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IL CASO

Così l’amicizia ha vinto l’aborto La storia di Faiza

Tutto è cominciato sabato 13 febbraio, quando Davide, un amico che vive nei pressi di Imola, mi chiama mentre sto stirando: «Senti, ti devo dire una cosa: Faiza è incinta del quinto figlio, ma suo marito Ibrahim dice che vuole abortire anche se lui non vuole». Mi appoggio all'asse con un groppo in gola e penso alle volte che ho ricevuto notizie simili: «Ci risiamo, un'altra volta». Faiza è ormai una sorella per me...

Vita e bioetica 26_02_2016
Faiza, la storia di una vita salvata

Viaggiare in silenzio, commossi e sbalorditi dalla consapevolezza di essere stati strumenti di un miracolo senza alcun merito se non quello di un fragile sì. «Ho pensato che ti avrei accompagnato qui a Imola, ma ero sicuro che non avremmo ottenuto quello che volevamo. Invece il Signore si è servito anche di questo sì scettico», mi confessa Depa con gli occhi lucidi. Sì, Dio ha risposto alle suppliche di centinaia di persone. 

Tutto è cominciato sabato 13 febbraio, quando Davide, un amico che vive nei pressi di Imola, mi chiama mentre sto stirando: «Senti, ti devo dire una cosa: Faiza è incinta del quinto figlio, ma suo marito Ibrahim dice che vuole abortire anche se lui non vuole». Mi appoggio all'asse con un groppo in gola e penso alle volte che ho ricevuto notizie simili: «Ci risiamo, un'altra volta». Faiza è ormai una sorella per me. Conosciuta quasi cinque anni fa per lavoro, siamo diventate amiche dopo che la sua vicenda travagliata mi era entrata dentro con il desiderio che fosse salvata. Avevo quindi cercato qualcuno nei dintorni che le potesse fare compagnia e, attraverso mio fratello, avevo conosciuto Davide e Sara, una coppia di sposi con due figlie dell'età di quelle di Faiza, che hanno accolto il nostro bisogno. 

Alzo la cornetta sperando che Faiza mi confessi la sua paura: «Faiza, senti, sai che non devi accettare di farti sfruttare al lavoro. Prima di tutto te e i tuoi figli. Ti ricordi tutte le volte che hai mollato i tuoi progetti? Dio ti ha ridato cento volte tanto!». Il tentativo, però, fallisce. Lunedì mattina vado a Messa alle 7 e lì comincio a chiedere ad alcuni amici di pregare. Torno e richiamo Davide che mi spiega di aver passato la sera precedente con Faiza, dopo averle confessato di aver saputo da Ibrahim della gravidanza: «Alla fine mi ha detto che ero come un fratello e a un certo punto credevo ci avesse ripensato, ma poi ha ripetuto le parole della dottoressa sul fatto che non si può dividere l'amore in cinque e che deve pensare a sé stessa». Il cuore mi si stringe pensando che questa cultura della morte è la conseguenza del vuoto lasciato da noi cristiani. Che nel vuoto, si sa, ci entra il mondo. 

Bisogna correre ai ripari. Richiamo Faiza: «Faiza senti, stai bene? Perché mi ha detto Davide che sei un po' a terra». Risposta: «No ecco, lo sapevo...sì sono incinta ma questa volta non mi convinci. Ormai è tutto fissato, lunedì abortisco». Poi mi ripete le parole della dottoressa. Capisco che hanno cercato di oscurare la verità in lei e che mi tocca dirgliela: «Ma tu vuoi davvero uccidere tuo figlio e lasciare che questo ti perseguiti?». Segue un silenzio che dura due minuti interi. Poi riprende: «Ho un lavoro adesso, questa volta non posso...». Non mollo e alla fine della chiamata riesco a ottenere solo un «dai Benny vediamo» che non mi convince per niente. Questa volta da sola non posso farcela e sulla strada per andare al lavoro comincio a chiamare preti e amici affinché preghino. Fra gli altri sento Giovanni, un amico di Cremona a me carissimo, e con dolore gli spiego la faccenda. 

