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TENSIONI

Corea del Nord e Golfo, la guerra mondiale a pezzi

La Corea del Nord lancia missili, stavolta anche oltre il confine con la Corea del Sud. E si starebbe preparando anche ad un nuovo test nucleare. Intanto aumenta la tensione nel Golfo: l'Arabia Saudita denuncia che l'Iran starebbe preparando un attacco. 

Esteri 03_11_2022
I missili nordcoreani visti dalle Tv del Sud

La Corea del Nord ha battuto due nuovi record: il più alto numero di missili lanciati (per esercitazione) in un solo giorno e la prima volta che la testata di un missile balistico finisce oltre il confine con la Corea del Sud, dentro la sua Zona economica esclusiva. E potrebbe essere solo la premessa, perché, stando all’intelligence sudcoreana, si prepara a effettuare anche un test nucleare, il primo in cinque anni, il settimo in totale.

La Corea del Nord, ieri, ha lanciato almeno 23 missili in mare, su entrambe le coste. Uno di questi ordigni, partito da Wonsan, è finito in mare a 60 km dalla costa della Corea del Sud, dunque fuori dalle sue acque territoriali, ma dentro la sua Zona economica esclusiva. Il missile puntava nella direzione dell’isola di Ulleung, dove si sono vissuti venti minuti di puro terrore. Alle 8,55, quando è stato individuato il lancio nordcoreano, sono suonate le sirene dell’antiaerea per mandare tutti nei rifugi. Solo alle 9,15, dopo l’impatto della testata in mare, la gente è tornata alla sua vita normale. Cessato allarme, dunque, era solo un’esercitazione. Ma il gesto provocatorio non è rimasto inosservato, né impunito.

Dura la reazione verbale del presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol, ancora in lutto per la morte di oltre 150 persone nella calca nella notte di Halloween a Seul. Secondo lo Stato Maggiore di Seul, le difese antimissile non sono entrate in azione perché era ormai chiaro che il missile non puntasse ad un obiettivo di terra, né alle acque territoriali. Ma in ogni caso, secondo quanto ha dichiarato l’ufficio del presidente: “si tratta della prima violazione della Linea di delimitazione (il confine marittimo fra le due coree, ndr) dai tempi della divisione della penisola coreana” e dunque è da considerarsi come una “violazione territoriale”. La Corea del Sud, in risposta, ha cambiato il programma delle manovre militari congiunte con gli Usa, le “Vigilant Storm”, già in corso da alcuni giorni: tre missili sono stati lanciati da F-15 ed F-16 sudcoreani nelle acque a Nord della Linea di delimitazione.

Per Pyongyang sono proprio le manovre “Vigilant Storm” la causa della tensione. Il regime comunista guidato da Kim Jong-un ha, poche ore prima del lancio, intimato la fine delle esercitazioni nel Sud, affermando che “provocazioni militari così avventate non possono essere tollerate più a lungo”. Ieri mattina, il segretario del Comitato Centrale del Patito comunista nordcoreano, Pak Jong Chon, aveva avvertito che il grande numero degli aerei coinvolti nelle manovre coreano-americane fosse la prova della loro natura “aggressiva e provocatoria”. E che il nome stesso, contenendo la parola “Storm” fosse una provocazione, perché memore di Desert Storm, la campagna contro l’Iraq del 1991.

Il rimpallo di accuse fra le due Coree è abbastanza normale. Quel che non è normale è invece l’escalation di esercitazioni e provocazioni da parte del Nord: il 2022 è l’anno in cui si registra il più alto numero di lanci di missili nordcoreani. Non è normale neppure l’ammissione, da parte dei suoi vertici, che il lancio del missile attraverso il Giappone, del 4 ottobre, fosse parte di esercitazioni per l’uso di testate nucleari tattiche. Il Nord sta compiendo un salto di qualità, soprattutto se condurrà, come si prevede, anche il suo nuovo test nucleare.

Peggio ancora: la tensione fra le due Coree si sta aggiungendo a quella nel Golfo. Il regime iraniano, alle prese con una protesta contro il velo obbligatorio che dura ormai da sei settimane, in tutte le città, potrebbe cercare di “distrarre” l’opinione pubblica con qualche azione eclatante all’estero. Già ha lanciato decine di missili e droni in Iraq, contro la città curda di Erbil. I curdi sono accusati dal regime di Teheran di aver fomentato la ribellione (la ragazza uccisa dalla polizia, Mahsa Amini, all’origine della protesta, era una curda iraniana). Ma l’ayatollah Khamenei in persona punta il dito soprattutto contro l’Arabia Saudita, Israele e gli Usa per l’organizzazione delle manifestazioni. Il regno saudita, in particolare, è accusato di diffondere informazione sediziosa attraverso il canale televisivo satellitare in lingua farsi Iran International.

Secondo quanto riportato dall’intelligence saudita agli Stati Uniti, il 1 ottobre, l’Iran starebbe preparando attacchi contro obiettivi del regno arabo e dell’Iraq, o direttamente dal territorio iraniano, o attraverso le milizie Houthi che operano in Yemen, come è già avvenuto altre volte. Le basi militari statunitensi nel Golfo sono, da quel giorno, in stato di allerta.

C’è un filo rosso che lega le due crisi, apparentemente così lontane e diverse, per la natura dei regimi che coinvolgono e per le loro cause profonde. Il filo rosso parte dalla Russia. Infatti, sia l’Iran che la Corea del Nord si stanno dimostrando gli alleati più fedeli a Putin dopo l’inizio della sua invasione dell’Ucraina. Entrambi, anche se non dichiaratamente, stanno vendendo armi alla Russia. La Corea del Nord ha fornito proiettili d’artiglieria, l’Iran i suoi droni (ormai famosi per gli attacchi alle centrali elettriche ucraine) e prossimamente potrebbe spedire anche missili balistici a medio raggio. Oltre ad essere alleati fedeli, unici a fornire armi, aggirando le sanzioni, sono anche intenti a studiare attentamente le contromosse dei comuni nemici occidentali. Prima hanno osservato come la Nato abbia reagito all’invasione dell’Ucraina. Da mesi stanno evidentemente anche studiando come gli Usa rispondono alle continue minacce nucleari da parte della Russia. Cosa che spiega perché, per la prima volta, la Corea del Nord parli esplicitamente di esercitazioni di armi nucleari tattiche (riferito al lancio del 4 ottobre) e l’Iran, stando agli osservatori, abbia ripreso il lavoro di produzione di materiale fissile, tramite arricchimento dell’uranio.