
Fuga dall’Iraq, fuga dai Territori palestinesi, fuga dall’Egitto e dalla Turchia. Non c’è pace per i cristiani in Medio Oriente, che sono sempre più esplicitamente nel mirino di terroristi e fondamentalisti. Interessarsene, lavorare perché i cristiani possano rimanere e vivere tranquillamente nelle proprie case, perché in Medio Oriente sia rispettata la libertà religiosa, non è un fatto sentimentale dovuto alla comune “militanza” religiosa. Dovrebbe essere un problema di tutti, perché allontanare i cristiani dal Medio Oriente significa allontanare le speranze di trovare una soluzione pacifica alle gravi tensioni che attraversano questa regione.
Al contrario, i cristiani sono odiati da chi ha bisogno di un nemico per giustificare la propria presenza. Tipico – e drammatico – il caso dei cristiani arabi che vivono tra Israele e Territori palestinesi: disprezzati come “occidentali” dagli arabi musulmani, disprezzati come “arabi” dagli israeliani. Da sempre, chi ha lavorato per risolvere i contenziosi usando la guerra, si è posto come primo obiettivo l’eliminazione della presenza cristiana. Basterebbe ricordare cosa è successo in quel Libano che fino agli anni ’70 – con i cristiani comunità di maggioranza - era considerato la “Svizzera del Medio Oriente” e oggi – dopo una lunga e disastrosa guerra civile – non è riuscito ancora a rialzarsi mentre i cristiani continuano a diminuire.
Non è dunque casuale che in Medio Oriente, attorno al luogo della nascita di Gesù, attorno al luogo dell’Incarnazione e della Resurrezione, si combatta il conflitto che maggiormente preoccupa il mondo. E non si deve considerare soltanto Gerusalemme e dintorni: basti pensare che sono le comunità caldee in Iraq che ancora conservano e parlano l’aramaico, la lingua di Gesù. Cacciare i cristiani da questa regione è allora anche il tentativo maligno – più o meno cosciente - di cancellare ogni traccia visibile dell’amore di Dio, di togliere ogni possibile speranza, per poter lasciare campo libero alle forze distruttrici.
A maggior ragione dunque siamo chiamati ad interessarci di quanto accade in questa regione, a far conoscere la realtà delle comunità cristiane, a lavorare perché possano restare in questi luoghi e portare quei frutti di speranza e di pace che i popoli desiderano.