Conservatori filo-Putin? Vittime di un abbaglio culturale
Lo storico britannico, nonché editorialista del Telegraph, Tim Stanley, spiega alla Bussola perché l'idea di una Russia post-sovietica baluardo della cristianità contro un Occidente secolarizzato non è mai stata vera: «Putin ha cercato di ripristinare la Russia com'era intorno al 1900». Ma nello stesso tempo è sbagliato pensare che l'Ucraina combatta in nome della democrazia: «La realtà è che stanno combattendo per le loro case, la loro terra, le loro famiglie».
- I RUSSI AVANZANO, PRENDONO FORMA LE TRATTATIVE, di Gianandrea Gaiani
Che fine ha fatto la Tradizione? Quella con la "T" maiuscola, che per Gustav Mahler non consisteva nell'adorare le ceneri, ma nel conservare il fuoco. È una domanda che si è posto in un libro - cercando di darsi e darci una risposta - lo storico ed editorialista del prestigioso quotidiano britannico The Telegraph, Tim Stanley. Il suo "Whatever Happened to Tradition?: History, Belonging and the Future of the West", pubblicato nel 2021 da Bloomsbury, è un testo che vale la pena leggere per orientarsi nel mondo del conservatorismo mondiale reduce dall'effetto della pandemia e dai postumi della sbornia Brexit-Trump. Ma parlando di Tradizione, il giornalista inglese di fede cattolica si è soffermato - con sguardo critico - anche sulla restaurazione di Putin che ha coinvolto direttamente anche la Chiesa ortodossa russa.
La Russia post-sovietica e post-eltsiniana come baluardo della cristianità di fronte ad un Occidente sempre più secolarizzato: quest'immagine - sbaglia chi lo nega - ha avuto vasta eco nel conservatorismo mondiale. È un'immagine ancora accettabile dopo lo scoppio della crisi ucraina? In realtà, per Tim Stanley non era valida già da prima e i suoi motivi li ha spiegati in quest'intervista alla Nuova Bussola Quotidiana.
Stanley, nel libro lei ha scritto che durante un suo viaggio in Russia nel 2018 ha avuto la sensazione di essere nel bel mezzo di una "restaurazione della restaurazione". Cosa intendeva dire?
Putin ha cercato di ripristinare la Russia com'era intorno al 1900, un periodo in cui la stessa famiglia imperiale Romanov stava cercando di ripristinare la grandezza del suo precedente governo. Succede spesso in Gran Bretagna: guardiamo costantemente indietro all'era vittoriana, alla sua architettura e ai suoi valori spirituali, supponendo che fossero un'evocazione senza tempo dell'inglese quando, in realtà, gli stessi vittoriani guardavano indietro a una versione fantasy del mondo medievale. Abbiamo nostalgia non del passato in generale, ma di un momento specifico, che a sua volta è stato definito dalla nostalgia. Quindi, Putin vuole che i russi siano più russi, ma il momento che indica - l'apice dell'ordine imperiale russo - era di per sé un'innovazione, e non necessariamente confortevole. Cosa ne è seguito, infatti? Il 1914.
Perché, affrontando il tema del rapporto tra religione e società, ha paragonato la Russia all'Irlanda?
In Russia, la maggior parte delle persone si definirebbe ortodossa, ma non va in chiesa, quindi credono senza appartenere. In Irlanda, la frequenza in chiesa è ancora molto alta, eppure il Paese ha votato per rifiutare la teologia cattolica, legalizzando l'aborto e il matrimonio tra persone dello stesso sesso, quindi appartengono ma non necessariamente credono. Non sono sicuro che queste due situazioni siano sane, perché entrambe implicano una frattura tra lo spirito e la pratica religiosa. Andare in chiesa ma votare per cose del tutto non cristiane implica che le tue convinzioni non siano fortemente sostenute; d'altra parte, definirti cristiano e sostenere l'omofobia, ma non andare effettivamente in chiesa, suggerisce che ciò che ti motiva davvero è il bigottismo.
