Contagi e morti, i conti non tornano
Statistiche globali e italiane: c'è troppa disparità di dati tra diversi paesi, e anche tra le regioni italiane, per non avere dubbi sulla omogeneità dei numeri che vengono presentati. E in Italia c'è il mistero Lombardia: più decessi e più ricoveri di tutte le altre regioni.
I numeri parlano, i numeri descrivono la situazione. Ma i numeri ingannano anche: le statistiche non sono solo la fotografia della situazione, visti da una prospettiva o da un’altra possono assumere significati opposti. Lo stesso numero può essere usato per allarmare e tranquillizzare.
In Italia si è arrivati ieri sera a 10.149 casi, e c’è il panico perché i contagiati crescono di giorno in giorno, al ritmo di crescita di questi giorni stasera potrebbero sfiorare i 12mila: è allarme rosso e tutta l’Italia è stata messa in quarantena. Ma 12mila casi sono lo 0,02% della popolazione: un nulla; visto così il dato è rassicurante e incomprensibili sono le misure decise dal governo. In Lombardia, la regione più colpita, i casi a ieri sera erano 5.791: è comunque lo 0,057% della popolazione. Messa così fa meno paura.
Ma la situazione negli ospedali è già drammatica così, non ci sono dubbi; non si riesce a fare fronte a tutti i malati che arrivano: da Milano, Brescia, Cremona, Bergamo i racconti sono quelli di una guerra, e siamo nella regione italiana meglio attrezzata per la sanità. Non osiamo pensare cosa potrà succedere in altre regioni se l’epidemia si diffonde. Ma allora viene il sospetto che il problema siano i posti letto negli ospedali. Ecco allora altri numeri: solo negli ultimi dieci anni in Italia sono stati tagliati oltre 70mila posti letto negli ospedali, e oggi in totale sono circa 192mila (inclusa la sanità privata). Vale a dire 3,2 posti letto ogni mille abitanti contro la media di 5 nell’Unione Europea. Ancora: i posti di terapia intensiva sono in totale circa 5.100: 8,5 ogni 100mila abitanti, la Germania ne ha 35. Globalmente per casi acuti e terapia intensiva l’Italia è passata da 922 posti letto per 100mila abitanti nel 1980 agli attuali 275. Siamo proprio sicuri che il problema sia (solo) la diffusione del virus?
Ma anche le statistiche mondiali e nazionali sulla diffusione del Covid-19 riservano sorprese, provocano domande, per non dire perplessità. Vediamo allora il quadro globale: in Cina, a fronte di 80.757 casi accertati, ci sono stati 3.136 morti, il 3,88%; sulla stessa linea è l’Iran, con 291 morti su 8.042 casi (il 3,61%). In Italia i morti invece sono 631 su 10.149 casi, ben il 6,21%, quasi il doppio. Stupefacente sul fronte opposto è certamente la Corea del Sud: appena 54 morti su 7.513 casi, lo 0,72%. Addirittura incredibile la Germania: appena 2 decessi su 1.457 casi accertati, appena lo 0,14%.
Dati troppo discordanti per non far nascere delle domande e anche dei dubbi. Siamo sicuri che si usi lo stesso metro per le diagnosi e per le cause di morte? Certamente anche le strategie di contrasto al virus possono avere il loro peso (vedi articolo al proposito), ma le differenze sono talmente grosse che si fa fatica a pensare che sia solo questo. Bisogna ricordare che nella stragrande maggioranza dei casi il coronavirus è concausa di morte, potremmo dire che in molti casi costituisce il classico colpo di grazia in persone già fortemente debilitate per altre malattie, e allora l’attribuzione diventa più incerta. E qui probabilmente sta il principale motivo della diversità dei numeri.
In ogni caso è clamoroso il dato italiano, quasi il doppio della mortalità rispetto alla Cina: notare che in Italia la popolazione è più anziana non basta certo a spiegare quella differenza (peraltro la Germania è nelle stesse condizioni).
A dire il vero c’è un nota bene nei dati forniti dal governo italiano che fa pensare: dopo aver fornito il numero di 631 decessi, nel comunicato si legge testualmente: «Questo numero, però, potrà essere confermato solo dopo che l’Istituto Superiore di Sanità avrà stabilito la causa effettiva del decesso». Cioè, pare di capire che nel dubbio tutto viene attribuito al coronavirus, dopodiché verificheremo. E cosa dobbiamo aspettarci? Un numero più o meno uguale o la scoperta che il numero dei morti per coronavirus è stato fortemente gonfiato? E soprattutto: quale è il criterio con cui si attribuisce al Covid-19 o ad altra malattia pregressa la causa di morte?
Tante domande però anche guardando all’interno dell’Italia. Per un confronto prendiamo solo le prime cinque regioni più colpite: la Lombardia (5.791 casi accertati), l’Emilia-Romagna (1.533), il Veneto (856), il Piemonte (453) e le Marche (394). Scopriamo che in Lombardia ci sono stati 468 decessi (8,1%), contro gli 85 dell’Emilia Romagna (5,5%), i 26 del Veneto (3%), i 17 del Piemonte (3,7%) e i 13 delle Marche (3,3%). Insomma, in Lombardia c’è una percentuale abnorme di decessi rispetto al resto d’Italia, ed è anche il dato che spinge in alto la media complessiva del Paese, visto che in Lombardia si conta circa l’84% di tutte le morti italiane. Come si spiega questo? Certamente non con l’anzianità della popolazione, perché in confronto alle altre regioni esaminate la Lombardia è di gran lunga la più giovane, e ha anche il più basso indice di mortalità.
Sarebbe interessante che qualcuno desse risposte anche perché l’anomalia lombarda non si limita ai decessi. Sempre stando ai dati ufficiali forniti dal ministero della Salute, delle persone attualmente positive in Lombardia sono ricoverate in ospedale ben il 75% (3.319 su 4.427). In Romagna sono il 47% (669 su 1.417), in Veneto il 26% (204 su 783), in Piemonte il 70% (306 su 436) nelle Marche il 39,9% (152 su 381). Ci sono differenze notevoli tra regione e regione, lasciando supporre che ci siano anche diversi criteri per ricoverare i pazienti, ma la Lombardia anche in questo caso segna un record negativo.
Un discorso analogo vale per i pazienti in terapia intensiva: fino a ieri sera ce ne erano in Lombardia 466, il 10,5% sul totale dei casi attualmente positivi. In Emilia Romagna la percentuale scende al 6,9% (98 casi); in Veneto l’8,5% (67); il Piemonte il 15,1% (66); nelle Marche il 14,1% (54). Come si vede due regioni superano in percentuale la Lombardia ma bisogna dire che hanno numeri totali molto meno significativi e quindi più suscettibili di spostamenti percentuali. In ogni caso in Lombardia sono ricoverati in terapia intensiva il 53,13% del totale in Italia, percentuale superiore a quella dei casi attualmente positivi, in Lombardia il 51% sul totale.
L’andamento della malattia in Lombardia rappresenta dunque un mistero, sembrerebbe da questi dati molto più grave che nel resto d’Italia. Ma è davvero così o i numeri nascondono qualche altra realtà?