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CALO DELLE NASCITE

Crisi demografica, problema globale

La crisi demografica non riguarda soltanto l'Italia e neppure solo l'Europa. E' una crisi globale. Le sue cause non vanno ricercate nella crisi economica, semmai in una precisa operazione culturale, nata negli Stati Uniti negli anni '60 sulla pianificazione familiare.

Famiglia 21_10_2016
Lezione di pianificazione familiare in Africa

E’ ironico, ma anche consolante, che ieri la Repubblica abbia dedicato un forte richiamo in prima pagina e poi due intere pagine interne alla crisi demografica italiana. E’ divertente considerando da quale pulpito viene la predica, ovvero dal principale arengo in Italia della cultura che è all’origine, fra molti altri guai, anche della crisi demografica. E’ confortante perché conferma che possiamo sperare di essere finalmente all’inizio della fine del grande progetto politico-culturale planetario che ci ha portato in questa situazione. 

Diversamente infatti da quanto di solito si pensa, la vicenda si situa a un livello che va ben oltre quello nazionale. Ed ha inoltre legami assai meno stretti legami di quanto si vada raccontando con la crisi economica in corso. In Italia il numero medio di figli per donna, 1,34 nel 2005, è cresciuto fino a 1,46 nel 2010, e solo dal 2011 in avanti ha iniziato a diminuire fino al livello di 1,35 fatto registrare nel 2915 e ai dati ulteriormente preoccupanti del primo semestre del corrente anno. Tenuto conto che la crisi economica è iniziata nel 2008, non si può dunque affatto dire che ne sia stato il detonatore. In realtà alla sua radice vi sono motivi che attengono molto più ai convincimenti profondi che all’economia. Più che la scarsità di risorse e le incertezze sul futuro pesano la scarsità di fiducia nella provvidenza e l’incertezza sul senso della vita. Di pari passo con il crescere dell’influsso culturale planetario delle élites secolarizzate dell’Occidente, le paure e le incertezze, che ne sono il frutto inevitabile, si sono poi diffuse tanto  nelle sue masse quanto quasi ovunque nel resto del mondo. 

Oggi pertanto la crisi demografica non è più una questione europea. Sarebbe ora di accorgersi che essa si è estesa alla maggior parte del resto del mondo. Si tratta in effetti dell’esito non previsto di una grande operazione strategica concepita negli Stati Uniti nei primi anni ’60 del secolo scorso: quella che consisteva nello stimolare con forza la crescita demografica negli Usa diffondendo frattanto paura di tale crescita nel resto del mondo. Fu un progetto coronato dal massimo successo: dai meno di 200 milioni di abitanti che avevano nel 1965 gli Stati Uniti sono giunti oggi ad averne quasi 320 milioni. E’ una crescita enorme, un dato peraltro reperibile su qualsiasi annuario, ma sul quale il sistema massmediatico internazionale non ha mai posto l’accento; e che pertanto resta ignoto al vasto pubblico. Nel frattempo una rete di influenti think tanks al di fuori degli Usa si incaricavano di diffondere la paura di un incontrollabile boom demografico prossimo venturo. Un nodo fondamentale di tale rete era costituito dal Club di Roma, fondato nel 1968 e divenuto celebre nel 1972 grazia alla grande eco internazionale del suo primo rapporto su I limiti dello sviluppo.

Il primo obiettivo di tale grande operazione strategica era la Cina, che abboccò e  che avviando con tutta la forza perentoria di cui è capace un regime autoritario la sua “politica del figlio unico” si mise senza rendersene conto sulla via che l’avrebbe portata alla grave crisi demografica cui ora si trova di fronte. Come già un’altra volta ricordammo da allora ad oggi il processo non mai smesso di continuare causando, sempre a partire dagli strati sociali più colti e agiati, il declino demografico di buona parte del mondo. In pratica soltanto l’India, l’Africa sub-sahariana e alcuni Paesi del Medio Oriente sono ancora in crescita. Tutto il resto del mondo ristagna o declina.  Non solo: in un’epoca in cui la comunicazione di massa non incontra più le barriere che nella seconda metà del secolo scorso ancora la frazionavano, il progetto è andato pure oltre le intenzioni dei suoi promotori. Oggi infatti anche gli Usa sono scesi a un numero medio di figli per donna inferiore a 2, ovvero  pari a 1,9. Sono scesi cioè, anche se per ora soltanto di poco, al di sotto di quel limite di 2 figli per donna, che è il minimo necessario per garantire quanto meno la stabilità della popolazione umana di un Paese.

Tutto sommato, se si allarga lo sguardo all’intera popolazione della terra ci si avvede che siamo ai prodromi di una crisi demografica non più europea ma planetaria. E’ vero che una parte rilevante della popolazione mondiale è ancora in crescita, con punti anche in grandi Paesi come la Nigeria e il Congo, ma nell’insieme si è prossimi alla stagnazione, con la maggior fertilità dell’India che non basta a compensare sine die il declino demografico della Cina. Senza poi tener conto che le persone non sono birilli spostabili a piacere da un Paese all’altro. Siamo insomma di fronte a un’emergenza planetaria, ciononostante largamente ignorata se non censurata in sede internazionale. E innanzitutto dalle Nazioni Unite che non a caso, dopo la Conferenza del Cairo del 1994, per non dover ammettere di aver diffuso e accreditato false teorie non hanno più convocato ulteriori conferenze sulla popolazione.