Così il matrimonio è via alla santità e alla bellezza
«Se il destino non spezzerà l’amore, sarà una vittoria dell’uomo». Sono le parole di Cristoforo a Monica, la fidanzata “ferita” dal tormentato rapporto con i genitori. Succede nel terzo e conclusivo atto de La bottega dell’orefice di Karol Wojtyla dove il matrimonio si presenta così come via alla santità e alla bellezza.
Nel terzo e conclusivo atto Cristoforo dialoga con Monica, la sua fidanzata. Cristoforo è figlio della coppia presentata nel primo atto, Teresa e Andrea, una coppia unita nello spirito, che è stata spezzata solo dalla guerra che si è portata via lui al fronte.
Cristoforo, che ha potuto conoscere il padre solo attraverso la madre Teresa, rivela a Monica: «Non conosco mio padre, quindi non so cosa si chieda ad un uomo. Comincio la vita da capo. Non ho modelli pronti. Mio padre rimase in mia madre, quando cadde non so su quale fronte. Da me non veniva mai, non passava con me le sue giornate. L’idea del padre mi è stata innestata da lei – crescevo così, pensando più spesso di quanto credi al suo destino di donna, alla sua solitudine piena dell’assenza di lui che io ripresento in me. Ma per te non voglio un destino simile. Voglio la presenza».
Vivo è il sentimento di gratitudine di Cristoforo, perché l’incontro con Monica gli ha permesso di conoscersi meglio e di comprendere la sua esistenza «come uno straordinario insieme». L’incontro con la donna è come quel pezzo del puzzle che permette di vedere meglio l’immagine complessiva della propria esistenza. È un incontro di cui si ricordano la data, la circostanza, gli sguardi. Monica, figlia della coppia presentata nel secondo atto, Stefano e Anna, ha conosciuto entrambi i genitori, ma è piena di paura, perché la madre e il padre si sono separati, lasciando in lei una profonda insicurezza riguardo alla scelta matrimoniale che la spinge a chiedersi se possa l’amore umano «durare quanto la vita di un uomo». «L’amore è una sfida continua», ogni istante si gioca la nostra scelta di amare, di riaffermare la strada intrapresa un giorno verso il nostro destino.
«Se il destino non spezzerà l’amore, sarà una vittoria dell’uomo». Cristoforo cerca con queste parole di guarire le ferite che la fidanzata ha ereditato dal rapporto dei suoi genitori. L’amore risana le ferite, ricompone i traumi, riempie le assenze e le mancanze. L’amore di Cristoforo per Monica è come se cercasse di donare a lei il padre Stefano e la madre Anna che hanno mancato al loro compito. Alla fine, Cristoforo e Monica decidono di sposarsi.
La figura di Adamo incarna l’uomo che è pienamente tale, è amico comune delle coppie Teresa e Andrea, Anna e Stefano. È lui che porta a Teresa la notizia della morte del marito al fronte, è lui che sta vicino a Cristoforo dandogli consigli come un padre, è sempre lui che parla ad Anna cercandole di ricordare che, al di là degli amori, bisogna cercare sempre ed unicamente quell’Amore vero che dà senso e compie tutti gli altri amori e senza del quale tutti gli altri amori sono destinati a svanire come sogni fatui.
Sarà Adamo a richiamare in un lungo monologo conclusivo il significato più profondo dell’amore: «Certe volte la vita umana sembra essere troppo corta per l’amore. Certe volte invece no – l’amore umano sembra essere troppo corto per una lunga vita. O forse troppo superficiale. In ogni modo l’uomo ha a disposizione un’esistenza e un amore – come farne un insieme che abbia senso? E poi questo insieme non può essere mai chiuso in se stesso. Deve essere aperto perché da un lato deve influire sugli altri esseri, dall’altro sempre riflettere l’Essere e l’Amore assoluto. Deve rifletterli almeno in qualche modo».
Per Karol Wojtyla il matrimonio si presenta così come via alla santità e alla bellezza, cioè, via pulchritudinis, strada privilegiata per l’incontro con lo Sposo (Cristo) che prende per noi il volto del consorte della nostra esistenza, ma che non si esaurisce in lui. Si spalanca al contrario su tutto e verso tutti.