Crisi del lavoro. Vedi alla voce: crisi della persona
La persona ha iniziato a pensare che la libertà fosse svincolata da ogni responsabilità. Così ha origine la crisi della persona e delle sue relazioni. Così inizia la crisi del lavoro e dei corpi intermedi, prima di tutto i sindacati. Ne parliamo con Giuseppe Sabella, studioso del caso Fiat, direttore del think tank Think-in specializzato nel mercato del lavoro.
Il caso Fiat, lo scontro serrato fra la grande azienda dell’auto italiana e il sindacato Fiom, oltre allo strappo con la Confindustria, ha inaugurato una nuova era. Renzi, con le riforme del lavoro (Jobs Act) potrebbe contribuire a completare questo cambiamento.
Il lavoro è principalmente un’attività della persona. Dunque, per capire la crisi del sistema italiano, occorre, prima di tutto, prendere a prestito argomenti dall’antropologia e capire quale crisi stia vivendo la persona. Ne abbiamo parlato con chi, in questi mesi, si è occupato del caso Fiat e dei suoi risvolti politici e sociali. Giuseppe Sabella è direttore di Think-in, think tank specializzato nel mercato del lavoro e autore di Da Torino a Roma, attacco al sindacato (Guerini e Associati, Milano 2015) in cui sintetizza la crisi e rinascita della Fiat e poi allarga il discorso a tutto il sistema economico italiano. Il suo libro è diventato un caso editoriale, introdotto da Giorgio Squinzi (presidente di Confindustria) e commentato a Milano da Pietro Ichino, il senatore e giurista che si è sempre battuto per la riforma del lavoro.
Giuseppe Sabella, ci spieghi perché, a suo avviso, la crisi del sistema italiano parte da una crisi della persona.
E’ abbastanza evidente che, fino a pochi decenni fa, una certa idea di persona e di uomo reggeva alla prova dei tempi: la persona responsabile che sapeva coniugare con maturità i suoi diritti ai suoi doveri e alle sue responsabilità. Il grande cambiamento antropologico dell’ultimo mezzo secolo consiste nel fraintendimento della libertà, intesa come piena licenza (“ognuno può fare quello che vuole e realizzare i suoi desideri”), trattando la libertà come fosse altro rispetto alla responsabilità. Il Sessantotto, ormai è chiaro, ha avuto le sue enormi responsabilità culturali. E la persona, svincolata dalla sua responsabilità, resta fragile e disorientata, auto-centrata e priva di riferimenti. Questa è la crisi della persona.
Che influenza ha la crisi della persona su quella economica?
Non solo nel lavoro e nell’azienda, ma in ogni situazione relazionale (dalla famiglia in poi, in qualsiasi corpo sociale intermedia) la crisi della persona provoca disastri. Questa libertà avulsa dalla responsabilità, dove qualunque capriccio si abbia in mente diventa un giusto diritto, porta a vivere la relazione con l’altro senza alcun rispetto per il prossimo. Se parliamo di lavoro, di azienda e di sindacato, noi assistiamo a una loro trasformazione: non pensano più a un bene comune, o a un interesse comune di chi ne fa parte. Il sindacato, ad esempio, diventa auto-referenziale, basato sulla difesa, non più della persona, ma dell’organizzazione medesima. Non è neppure più in grado di cogliere le esigenze dei suoi iscritti, il motivo per cui è nata, ma difende se stessa, i suoi interessi costituiti di sistema organizzato, diventa essenzialmente una lobby, nel senso peggiore del termine.
I sindacati, tuttavia, sono nati con degli scopi ideologici molto forti, in alcuni casi rivoluzionari…
E’ anche vero che, nella loro storia settantennale, dal dopoguerra in poi, i sindacati hanno contribuito alla modernizzazione dell’Italia. Dopo il fascismo che aveva congelato un sindacalismo appena nato, dopo la guerra, il nostro paese ha conosciuto uno sviluppo industriale importante. L’economia, allora, era un sistema-nazione e il sindacato, almeno fino agli anni ’70, ha guidato questa crescita. Il sindacato è partecipe del boom economico degli anni ’50 e ’60. Nelle fabbriche ha sempre svolto una funzione intermedia tra vertice aziendale e base operaia. Aveva un senso come organizzazione basata sulla persona lavoratrice e non su se medesima. I sindacati erano molto ideologici, è vero. Ma quelli successivi alla Seconda Guerra Mondiale, erano gli anni delle ideologie forti, non solo nel mondo del lavoro. Il problema, a mio avviso, nasce dopo il Sessantotto. Da quella frattura in poi i leader sindacali iniziano a diventare delle star. Ed è questa la causa della decadenza progressiva del sistema sindacale italiano: sindacalisti che imperversano nei giornali e nelle televisioni. Il sindacato ne risente molto, perché le sue battaglie vengono condotte, a questo punto, non nel nome degli interessi concreti dei lavoratori, per conquistare maggior spazio politico e mediatico. Tant’è che, stando a fatti concreti, fino agli anni Settanta, la base del sindacato era molto vitale. C’erano iniziative di fabbrica, giornali di fabbrica, c’era tutta una società civile che cresceva attorno a quel mondo. Dagli anni Settanta, invece, la figura del leader sindacale diventa sempre più incombente e la base avvizzisce, spariscono tutte queste iniziative che costituivano la linfa vitale delle organizzazioni dei lavoratori.