Parlando della cosiddetta "Sinfonia" tra Chiesa e Stato in Russia, lei ha scritto: “quando fede e nazione diventano sinonimi, c'è il rischio che la fede diventi un'etichetta di identità piuttosto che un sistema di credenze vissute”. Teme che l'appartenenza religiosa possa fornire la motivazione ideale dell'operazione militare in Ucraina?
Ci sono due interpretazioni sul rapporto tra fede ed invasione. Una è che Putin, costretto ad agire dalla minacciata espansione della Nato, è il difensore della civiltà ortodossa, che sta facendo tutto ciò per unire un popolo diviso e per mantenere la barra dritta contro l'aggressivo laicismo occidentale. Non so quanti russi lo pensino davvero, poiché è difficile separare la propaganda del Cremlino dal sentimento popolare.
La visione alternativa è che le azioni di Putin siano l'antitesi stessa del cristianesimo: violenza, bullismo, massacro degli innocenti. Quindi vediamo un classico conflitto tra la fede come identità etnica/politica e la fede come un insieme di credenze spirituali che dovrebbero davvero trascendere l'etnia. Questo dilemma è ovunque. A un certo livello anch'io sono nazionalista: amo il mio Paese e voglio vederlo vincere, e voglio proteggere il suo carattere distintivo cristiano contro civiltà concorrenti. D'altra parte, la mia fede è universale: quando una parte della chiesa umana fa male, quella ortodossa a Kharkiv o quella musulmana ad Aleppo, tutto il corpo urla di dolore.
Lei più di un anno fa aveva lanciato un appello ai conservatori a non "cascare" nella controrivoluzione culturale di Putin. È innegabile che il presidente russo piacesse a molti conservatori occidentali. Crede che questo fascino sarà in grado di sopravvivere al conflitto bellico in corso?
Quasi nessuno in Occidente, di destra o di sinistra, ha detto che l'invasione di Putin è moralmente legittima. Tucker Carlson e alcuni della destra americana dicono "non sono affari nostri", sospetto perché vogliono garantirsi la lealtà dell'elettore medio di Trump, ma così facendo, in realtà hanno interpretato male Trump: lui, infatti, ha affermato di aver minacciato di bombardare Mosca se Putin avesse invaso e ora dice che la Nato è troppo morbida. Penso che la reputazione di Putin abbia subito un terribile colpo.
Al contrario, sono rimasto affascinato nel notare come mia madre ha reagito emotivamente ai profughi ucraini. "Sono così religiosi", dice con approvazione, "e amano le loro nonne". Questa non è una guerra Est contro Ovest; è quasi una guerra civile tra comunità cristiane.
Nel libro ha menzionato la domanda di Kenneth Clark: "Per cosa stiamo combattendo?". In questi giorni abbiamo sentito molti politici occidentali affermare che gli ucraini stanno combattendo per difendere la democrazia. Hanno ragione?
No. Hanno completamente torto. Questo è tipico dell'Occidente: diamo per scontato che tutti la pensino come noi e, essendo figli dell'Illuminismo, dobbiamo sempre ridurre le questioni appassionate ad astrazioni. Sinistra contro destra, democrazia contro tirannia ecc. La realtà è che stanno combattendo per le loro case, la loro terra, le loro famiglie. Lo faremmo anche noi occidentali, se fossimo invasi. È molto umano. Ricordo di aver visto una rappresentazione del Nabucco a Verona. I babilonesi erano vestiti da austriaci, gli ebrei da italiani combattenti per la libertà. È stato un parallelo imperfetto, persino privo di gusto, eppure ha ribadito quanto potentemente le persone sentano la propria identità e il passato. L'Italia come costrutto è imperfetta; politicamente non sempre funziona. Ma invadila e all'improvviso si riunisce.