governo, annunciata il 10 marzo, di riprendere le esecuzioni capitali, per tutti i tipi di reato, cancellando la moratoria in vigore da oltre sette anni. Attualmente nel braccio della morte in attesa dell’esecuzione ci sono almeno 8.000 detenuti. Tra di loro, c’è anche Asia Bibi, arrestata nel 2009 con l’accusa di blasfemia per aver detto cose offensive su Maometto. La sua condanna a morte emessa in primo grado nel 2010 è stata confermata a ottobre dall’Alta corte di Lahore. Si attende ora l’esito del ricorso presentato dai suoi avvocati presso la Corte Suprema. È il terzo e ultimo grado di giudizio. Se la condanna verrà ribadita, Asia Bibi sarà impiccata.
All’Angelus, Papa Francesco ha avuto parole commosse di cordoglio per le vittime di Lahore: “con dolore, con molto dolore – ha detto – ho appreso degli attentati…i cristiani sono perseguitati, i nostri fratelli versano sangue soltanto perché sono cristiani. Chiedo al Signore che questa persecuzione, che il mondo cerca di nascondere, finisca e ci sia la pace”.
In Pakistan la comunità cristiana ha indetto tre giorni di lutto e la chiusura per un giorno delle scuole missionarie in tutto il Punjab.