Coronavirus, quei dati che fanno riflettere
I casi del nostro Paese hanno fatto calare l’attenzione sulla Cina, ma le notizie che arrivano da lì sono interessanti: al di fuori dell’Hubei, l’epidemia da Covid-19 è in fase calante. Lo studio di una rivista scientifica conferma il tasso di mortalità (circa il 2% degli infetti), che aumenta con l’età e la presenza di malattie croniche, risultando più letale per i maschi (2,8% contro l’1.7% delle femmine) e in chi fuma.
- SE I VESCOVI NON CHIEDONO IL MIRACOLO, di Stefano Fontana
La psicosi che è stata generata negli ultimi giorni per i casi di polmonite da nuovo Coronavirus (Covid-19) hanno completamente stornato l’attenzione da ciò che succede in Cina, ormai surclassata nell’attenzione dei media dai casi autoctoni.
Eppure le notizie che arrivano dalla Cina sono estremamente interessanti e meritevoli di qualche considerazione. Innanzitutto i numeri: i casi di Coronavirus accertati sono arrivati a 77.658.
Le morti nel corso dell’ultima settimana sono state 71 - che rappresenta il dato più basso da oltre due settimane - per un bilancio complessivo di 2.663 morti. Il tasso di mortalità è dunque del 2,8%.
Ma c’è un altro dato molto importante da rilevare: al di fuori dell’Hubei - la provincia epicentro dell'epidemia, dove si sono verificati più del 90% dei casi cinesi - i nuovi casi nel resto della Cina sono stati solo nove.
Cosa significa tutto questo? Che l’epidemia è entrata in una fase calante. Sarà merito delle misure di quarantena, sarà il clima meteorologico che si sta mitigando, in ogni caso l’ondata del virus che ha fatto tremare il mondo sembra stia passando. Tranne in Italia, dove stiamo vivendo ancora nella paura del contagio.
Ma torniamo ancora alla Cina. Negli scorsi giorni, il 17 febbraio, una rivista scientifica, il Chinese Journal of Epidemiology, ha diffuso un importante studio epidemiologico sul tasso di mortalità da Covid-19. Lo studio ha preso in esame ben 72.314 pazienti, di cui 44.672 casi di Coronavirus confermati. Il report conferma i tassi di mortalità finora evidenziati, che parlano di un 2% di vittime tra le persone colpite.
Tuttavia, è l’analisi per fasce di età che ci fornisce i dati più interessanti. Innanzitutto, tra i bambini da 0 a 9 anni il tasso è dello zero per cento: non c’è stato nessun bambino di quell’età morto. Il tasso di mortalità aumenta con l’età: si passa dallo 0,2% della fascia tra i 10 e i 39 anni, comprendente quindi ragazzini, giovani e giovani adulti, per arrivare all’1% dei cinquantenni, il 3,6 % dei sessantenni, l’8% per le persone tra 70 e 80 anni, e infine impennarsi al 14,8% per infetti dagli 80 anni in su.
Cosa ci dicono questi dati? Che il Covid-19 è un virus respiratorio in grado di dare problemi importanti alle persone anziane e fragili, come molte altre polmoniti e bronchiti, ad esempio quelle prodotte da Pneumococco - che causa ogni anno circa 8.000 morti - prevalentemente in soggetti anziani. Potrà sembrare strano, ma sempre in Italia, dall’analisi delle schede di dimissione ospedaliera, si evince negli ultimi anni un trend in aumento dell’incidenza delle polmoniti pneumococciche nel periodo 2001-2010 con un tasso medio di ospedalizzazione di 9,8/100.000 nella popolazione pediatrica e 16,5/100.000 nei soggetti di età superiore ai 65 anni: 200.000 casi di polmonite di origine virale e batterica, quindi trasmissibile, che però non hanno mai indotto ad assaltare farmacie e supermercati in cerca di mascherine, o a proclamare il coprifuoco.
Inoltre, la presenza di gravi malattie croniche, come diabete, ipertensione, tumore, insufficienza respiratoria cronica e problemi cardiovascolari sono terreno fertile per il Coronavirus. Soprattutto negli adulti dai 70 anni in su, con un sistema immunitario compromesso. Sono le stesse identiche evidenze che emergono dai casi italiani di questi giorni.
Altri dati interessanti che vengono dallo studio epidemiologico cinese sono poi quelli che riguardano le caratteristiche delle persone colpite: il virus risulta più letale per il sesso maschile piuttosto che quello femminile: 2,8% contro 1,7%. Tra i fattori evidenziati dai ricercatori che rendono più pericolosa l’epidemia da Coronavirus c’è il fumo: in Cina vive circa un terzo dei fumatori di tutto il mondo, di cui il 50% è rappresentato dagli uomini e solo il 2% dalle donne.
Anche questo è un dato che dovrebbe risultare ovvio: chi fuma danneggia le cellule dei propri polmoni, e pertanto non è strano riscontrare più casi tra i fumatori. Forse dovrebbe essere un dato su cui riflettere attentamente da parte di chi è dedito a questo vizio, e anziché mettersi la mascherina o cospargersi di amuchina meglio sarebbe buttare via il pacchetto di sigarette.
Da ultimo, l’analisi dei ricercatori cinesi dimostra che l’80,9% delle infezioni da Coronavirus si possono classificare come “leggere”, il 13,8% “importanti” e solo il 4,7% come “critiche”. Se poi, come ipotizza qualcuno, il dato delle persone che hanno contratto il Coronavirus è decisamente superiore a quanto finora riportato, questo significherebbe un tasso di mortalità ancora più basso.
Insomma, nonostante il tasso di allarmismo sia da noi ancora altissimo, c’è di che ben sperare.