Corsi Odg, il rischio dell'indottrinamento forzato
La trovata giacobina dei corsi per i giornalisti. Chi forma i formatori? Due casi che fanno discutere, come il relatore che per spiegare come non si deve raccontare le migrazioni cita Giornale e Libero. Scatenando la bagarre.
Una novità di questi anni, e che il grande pubblico non conosce, sono i corsi «di formazione» obbligatori per gli iscritti agli ordini professionali. Un ingegnere, per esempio, ha svolto la sua attività per, magari, decenni, senza essere «formato» e, magari, non se ne è accorto nessuno, neanche lui. Ma adesso il vento è cambiato. Se poi dopo la semina cambierà-migliorerà anche il raccolto lo si potrà vedere forse dopo anni.
Il fatto è che non si tratta di corsi di «aggiornamento», che, poniamo, un medico ha tutto l’interesse a seguire e che, presumibilmente, avrebbe seguito anche se non fossero stati obbligatori. Nulla so, ovviamente, dei corsi concernenti le altre categorie professionali, ma solo quelli che devono fare gli appartenenti alla mia, i giornalisti. In un triennio questi devono seguire tanti corsi quanti consentano di accumulare 60 «crediti», 20 dei quali avendo seguito corsi «deontologici» (l’etica del comportamento professionale). Tutti gli iscritti all’Ordine, sia giornalisti professionisti (cioè impiegati fissi presso una testata) che pubblicisti (collaboratori esterni pagati a cottimo), sono tenuti, pena sanzioni, a seguire questi corsi, alcuni dei quali (per giunta) a pagamento e altri dei quali effettuabili on-line. Nessuno è esentato.
Uniche eccezioni, gli iscritti all’Ordine da oltre trent’anni: a questi è dimezzata la quota di crediti richiesta, salvo i «deontologici»; e i pensionati, a patto che non scrivano più (non sono pochi, infatti, i giornalisti in pensione che, tramutandosi in pubblicisti, scrivono articoli qua e là). Insomma, chi scrive e pubblica deve «formarsi», non si scappa. Quanto a me, la prima cosa che mi sono chiesto quando mi è arrivato il perentorio comando, è questa: ma un Vittorio Feltri, un Eugenio Scalfari, dovranno sottostare anche loro alla «formazione»? Si tratta, infatti, di giornalisti di lunghissimo corso che hanno formato e formano, pensarli bisognosi di formazione è quanto meno imbarazzante.
Boh, magari li hanno esentati per «chiara fama», chissà. Non solo. Quella dei giornalisti è una categoria fortemente suscettibile di ideologizzazione, ci sono giornalisti di destra e di sinistra, ci sono, per restare nel nostro esempio, quelli di «Repubblica» e quelli di «Libero»: chi forma chi? Lo vedremo meglio tra breve.
Per quanto riguarda la mia esperienza personale, per qualche tempo ho cercato di soddisfare la mia quota-crediti seguendo corsi in rete. Di quelli gratuiti, perché sono povero. Ma mi sembra, quella dei corsi obbligatori, una trovata giacobina, pensata solo per i giornalisti professionisti: questi, tenuti all’orario aziendale, possono assentarsi dal lavoro giustificati per il tempo dei corsi; per quelli che lavorano a cottimo, invece, è un tempo sottratto d’imperio ai loro impegni: dovrebbero per giunta pagare di tasca propria? Mah. Torniamo a me.
Ho appena trovato quattro corsi gratis, deontologici, da 5 crediti l’uno. Nella mia città. Mi sono iscritto e ho impiegato due giorni interi di full-immersion per racimolare 20 crediti. La prima cosa che ho scoperto è che ci si poteva iscrivere solo a tre. Perché? Boh. Al quarto ho potuto comunque assistere iscrivendomi all’ultimo momento per una facilitazione gentilmente concessa. Bene, io sono iscritto all’Ordine da 29 anni: quasi 30, ma non ancora, perciò obbligato a racimolare tutti i 60 crediti. Ma tra 29 e 30 la distanza è breve, ed è la condizione dell’assassino 17enne che va al minorile anziché a San Vittore.
Scherzi a parte, un giornalista «culturale» e non «cronista» con quasi trent’anni di mestiere è già perfettamente a giorno di quel che sente (e che ho sentito) nei corsi. Infatti, certi colleghi hanno solo presenziato, occupandosi più utilmente con il loro computer portatile o lo smartphone. Ma un paio di corsi erano, come abbiamo anticipato, di fatto orientati ideologicamente. In uno, il «formatore» ci ha spiegato come il problema immigrazione sia inesistente, usando come esempi negativi certi titoli di «Libero» e del «Giornale» e suscitando una bagarre perché in sala c’erano anche giornalisti di quelle testate. In un altro, il tema verteva sui diritti dei rei o degli indagati. E il «formatore» era un esponente dell’associazione Nessuno tocchi Caino.
Come detto, dato il pubblico dei fruitori, è facile scivolare dalla «formazione» all’«indottrinamento». In questo caso, però, si tratta solo di tentativo, perché difficilmente un giornalista orientato (e quale non lo è?) si farà convincere. Ed ecco, dunque, che in molti casi il corso si traduce in una inutile perdita di tempo. Ahimè, obbligatoria.