Il giorno dopo mi risponde che ha organizzato un rosario per Faiza e che sta rinunciando a fumare, poi mi manda una lettera per lei: «La Benny per me è come una sorella, quindi ogni fatto che la riguarda, che sia per lei fonte di gioia o dolore, è parte di me, si fissa al mio cuore e alla mia carne... Aggiungo le mie preghiere e di tutti coloro che vorranno unirsi perché il tuo cuore di mamma non si pieghi a un progetto di morte. Oltre a questo aggiungo un’altra parola che mi esce dal cuore: se è vero che non riusciresti a trovare uno spazio d’amore per questo nuovo bambino che aspetti, ti prego e ti supplico di non decidere che questo senso di fragilità che tu provi si tramuti in odio verso questa vita nascente. Se credi impossibile per te accogliere questo bambino, per motivi che non conosco, ti prego e ti supplico, in nome di Dio, di non volerlo cancellare. Piuttosto decidi perché viva e trovi un riparo. Io e mia moglie possiamo accoglierlo, anche per te... Noi abbiamo già quattro figli e una bambina nascerà tra due mesi...». Faiza vuole il numero di Giovanni, lo chiama e gli confessa che leggendo la lettera si è accesa una lucina.

La sera stessa preghiamo con gli amici a casa mia. Spiego loro che da tempo avevo deciso che il sabato successivo sarei andata a sentire la testimonianza di Enrico Petrillo, marito di Chiara Corbella, la giovane donna morta dopo aver rifiutato le cure dal carcinoma perché incinta e che precedentemente aveva accompagnato al cielo due figli appena nati. Penso quindi di raggiungere Faiza la domenica. Depa si offre di accompagnarmi all'incontro e poi da lei, mentre Pol mi scrive: «Benny ma perché non inviti anche Faiza a sentire Enrico?». Non ci avevo pensato, ma solo in quel momento mi accorgo che non può essere un caso che l'incontro sia vicino a casa sua e chiedo l'intercessione anche di Chiara. Intanto aumentano le persone che pregano e Faiza accetta di venire all'incontro con Ibrahim. Ci incontriamo in Chiesa insieme ai tanti amici che le presento. Ascoltiamo la testimonianza e il video di Chiara, morta lieta. Rimaniamo tutti colpiti da una cosa che viene ripetuta: «La felicità è dire sì ai progetti di Dio anche se sono faticosi». 

Finita la testimonianza io e Depa andiamo da Faiza e Ibrahim a dormire. Ovviamente io e lei non ci addormentiamo: «Caspita Benny, ma chissà come ha fatto Chiara...». Le dico che ha detto sì e che possiamo farlo anche noi. Riposiamo qualche ora, svegliate poi dai bambini che ci aspettano da ieri sera. Mangiamo una colazione da principi preparata da Faiza, poi con Ibrahim e i bambini, io e Depa usciamo a prendere da bere. In macchina la terzogenita, Najla, mi domanda perché sul rosario che tengo al polso c'è Gesù in Croce. Le rispondo che è il figlio di Dio e che ha deciso di addossarsi tutto il nostro male per salvarci e risorgere. Lei mi spiega come pregano i musulmani quando supplicano il perdono. Al supermercato mi fa una domanda sulla Comunione e alla mia risposta un dipendente si ferma chiedendoci di pregare per suo figlio gravemente handicappato. Lo abbracciamo e gli assicuriamo preghiere. Ma prima di rimetterci in macchina compriamo un bracciale a Faiza, che lo desiderava da tempo. 

A casa per il pranzo ci sono già Davide e Sara con le figlie. Faiza ha cucinato tutta mattina le specialità marocchine. Dopo mangiato Depa, che si è conquistato i bimbi, li porta fuori a giocare. Io e Sara rimaniamo con Faiza, mentre nel frattempo leggo loro i messaggi che continuano ad arrivarmi: stanno pregando ben due monasteri di clausura e tanti gruppi di preghiera, un'amica sta digiunando, un'altra incinta del quinto figlio offre i dolori e la nausea. Gli sms per lei sono tantissimi, mentre altre due amiche mi inviano delle lettere. Livia le scrive: «Stanno pregando con me i miei figli...Offrono i piccoli sacrifici per te... Io e mio marito siamo separati e i loro primi anni di vita sono stati molto difficili a causa nostra. Ma nei bambini c’è qualcosa di incredibile, c’è una luce e una forza che Dio mette in loro come Suo sigillo, tanto che io posso dire: sono loro i primi a sostenermi nella vita!...Eppure già in quell’istante in cui sono ancora dentro di noi, possiamo essere tentati di farci padroni di tanta bellezza.....Questo figlio è un dono fatto a te Faiza, per te, per la tua gioia, per i tuoi figli e per tuo marito. Ti prego, non rifiutarlo! Non uccidere questo segno vivo del Suo amore. Perdonami se mi permetto di parlare così, senza neanche conoscere la tua storia, ma il bene che ti vuole Benedetta e il bene che ti vogliamo ormai tutti noi...mi assicura che non sarai sola nelle fatiche». 

