Corte europea condanna l'Italia per non aver riconosciuto le "nozze" gay celebrate all'estero
La Cedu accoglie il ricorso di 6 coppie gay che si erano "sposate" all'estero, ma il cui "matrimonio" non era stato riconosciuto dall'Italia.
Nel 2012 sei coppie omosessuali, dove almeno un partner era italiano, si “sposano” all’estero. Chi in Olanda, chi negli Usa, chi in Canada. Ritornate in Italia vogliono che il loro “matrimonio” sia giuridicamente riconosciuto anche nel nostro Paese. Giustamente questo non accade perché il nostro ordinamento prevede espressamente la differenza sessuale come requisito minimo per sposarsi.
Le coppie allora fanno ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo che, qualche giorno fa, dà loro ragione appellandosi al solito diritto alla vita privata e familiare. La Cedu condanna l’Italia, quindi ciascuno di noi, a risarcire tutti e 12 i ricorrenti con 5mila euro a testa. Le motivazioni della Corte sono state le seguenti: vero è che ora le coppie possono vedere convertito il loro “matrimonio” in Unione civile grazie alla legge Cirinnà, ma dal 2012 al 2016 – anno in cui è diventata vigente questa legge – alle coppie non è stato riconosciuto nessun tipo di diritto para-matrimoniale. Infatti la Cedu afferma che ogni Stato è sovrano in merito alla decisione se legittimare o no i “matrimoni” gay e quindi sta ad ogni ordinamento nazionale riconoscere o meno le “nozze” gay celebrate all’estero, ma questo non pregiudica il fatto che una qualche forma di tutela per queste coppie deve essere prevista dagli Stati, ossia ogni Parlamento deve comunque legittimare una qualche forma di relazione omosessuale.
Ma ci sorge spontanea la domanda: se lo Stato è sovrano in merito alla materia “famiglia” perché dovrebbe essere obbligato a riconoscere le unioni civili?