Cordes un anno dopo, il coraggio di essere cristiani
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Nel primo anniversario della morte del porporato risuonano i suoi moniti cortesi ed energici. Capace di esprimersi con grande lucidità anche sui temi più controversi, la sua profonda visione era incentrata sulla presenza di Dio in un mondo che lo rifiuta.

Sabato scorso ricorreva il primo anniversario del pio transito di Paul Josef Cordes. Oggi il cardinale riposa nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo della "sua" Kirchhundem, sorvegliato amorevolmente dal parroco Heinrich Schmidt che fu suo grande amico in vita. Nel corso degli anni i lettori della Nuova Bussola Quotidiana hanno imparato a conoscere ed apprezzare la voce chiara ed autorevole del presule tedesco, estimatore e collaboratore di Benedetto XVI.
Proprio Ratzinger, che lo conosceva bene almeno dagli anni Settanta, seppe meglio di chiunque altro inquadrare quella sua straordinaria capacità di scrivere riferendosi a «concreti e urgenti problemi del presente» per condurre però «lo sguardo sull'essenziale». E l'essenziale per l'uomo resta, anche e soprattutto oggi, il «quaerere Deum». Rimettere Dio e la fede al centro, la missione principale del pontificato benedettino da lui tanto ammirato, era anche il motore propulsore del ministero di Cordes.
In più di 60 anni di sacerdozio, la dimenticanza di Dio nella società contemporanea è stata il pungolo che lo ha spronato ad indicare instancabilmente nella fede le vere risposte alle domande e alle sfide di tutti i giorni. Cordes volava «alto», sia nello stile che nei contenuti, ma sempre partendo «dal basso». A muovere la sua penna e la sua lingua erano spesso conversazioni polemiche con chi non la pensava come lui, le notizie che gli facevano storcere il naso, le decisioni che non lo entusiasmavano.
D'altra parte, come abbiamo visto, la sua «specialità» è stata proprio la proclamazione della presenza divina al cospetto di un mondo che tendeva ad escluderla o a declassarla. Inguaribile ottimista, si preoccupava ma non angustiava per l'attuale situazione ecclesiale, denunciandone le storture con passione, lucidità e un'irrinunciabile dose di sarcasmo. Ai confratelli che sbagliavano strada, Cordes si premurava di indicare anche quella giusta. Così facendo, il cardinale tedesco ha lasciato un capitale prezioso di riflessioni sul presente e sul futuro della Chiesa universale che merita di non essere dimenticato.
I movimenti. Nella sua carriera ecclesiastica, Cordes è stato a lungo considerato (giustamente) l'«amico» dei movimenti ecclesiali in Curia. Di fronte a chi nutre perplessità o persino pregiudizi verso queste realtà, resta valido l'invito del cardinale a non considerarle un ostacolo all'universalità della Chiesa ma un segno di speranza e di vitalità che aiuta contro il pericolo di logoramento in un contesto fortemente ostile come quello attuale. Il suo avvertimento: il tentativo di allineare completamente i movimenti alle Chiese locali finirebbe per spegnerne il dinamismo missionario che li caratterizza.
Il celibato. Contro gli attacchi diretti o indiretti al celibato sacerdotale, Cordes amava fare appello al Concilio Vaticano II che ne aveva evidenziato il «rapporto di intima convenienza con il sacerdozio». A coloro i quali sembrano voler preparare il terreno all'abolizione dell'obbligo ripetendo che è «soltanto» una legge ecclesiastica, il porporato di Kirchhundem chiedeva di uscire da una prospettiva esclusivamente giuridica e di guardare la questione con gli occhi del Vangelo perché essere sacerdoti significa rendersi disponibili a lasciarsi plasmare da Dio sul modello di Cristo per essere a propria volta modelli credibili per tutti i credenti. Ragionare sul fatto se sia più o meno il caso di continuare a far rispettare una norma è un'argomentazione che non può scalzare il valore di imitare Cristo per rendere più perfetta la partecipazione alla Sua missione di maestro, sacerdote e pastore.
Il Cammino sinodale tedesco. Cordes, come il suo amico Ratzinger, è stato un tedesco «romano», fedele al Papa e critico delle spinte centrifughe d'Oltrereno. Arrivato in Curia nel 1980, conosceva il sentimento antiromano della Chiesa tedesca e fino all'ultimo ne ha denunciato limiti e pericoli. Ai vescovi connazionali impegnati nel percorso sinodale autoctono ricordava che i temi di discussione sono competenza della Chiesa universale, dunque non a disposizione di una Chiesa locale. Il cardinale ha contestato al Sinodo tedesco la pretesa di instaurare una nuova Chiesa aperta a fantomatici «segni dei tempi» quando Cristo, col Suo messaggio, si affermò Egli stesso come «segno dei tempi». Una nuova Chiesa che, peraltro, si fonderebbe su opinioni votate a colpi di maggioranza (tra pochi delegati selezionati) anziché su verità di fede.
