Copernico, il religioso che unì scienza e fede
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Questa domenica ricorrono i 550 anni dalla nascita di Niccolò Copernico, matematico e canonico, noto per i suoi studi sul sistema eliocentrico. Dedicò la sua opera principale a papa Paolo III. Al grande astronomo e religioso è dedicata la sinfonia Copernicana, l’opera più grandiosa di Górecki.
Domani, 19 febbraio, cade il 550° anniversario della nascita, avvenuta a Toruń, città della Polonia centro-settentrionale, di «un chierico conservatore e timido che scatenò la rivoluzione suo malgrado» (A. Koestler, The Sleepwalkers, New York 1959, p. 113): Niccolò Copernico (1473-1543).
Studente alle università di Cracovia (1491), Bologna (1496) e Padova (1501), impiegato alla Cancelleria pontificia di Roma (1500), il nostro matematico e canonico (insignito degli ordini minori) si addottora in diritto canonico a Ferrara nel 1503. Muore il il 24 maggio 1543 a Frombork, Polonia settentrionale, e soltanto poco prima di morire è pubblicata, a Norimberga, la sua opera fondamentale De revolutionibus orbium cœlestium (Le rivoluzioni delle sfere celesti), con dedica a papa Paolo III († 1549).
Richiamiamoci a una lettera di san Paolo VI, secondo cui Copernico, «figlio della Chiesa cattolica, insigne per abbondanza e per grandezza di scienza, […] oltre ad essere versato in molte discipline, come il diritto, la medicina e la geografia, si distinse notevolmente per aver individuato, attraverso il suo studio, il sistema o la formazione del mondo che comunemente viene chiamato eliocentrico. Questa teoria, poi completata e stabilita più accuratamente da Giovanni Keplero, Galileo Galilei e Isaac Newton, è alla base della nostra concezione del cosmo. Ma […] egli si distingue anche nella Nostra mente come uomo religioso, perché ha unito fede e scienza in un meraviglioso rapporto fecondo (Paolo VI, Lettera al Cardinale Stefano Wyszyński per il V centenario della nascita di Niccolò Copernico, 23 gennaio 1973. Nostra versione).
Al fondatore dell’astronomia moderna è dedicata la Seconda Sinfonia Kopernikowska (Copernicana), Op. 31, per soprano, baritono, coro misto e grande orchestra, che il compositore polacco Henryk Mikolaj Górecki († 2010) scrisse nel 1972, commissionata dalla Kosciuszko Foundation in New York per commemorare il cinquecentenario della nascita di Copernico. Insieme ai più celebri Krzysztof Penderecki († 2020) e Witold Lutosławski († 1994), Górecki fa parte della prestigiosa scuola polacca di composizione ed è capace di combinare antico e moderno.
La colossale partitura della Sinfonia Copernicana - l’opera più grandiosa di Górecki - si articola in due movimenti, per 36 minuti di musica: il primo movimento, che immagina il caos, è esclusivamente strumentale; il secondo, che rappresenta il cosmo, ricorre alle voci soliste e al coro. Per meglio dire: «La dinamica del fortissimo, le lunghe pause e i motivi rapidi, cromatici, del primo movimento sono controbilanciati da un secondo movimento relativamente calmo […]. Alla fragorosa visione cosmica del primo movimento, perlopiù orchestrale, risponde un secondo movimento le cui proporzioni sono notevolmente ampliate per allentare le tensioni precedenti» (A. Thomas, in The New Grove Dictionary of Music and Musicians, vol. 10, London 2001, p. 160).
Nel primo movimento, fortemente ritmico, troviamo due idee contrastanti: nella prima, violenti accenti della percussione introducono un largo accordo di sei ottave distribuito tra i diversi strumenti dell’orchestra, ripetuto con piccoli cambiamenti; nella seconda, i tromboni, i corni e le trombe e poi tutti gli ottoni eseguono una specie di rumore sordo, che si ripete incessantemente e si allarga. «Il secondo movimento segna una tappa importante nella conversione di Górecki a un linguaggio più consonante dalla fine degli anni '60, un processo che è stato chiarito in diversi brani corali e nella Terza Sinfonia» (A. Thomas, ibidem). In questa parte della Sinfonia, intensamente lirica, gli archi suonano un’armonia più consonante e più statica, che accompagna la melodia delle voci. Queste ultime cantano il testo latino di tre frammenti salmici e alcune parole di Copernico: Deus, qui fecit cælum et terram (Sal 145, 6), qui fecit luminaria magna, solem in potestatem diei, lunam et stellas in potentatem noctis (Sal 135, 7-9). Quid autem cælo pulchrius, nempe quod continet pulchra omnia? (De revolutionibus orbium cœlestium, liber I) Domine, exaudi me in tua iustitia (Sal 142, 1). Cioè: «Dio, creatore del cielo e della terra, che ha fatto i grandi luminari, il sole per regolare il giorno, la luna e le stelle per regolare la notte. Che cosa c'è infatti di più bello del cielo, che contiene tutte le cose belle? Signore, per la tua giustizia, rispondimi».
Nel ricevere, il 28 febbraio 1995, il dottorato honoris causa dall’Università Cattolica d’America, in Washington, Górecki ha fatto sue le parole che il suo amato compatriota, san Giovanni Paolo II, aveva rivolto agli artisti dieci anni prima a Bruxelles: «Ogni arte autentica interpreta la realtà al di là di ciò che percepiscono i sensi: nasce dal silenzio dello stupore, o dell’affermazione di un cuore sincero. Si sforza di avvicinare il mistero della realtà. L’essenziale dell’arte si situa nel più profondo dell’uomo, in cui l’aspirazione a dare un senso alla propria vita si accompagna a un’intuizione fugace della bellezza e della misteriosa unità delle cose. Certo, gli artisti sinceri e umili ne sono ben coscienti: qualunque sia la bellezza dell’opera delle loro mani, sanno che disegnano, scolpiscono e creano immagini che non sono che riflessi della bellezza divina. Qualunque sia la potenza evocatrice della musica e delle parole essi sanno di non cantare che un’eco balbuziente del Verbo di Dio» (Giovanni Paolo II, Omelia, 20 maggio 1985).
Forse è proprio per questo che Górecki appare godibile anche all’ascoltatore meno avvertito: la consapevolezza per un artista di cantare solamente un’eco lontana della parola di Dio.