Conte resta al governo solo per mancanza di alternative
Mattarella, Confindustria, le regioni del centrodestra, intere categorie professionali, stanno mandando sempre più segnali negativi al governo Conte. Il Paese reale, sempre più insofferente, sta dando segni di esasperazione. L'unico elemento che salva il governo è la mancanza di una maggioranza alternativa e l'impossibilità di andare al voto
Nel giorno della festa dei lavoratori, mentre una ricerca del Censis svela che un italiano su due ha paura di perdere il lavoro, il Presidente del Consiglio vede seriamente a rischio la sua poltrona.
Dopo le riserve espresse dalla Presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia, circa la “sospensione” della Costituzione e il prolungato ricorso a “pieni poteri” da parte di Palazzo Chigi per gestire l’emergenza, ieri è arrivato il messaggio solenne del Capo dello Stato in occasione del Primo Maggio. Sergio Mattarella ha bacchettato il governo su almeno due punti: l’incertezza nell’erogazione degli aiuti a famiglie e imprese e la vaghezza e contraddittorietà delle informazioni fornite a proposito dell’emergenza e delle misure di contrasto. "Va consolidato un equo, efficace, tempestivo, sostegno alle famiglie e alle attività produttive, a quanti sono rimasti disoccupati e senza reddito, in modo da conservare intatte tutte le risorse del nostro capitale sociale", sono le parole del Presidente della Repubblica, che auspica "un responsabile clima di leale collaborazione tra le istituzioni e nelle istituzioni", elogia il senso civico degli italiani ed esorta il governo a fornire "indicazioni ragionevoli e chiare". In molti hanno letto un riferimento alla conferenza stampa di domenica scorsa nella quale il Premier è sembrato meno incisivo e più nebuloso del solito nella comunicazione istituzionale.
Non è un mistero che il Quirinale stia sondando ipotesi alternative all’attuale governo Conte. Non per un’ostilità preconcetta nei riguardi dell’attuale inquilino di Palazzo Chigi, verso cui ha tenuto a lungo un atteggiamento benevolo e di incoraggiamento, bensì per il degradarsi del clima istituzionale e socio-economico. Il premier, infatti, giovedì ha scoperto di non avere più una maggioranza. In termini numerici continua ad averla, perché l’emergenza che stiamo vivendo impone ai dissidenti del suo schieramento di non uscire allo scoperto. Tuttavia, i mal di pancia di Italia Viva, di alcuni grillini e di ampi settori del Pd legittimano tutte le letture dietrologiche che puntano ad accreditare l’idea di un Presidente del Consiglio ormai al capolinea.
Il discorso fatto in Senato due giorni fa da Matteo Renzi è suonato come un de profundis per l’esecutivo, tanto che le stesse opposizioni, in primis Fratelli d’Italia, hanno chiesto all’ex premier di trarre le dovute conseguenze rispetto alle sue parole e di sfiduciare Conte. Ma su questo il Quirinale frena, perché il Paese non può permettersi né urne anticipate né crisi al buio, con settimane di infruttuose consultazioni e trattative. O tra i partiti si creerà in assoluta trasparenza una nuova maggioranza con un premier diverso da Conte, oppure questo esecutivo andrà avanti.
Al di là delle alchimie delle formule politiche, però, c’è un Paese reale pronto a scendere in piazza. Ci sono intere categorie esasperate dalla stagnazione e dall’incertezza. Si pensi agli operatori turistici, che non sanno se potranno aprire le loro strutture ricettive e con quali modalità durante l’imminente stagione estiva. Ci sono baristi, ristoratori, parrucchieri e altri artigiani e commercianti che chiedono liquidità immediata, sgravi fiscali, sospensione dei pagamenti e, soprattutto, una data certa per le riaperture, sia pure in sicurezza. Le proteste divampano in varie parti d’Italia, per ora in modo pacifico, ma l’allarme per la sicurezza cresce, soprattutto perché le stime sui possibili disoccupati a causa del Coronavirus tolgono il sonno a molti.
Ci sono poi le riserve ufficiali di Confindustria, che lascia intendere di fare il tifo per un cambio di governo. Il neo presidente Carlo Bonomi, lombardo, ha imputato a Conte di muoversi per slogan e di risultare poco concreto nel dare risposte al mondo delle imprese sui criteri delle riaperture e sui dettagli del piano di rilancio economico e produttivo del Paese. Anche i sindacati sembrano sempre più scettici nei riguardi dell’azione di un esecutivo che tentenna nel dettare una linea univoca, pressato com’è dalle Regioni, ormai orientate al “fai da te”. Soprattutto alcune regioni governate dal centro-destra, come Veneto, Liguria e Calabria, si stanno muovendo autonomamente perché sentono sul collo il fiato di imprenditori e lavoratori che chiedono di tornare a lavorare in sicurezza per paura di morire di fame dopo essere riusciti a evitare il contagio da Covid-19.
Tutti segnali allarmanti per il Conte bis, sempre più in affanno. L’impressione è che stia in piedi per mancanza di un’alternativa matura. Ma se Conte vuole rimanere in sella deve rimediare in fretta agli innumerevoli errori (anche di comunicazione) commessi in questi mesi, parlare con chiarezza al Paese, evitare le scorciatoie dei decreti e accettare in Parlamento la sfida degli alleati che remano contro e delle opposizioni sempre più rumorose, e presentare un piano chiaro e definito per il rilancio del Paese. Se riuscirà a fare questo e, soprattutto, a far approvare in fretta il decreto semplificazioni per annullare ogni carico burocratico su imprese e famiglie, diventerà più difficile per i suoi avversari disarcionarlo. Altrimenti diventerà il capro espiatorio di un’Italia sull’orlo della catastrofe socio-economica.