Laici nel governo della Chiesa. Le porte spalancate ai laici nei ruoli di potere della Curia e persino tra i partecipanti con diritto di voto al Sinodo hanno trovato in Cordes un fiero oppositore sulla base della sua fedeltà al Concilio Vaticano II.
Ormai pensionato, il cardinale ha messo in evidenza il nesso della guida ecclesiale al ministero sacerdotale che non può essere cancellato. Da tedesco, conosceva bene le istanze dirette a far partecipare i laici a tutti i livelli decisionali nella Chiesa. Istanze che si sono poi concretizzate a livello centrale nella Praedicate Evangelium e che hanno indotto Cordes a scendere in campo per ricordare che il servizio di governo della Chiesa è strettamente connesso al sacramento dell'Ordine. Già nel 2010, profeticamente rispetto a quanto poi si sarebbe visto nella riforma della Curia e negli ultimi Sinodi, il presule tedesco scriveva: «decidere ed agire in ambito ecclesiale secondo il modello parlamentare è completamente errato. Inoltre, non esiste nella Chiesa nessuna autonomia dei laici rispetto alla gerarchia, poichè non esiste alcun ambito in cui i laici possano assumere il mondo in modo esclusivo per edificarlo in maniera autonoma, senza edificare al tempo stesso la Chiesa».
La Caritas. Benedetto XVI ha riconosciuto Cordes come ispiratore della prima enciclica del suo pontificato, la Deus caritas est. La sua preoccupazione era ribadire che la Caritas è espressione di fede e la Chiesa non può essere considerata né considerarsi un'organizzazione sociale come tutte le altre. Alla base di questo cavallo di battaglia cordesiano c'è senz'altro la visione teocentrica (e dunque cristocentrica) che ha caratterizzato il suo pensiero e la sua azione. La Chiesa non ha un servizio più importante: la sua priorità è diffondere la fede e non può recidere le radici cristiane della carità ecclesiastica per poter operare più facilmente in una società sempre più ostile.
Un anno dopo la fine del suo pellegrinaggio terreno, Cordes continua ad infondere quel «coraggio di essere cristiani» (titolo del suo libro-testamento scritto con don Andrzej Kucinski ed edito da Marcianum Press) attraverso la profondità e la razionalità dei suoi scritti. Rileggendoli, sembra quasi di risentire la sua voce energica rivolgere moniti cortesi ma taglienti ai confratelli più pavidi ed ignavi, come quando sentenziava che «la presunta saggezza pastorale di dover nascondere al mondo, come Chiesa, il nostro fondamento specifico e vincolante, è falsa».
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Ruoli di governo nella Chiesa, è sbagliato nominare i laici
Il servizio di governo della Chiesa è strettamente connesso al sacramento dell'Ordine, come ben spiegato dai testi del Concilio Vaticano II. Ecco perché la Costituzione Apostolica "Praedicate Evangelium", entrata in vigore lo scorso giugno, ripete un vecchio errore quando, al no. 15, afferma che la potestà di governo nella Chiesa può essere delegata ai laici. Se si toglie il sacramento, la guida della Chiesa non è più affidata a Dio ma a un uomo mortale, il Papa.
Così s'imbavaglia anche lo Spirito Santo
La grande fioritura di movimenti spirituali laicali, post-conciliare, incoraggiata e accolta da San Giovanni Paolo II e dall'allora cardinale Ratzinger, con il nuovo Decreto Generale viene disincentivata e limitata e con essa la promozione della fede in Dio all'interno della Chiesa.
Deus caritas est, così Benedetto rimise al centro Dio
Il 25 dicembre 2005 Benedetto XVI firmava la sua prima enciclica, Deus caritas est (Dio è amore), pubblicata un mese dopo. All’origine del documento un’idea del Cor Unum, respinta dalla Segreteria di Stato ma sostenuta da Ratzinger che, divenuto Papa, la sviluppò dandole un volto completamente nuovo. Fin dall’inizio dell’enciclica Benedetto evidenziò, contro ogni secolarismo, la centralità di Dio come causa fondamentale della carità e di tutta la salvezza umana.