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PARTITI

Crisi primarie nel Pd, un allarme per la politica

La nuova sconfitta di Bersani a Palermo è un allarme anche per gli altri partiti: manca una proposta politica che si riferisca a una cultura.

Attualità 08_03_2012
Borsellino e Ferrandelli

Anche a Palermo le primarie del Pd sono state un flop per la Segreteria. La cosa era giù puntualmente successa in altri importanti capoluoghi. In ordine cronologico: Milano, Napoli, Cagliari, Genova. In tutte queste occasioni i candidati di Bersani, come la Borsellino a Palermo, sono stati battuti da volti nuovi, genericamente fuori dell’apparato, di non stretta osservanza Pd, con collegamenti anche in altri partiti. In ogni caso su posizioni politiche diverse da quelle del Segretario nazionale e del gruppo dirigente di maggioranza.  A Palermo, per esempio, è stato contestata l’asse con Vendola e l’Italia dei Valori.


Questa tendenza colpisce per due motivi, ambedue legati alla storia di questo partito. Prima di tutto colpisce perché le primarie in Italia le ha inventate il Pd. Ricorderemo le vittorie di Prodi e di Veltroni, ma anche Bersani è lì dove si trova anche perché ha vinto le primarie. Il secondo motivo è che il Pd ha la pretesa di essere l’unico partito strutturato, con una apparato di funzionari e militanti e con una organizzazione sul territorio. Si tratta forse solo di fama, dato che ormai la secolarizzazione della politica ai tempi di internet rende liquidi tutti i partiti, Pd compreso. Però le vecchie polemiche contro Forza Italia e il Pdl che sarebbero stati “partiti di plastica” testimoniano che questa pretesa, almeno nella forma della nostalgia, è ancora presente nelle viscere di questo partito.


In verità le primarie e l’accentramento dell’apparato sono due cose che fanno a pugni tra loro. Corrispondono a due modelli di partito opposti. Quando il Pd le propose e le attuò, Giuliano Ferrara suggerì che il partito si organizzasse senza tessere, senza iscritti e senza congressi. Nelle primarie è infatti implicita la logica del partito leggero e di opinione, di cultura e di messaggi in rete, un partito plurimo e ramificato. Invece, cosa avvenne nel Pd? Avvenne che le primarie furono sempre pilotate dalla segreteria e dall’apparato dirigente e tutti vedevano che non si trattava di sfide vere. Il vincente era già designato e gli altri concorrenti gli facevano ala per vivacizzare almeno un po’ una corsa che altrimenti sarebbe stata a senso unico. Le primarie, in altri termini, erano lo strumento con cui il leader incassava una conferma plebiscitaria per confortate la sua posizione. Furono così le primarie vinte da Prodi e quelle vinte da Veltroni.


Da un po’ di tempo le cose stanno cambiando. Gli esiti delle primarie sconfessano la linea della Segreteria e basta che un candidato sia appoggiato da Bersani perché perda quasi sicuramente.

La risposta del Segretario e dei suoi stretti collaboratori è stata finora insufficiente. Da un lato egli ha moralisticamente denunciato la strumentalizzazione delle primarie per lotte interne di partito. Dall’altro va alla ricerca di nuovi accorgimenti tecnici e procedurali per regolare, o irreggimentare, o commissariare, le primarie. Due soluzioni insufficienti perché non affrontano il problema nella sua vera dimensione, quella politica.


Le modalità di gestione della vita di un partito non sono mai la sostanza, sono solo la forma. La sostanza è sempre la capacità di proposta politica che si nutre a sua volta della capacità di proposta culturale. Se un partito non sa decidersi se andare a sinistra o al centro, se sta al governo di fatto con il nemico di ieri, se spinge per riforme liberali rifiutando di dirsi liberale, se non sa come impostare i rapporti con il sindacato di riferimento, se non ha ancora deciso se continuare ad essere un partito radicale di massa o un partito neoborghese di nicchia, insomma se non ha una linea è giocoforza che una linea cerchino di trovarla i candidati locali alle primarie.


Il primato dell’impostazione culturale e politica rispetto alle procedure della vita interna non riguarda solo il Pd ma tutte le forse politiche. Anche il Pdl sta conducendo i propri congressi provinciali, ma siccome avvengono in una mancanza di linea politica chiara e non si conosce nemmeno il nome che il partito avrà in futuro, si riducono spesso a scaramucce di piccolo cabotaggio. L’Udc in questo momento non ha una linea chiara e per le amministrative in Sicilia ha già stretto accordi con il Pd, decidendo così di non appoggiare eventuali candidati limpidamente cattolici.

A suo modo, l’esito delle primarie nel Pd chiama in causa la politica, o meglio l’assenza della politica, che è durata già troppo a lungo. Aumentano così le ambiguità e i cattolici per primi non possono esserne contenti.