Cosa c'è dietro il polo editoriale di centrodestra
Con la cessione del Giornale da parte della famiglia Berlusconi ad Angelucci, già editore di Libero e Il Tempo, si profila un nuovo polo editoriale riconducibile al centrodestra. L'operazione, però, conferma l’assenza nel nostro Paese di editori puri: quest'anno i grandi giornali avranno un sostegno in più da parte dei colossi della Rete, che saranno obbligati a versare nelle loro casse ingenti somme per la condivisione dei contenuti giornalistici. Potrebbe essere un toccasana, il tanto agognato ossigeno per rivitalizzare un mondo editoriale in agonia.
La notizia era nell’aria da settimane. Già il 2 dicembre l’indiscrezione era stata lanciata da Bloomberg. Tuttora viene smentita dalla proprietà, ma solo perché è necessario certificare i bilanci prima dell’effettiva cessione. Il quotidiano Il Giornale dopo 45 anni viene ceduto dalla famiglia Berlusconi alla famiglia Angelucci. Di per sé non sarebbe una notizia eclatante, ma lo diventa perché l’acquirente è già un soggetto noto nel mondo dell’informazione, essendo editore di altri due quotidiani: Il Tempo e Libero Quotidiano. Questo significa che sta per nascere una sorta di nuovo polo di centrodestra dell’editoria, in competizione con il gruppo Rcs-Corriere della Sera, il gruppo Gedi La Stampa-Repubblica, il gruppo Riffeser-Monti (Quotidiano Nazionale-Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno), il gruppo Caltagirone (Il Messaggero-Il Mattino-Il Gazzettino di Venezia), solo per citare i principali soggetti dell’attuale galassia editoriale italiana.
La famiglia Berlusconi vende dunque lo storico quotidiano fondato da Indro Montanelli il 25 luglio 1974, dopo l’addio al ‘Corriere della Sera’. Va detto che anche dopo il suo ingresso in politica Silvio Berlusconi ha sempre garantito autonomia editoriale alla creatura montanelliana, anche se lo storico fondatore non fu di questo avviso, tanto che fondò, nel 1994, La Voce, proprio in contrapposizione al Giornale, sperando di riuscire a far perdere le elezioni politiche a Berlusconi, che invece le stravinse. Peraltro con Vittorio Feltri al timone la testata di via Gaetano Negri toccò livelli di vendita mai raggiunti con Montanelli.
Da allora ne è passata acqua sotto i ponti. Il Giornale nel tempo ha sbiadito la sua impronta liberale ed è apparso spesso appiattito sulla narrazione berlusconiana, in particolare con l’attuale direzione di Augusto Minzolini.
Ora, però, si volta pagina perché i Berlusconi non se la sentono di continuare a puntare su una testata in deficit da molti anni (8 milioni le perdite registrate nel 2021). L’indiscrezione è stata pubblicata su Twitter dal giornalista Nicola Porro, vicedirettore, che però è stato smentito da Paolo Berlusconi e dagli altri azionisti. «Il Giornale sarà venduto, se sarà venduto, nei prossimi mesi con un passaggio delle azioni. Ad oggi non ci sono ancora passaggi», ha assicurato Paolo Berlusconi. In realtà si tratta di una questione puramente formale, visto che è già tutto deciso. Si attende solo il comunicato ufficiale del passaggio di proprietà.
Secondo quanto scritto ieri dal Corriere della Sera, l’operazione prevederebbe la cessione agli Angelucci dell’intero pacchetto azionario: la quota di Paolo Berlusconi (71,5%), fratello dell’ex presidente del Consiglio, che avrebbe già firmato l’accordo; la quota di Mondadori (18,4%), presieduta dalla figlia di Silvio Berlusconi, Marina; la quota della famiglia Amodei (9,9%), concessionaria di pubblicità de Il Tempo, Libero Quotidiano e Il Fatto Quotidiano.
Ora si tratta di capire quali effetti produrrà questa novità sul mercato editoriale. Il Comitato di redazione chiede garanzie di «tutela dei posti di lavoro e delle competenze di una redazione che - si legge in un comunicato - ha già visto assottigliarsi pesantemente l’organico (sceso da 80 a 51 redattori solo negli ultimi 4 anni) e che ha sempre contribuito a sanare le difficoltà economiche della testata».
Per quanto riguarda la riorganizzazione delle redazioni del Giornale e degli altri quotidiani del gruppo Angelucci, si parla già di un ritorno di Alessandro Sallusti alla guida del quotidiano di via Negri e della nomina di Pietro Senaldi a direttore di Libero Quotidiano. Bisognerà capire come si differenzieranno, sul piano contenutistico, le tre testate, al fine di non diventare fotocopie l’una dell’altra e di non perdere altri lettori. Si punterà sulle sinergie, anche sul fronte multimediale. Probabilmente Libero si concentrerà sui lettori del Nord, cavalcando battaglie federaliste, autonomiste e in difesa delle ragioni dei ceti produttivi, mentre il Giornale manterrà una connotazione più trasversale e nazionale, sposando le battaglie del centrodestra ma senza identificarsi con una forza politica.
Questo nuovo scenario in via di definizione suggerisce alcune riflessioni. La prima riguarda l’assenza nel nostro Paese di editori puri. Angelucci, tanto quanto la famiglia Berlusconi, possiede altre attività imprenditoriali ed è anche impegnato in prima persona in politica. E’ una situazione comune a tutti gli altri principali editori nazionali, il che pone le condizioni per la permanenza di una ingombrante ipoteca sull’autonomia dell’informazione italiana. Il giornalismo non dovrebbe mai essere militante, i giornalisti non dovrebbero mai indossare un elmetto e difendere posizioni politiche, perché altrimenti l’informazione si trasforma in propaganda. Ecco perché, dal punto di vista dell’indipendenza dell’informazione, è una brutta notizia la formazione di un polo editoriale di centrodestra.
Un conto è alimentare una cultura di destra, una visione di economia e di società riconducibile a pensatori di quell’area, altra cosa è trasformare tre testate in altrettanti fogli di propaganda di centrodestra. C’è da augurarsi che ciò non accada, sia per la qualità dell’informazione in Italia che per il futuro politico dello stesso centrodestra, che con un’eccessiva autoreferenzialità editoriale rischierebbe prima o poi di implodere. Il fenomeno si è già verificato sull’altro versante, visto che il gruppo Gedi non se la passa benissimo e le copie di Repubblica e La Stampa colano a picco anche per un’eccessiva faziosità in favore della sinistra.
Poi c’è il tema dei finanziamenti all’editoria. Con il Covid sono aumentati gli aiuti indiretti dello Stato alle aziende editoriali. Quest’anno gli editori avranno un sostegno in più da parte dei colossi della Rete, che saranno obbligati a versare nelle loro casse ingenti somme per la condivisione dei contenuti giornalistici. Potrebbe essere un toccasana, il tanto agognato ossigeno per rivitalizzare un mondo editoriale in agonia. L’importante, però, è che quelle somme vengano reinvestite dagli editori in tecnologie, forza lavoro e formazione dei giornalisti e vengano erogate sulla base di parametri meritocratici legati alla qualità dell’informazione. Anche per questo c’è grande attesa per la versione definitiva del Regolamento Agcom di attuazione della nuova regolamentazione sul copyright, che definirà nei dettagli quei parametri.