Come nasce il caso Fiat?
E’ un caso patologico per l’intero sistema. Lo stesso Sergio Marchionne (amministratore delegato della Fiat, ndr) ammette di aver commesso una leggerezza. Quando annunciò il piano industriale, Maurizio Landini era appena stato eletto segretario generale della Fiom. Nel momento in cui avviò una trattativa allo stabilimento di Pomigliano, con la Fiom di Napoli, Landini si sentì escluso. Non ci fu una concertazione a livello nazionale, prima di quella locale. Avendo saltato questo passaggio, i vertici sindacali temettero di perdere potere a favore della base. Detto questo, Cisl e Uil si dimostrarono più aperte nei confronti della contrattazione aziendale e scommisero sul piano industriale, pensano alle ricadute benefiche che un successo avrebbe avuto sui loro iscritti.
Dopo il caso Fiat, cosa cambia?
Pur non ammettendolo, ora Landini ha capito di aver commesso un errore. A Termoli sta firmando accordi di cassa integrazione assieme ad altri sindacati, gli ultimi scioperi che ha proclamato hanno avuto ben poche adesioni. La sua strategia è stata fallimentare e gli è costata la perdita di moltissimi tesserati. Però, se in Italia consideriamo che abbiamo 400 contratti collettivi nazionali, quello dei metalmeccanici è solo 1. La patologia è solo in quel settore, non in tutto il mondo del lavoro, nemmeno in tutto il mondo sindacale. Certo, c’è una cultura che deve crescere, c’è un sindacato che deve avvicinarsi ancor di più ai problemi dell’impresa. E il vero problema non è costituito tanto dalle federazioni, ma dalle confederazioni, che sono quelle che si fanno sentire di più, con le varie Camusso. E’ finita l’epoca dei leader sindacali che si ergono a santoni. Non ci crede più nessuno. E meno male. E’ questo il cambiamento in atto: un movimento sindacale che sarà sempre meno politico e mediatico. Il governo Renzi fa le leggi senza neanche più ascoltarli ed ha il consenso necessario per farlo. Gli italiani non si rendono ancora conto della rottura che si sta consumando fra politica e sindacato. Ed è proprio questa, fra l’altro, la condizione necessaria, il primo passo da compiere, per riformare il sistema economico, perché fino ad oggi è rimasto bloccato a causa del consociativismo Stato-sindacati, sostenuto dai media. Tutto è rimasto bloccato e i peggiori affari sono stati conclusi (il mantenimento delle miniere del Sulcis, Alitalia che non fallisce e non vende, l’Alfa Romeo…) nel nome di tessere e di consensi. Non c’è dubbio che Renzi abbia deciso di rompere con questa abitudine.
E questo cambiamento in atto può contribuire a risolvere la crisi della persona, tornando all’origine della questione?
Non credo. Perché stiamo parlando di un problema culturale troppo profondo e troppo vasto. Il progresso tecnologico, soprattutto nella riproduzione, facilita questa rivoluzione antropologica: puoi soddisfare la voglia di maternità o paternità anche fuori dall’età fertile, fuori da un rapporto di coppia, o in un rapporto che, in sé, non genererebbe vita. Basti pensare a questi casi estremi, che stanno diventando comuni, per comprendere fino a che punto sia arrivata la crisi della persona, fino a che punto la libertà sia svincolata dalla responsabilità. La crisi antropologica è andata ben oltre l’ambito del lavoro. Il sistema può essere razionalizzato, reso più efficiente e al passo con la globalizzazione, ma la crisi della persona andrà avanti.