Le mostro un video su YouTube in cui Chiara Corbella spiega che la verità sui figli in grembo è inequivocabile e che sebbene il mondo provi ad oscurarla è nel cuore di ogni madre. Intanto arriva anche Pelle, un altro caro amico della zona che studia a Milano. Io lui e Depa giochiamo a nascondino con i bambini, quando una macchina entra in cortile. Faiza si avvicina e mi spiega che è Angela, un'amica del Movimento Per la Vita che non sentiva da due anni e che il giorno prima l'ha chiamata “per caso” chiedendole come stava: «Le ho spiegato e mi ha detto che non posso farlo». Con lei c'è Donato, un amico del Banco Alimentare della zona. Risaliamo in casa, mentre Pelle e Depa si prendono cura dei bambini permettendoci così di parlare. Li guardo dalla finestra e mi commuovo pensando di nuovo che non sono sola, ma in un Corpo in cui ognuno, vicino o lontano, sta facendo la sua parte. Davide chiede a Faiza di leggere la lettera di Giovanni e Ibrahim annuisce a ogni frase. Angela spiega di tutte le vite che si sono salvate e della gratitudine di chi non ha ceduto all'inganno dell'aborto. Anche gli amici del Banco Alimentare assicurano il loro supporto. La piccola Hadia piange con la febbre: «Domani mattina – continua Angela – non vai ad abortire ma la porti in ospedale». Davide si propone di tornare la mattina seguente, ma Faiza risponde: «Tanto ormai ho deciso». Il silenzio dura una frazione di secondo che mi pare infinita: «...Lo tengo». 

Scoppio di gioia, la abbraccio e corro fuori ad avvisare gli altri. Angela nota che «se per questo bambino ha pregato tanta gente, chissà che ci farà Dio». Faiza ride, e mi chiede di rimanere a dormire mentre ci confessa che siamo come la sua famiglia. Il giorno dopo devo lavorare, ma capisco anche che devo restare fino alla fine. Gli amici se ne vanno e mentre Faiza e Ibrahim portano la piccola dalla guardia medica, io e Depa facciamo i compiti con i figli maggiori, che poi gli si mettono in braccio. Dalla cucina mi godo la scena in silenzio: un anno fa ero io a tenerli sulle gambe su quello stesso divano, parlando loro di come Gesù ama i bambini, ma ora quelle parole si fanno carne, per loro e per me. Lui è qui e ed è così bello che ogni volta che accade non mi sembra vero. Quando Faiza e Ibrahim tornano ci mettiamo a tavola, dove comunichiamo la notizia ai bambini e parliamo della violenza dei Talebani in Afganistan. Dopo cena Pelle si unisce a noi di nuovo. Seduti sul divano, quasi senza accorgerci, cominciamo a cantare e ballare canzoni come la “La Nave Nera” o “La santa Caterina” interpretata dai bambini. 

So che il Cielo sta festeggiando con noi, tanto il cuore ci scoppia di gioia. Non si vorrebbe mai andare a letto, consapevoli che il Signore ci sta concedendo una grazia particolare mostrandosi con prepotenza. I bambini piangono la nostra prossima partenza, scegliamo quindi di concludere con la canzone della Preferenza: «Ma Tu hai preferito me fra tutti quelli che hai incontrato, fra tutti i figli del creato che hanno abitato la terra il mare e il ciel…e tutto è nuovo adesso che mi hai detto che mi sei amico… Quando partirai io farò da sentinella, certo che la vita è bella, che in ogni seme un fiore c'è». Prima di addormentarci Faiza mi confessa di essere colpita dalla disponibilità di Sara e Davide, della forza con cui Angela combatte, del bene di Depa ai suoi figli e aggiunge: «Avrei dovuto abortire tra poche ore invece è il giorno più bello della mia vita». Le dico che è così perché «Gesù è qui fra noi: è questo che rende così contenti». 

Mi addormento con il sorriso, pensando a tutte le persone che oggi erano con me e a quelle presenti con la preghiera. La tenerezza della Sua misericordia ci ha raggiunti prepotentemente attraverso il Suo volto misericordioso e vivo nel Corpo di una Chiesa in grado di vincere la menzogna con la forza di una carità piena di verità. Depa si dice colpito dal fatto che «la verità conquista il cuore e permette di incontrare tutto e tutti». Per l’ennesima volta ne abbiamo fatto esperienza. Tornando a Milano attraversiamo la campagna in silenzio, un po' come i discepoli che pur non credendo lo hanno visto risorto: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto?». Recitiamo l'Angelus ricordandoci la potenza che può avere un fragile sì detto insieme. Il mese prossimo ritorneremo qui, solo più numerosi.