«Connessi per la Vita, fermiamo il genocidio dell’aborto»
Saltata la tradizionale Marcia per la Vita a causa del Coronavirus, gli organizzatori si sono inventati #Connessiperlavita, un appuntamento online di un’ora per sabato 23 maggio (14:30). Diversi gli interventi previsti per tenere alta l’attenzione sull’aborto (40-50 milioni di morti all’anno nel mondo), «un vero e proprio tabù di cui non si deve parlare, né sui media, né a scuola, né in famiglia». La Nuova BQ intervista Virginia Coda Nunziante.
Ci sono ancora. Ci sono ancora quelli che si battono per la vita e la famiglia. Nella situazione attuale a molti sembreranno come i componenti dell’orchestrina a bordo del Titanic che continuarono a suonare anche mentre la nave affondava. Ma in realtà sono quelli che stanno gettando a mare le scialuppe di salvataggio per strappare dalla morte per aborto milioni di bambini e dalla morte per eutanasia decine di migliaia di vite fragili.
Tutti gli anni, come ogni buon pro-life sa bene, si tiene a Roma nel mese di maggio la Marcia per la Vita. Quest’anno l’evento è stato sospeso a causa dell’emergenza da Covid e gli organizzatori hanno dato appuntamento a tutti al 22 maggio del 2021.
Però i medesimi organizzatori si sono inventati una Marcia virtuale. Sabato 23 maggio si terrà #Connessiperlavita. Si tratta di un appuntamento live di un’ora che inizierà alle 14.30 e che verrà trasmesso su Facebook, YouTube e Twitter. Interverranno, tra gli altri, il professor Giuseppe Noia, neonatologo al Policlinico Gemelli e responsabile dell’Hospice Perinatale-Centro per le Cure palliative prenatali S. Madre Teresa di Calcutta; il magistrato Giacomo Rocchi, giudice della Corte di Cassazione; don Simone Barbieri, della diocesi di Livorno e vicerettore del seminario; Chiara Chiessi, presidente degli Universitari per la Vita. L’evento del 23 maggio è stato preceduto da una sorta di Settimana per la Vita, iniziata lunedì scorso, in cui esponenti dell’associazionismo pro-life e singole persone da sempre impegnate sul fronte della difesa della vita hanno registrato dei contributi video con loro testimonianze e riflessioni.
Per saperne di più di questa Marcia per la vita virtuale, la Nuova Bussola ha chiesto lumi a Virginia Coda Nunziante, portavoce della Marcia.
Una Marcia per la vita on line. Sembra una proposta un po’ bizzarra. Come giocare a calcio restandosene in poltrona a guardare la partita in TV.
Sì, è tanto vero che all’inizio tutto il Comitato della Marcia sembrava inclinato a non fare niente e a rimandare tutto al prossimo anno. Poi però ci sono giunte varie richieste, alcune dei veri e propri appelli e abbiamo scoperto che anche le altre marce nel mondo che dovevano svolgersi in questo stesso periodo si stavano organizzando, ognuna a modo proprio. Siamo allora usciti dal nostro “lockdown” che già ci proiettava al 2021 e abbiamo deciso di occupare la piazza virtuale, visto che non ci era concessa la piazza reale. Da lì è nata l’idea di una Settimana per la Vita che culminerà nella giornata del 23 maggio con un incontro di un’ora proprio quando saremmo dovuti essere in piazza. L’incontro virtuale non potrà mai sostituire quello reale perché noi tutti abbiamo la necessità di ritrovarci personalmente e di sentire anche fisicamente la forza della piazza, che è la forza delle idee che portiamo avanti. Ma l’incontro virtuale può avere anche una sua forza: quello di collegarci con persone che per motivi vari non sono mai potuti venire a Roma a marciare e magari non potranno mai venire. Può anche aiutare a costituire una più ampia famiglia di anime che si ritrovano nella battaglia per la vita. Può riuscire a raggiungere persone lontane che “navigando” intercettano il messaggio di uno dei video o di una testimonianza. Può principalmente confortare e incoraggiare tante persone che dopo questi mesi difficili hanno un poco perso la voglia di combattere o si è affievolita in loro la speranza.
È più grave l’emergenza Coronavirus o il fenomeno “aborto”?
Il Coronavirus è certamente una pandemia ancora molto sconosciuta e dunque quale sarà l’impatto nel lungo periodo è molto difficile poterlo dire oggi. Però rispondo alla domanda con dei numeri: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2019 ci sono stati nel mondo tra i 40 e i 50 milioni di aborti, ciò vuol dire, nel migliore dei casi, 110.000 aborti al giorno. Il Coronavirus, al momento, sempre secondo dati dell’OMS, ha registrato nel mondo 322.000 morti. Se considerassimo questi dati validi anche solo per il primo quadrimestre del 2020 e li moltiplicassimo per 3, arriviamo ad una cifra inferiore al milione di morti in un anno.
Direi che la differenza sostanziale è questa: il Covid-19 è un virus il quale, benché forse creato in laboratorio, sfugge ora al controllo dell’uomo e non è legalizzato ma combattuto dai governi. L’aborto è un genocidio voluto dall’uomo, introdotto nelle leggi e incentivato dalla maggior parte degli Stati a livello mondiale.
Inoltre, ormai da mesi non si sente parlare altro che di Coronavirus su qualsiasi organo di stampa e tutti sanno di cosa si tratta e come, in teoria, combatterlo. Differente invece la situazione dell’aborto: è un vero e proprio tabù di cui non si deve parlare, né sui media, né a scuola, né in famiglia. L’aborto è stato recepito ed interiorizzato dalla nostra società impregnata di cultura di morte: chi osa parlarne o, ancora peggio, metterlo in discussione, viene immediatamente demonizzato, attaccato, isolato.
Secondo lei, finita questa pandemia, la sensibilità collettiva verso le tematiche pro-life sarà accresciuta oppure diminuirà?
Dovrei dire accresciuta perché essendoci confrontati con tanti decessi, con tanti drammi che spesso hanno portato via persone care senza neanche poterle salutare, la reazione dovrebbe essere: la vita è un bene preziosissimo e dobbiamo sempre salvaguardarla.
Temo invece che questa non sarà la realtà dei fatti e questo soprattutto per un motivo: la cultura della morte che promuove aborto, eutanasia, eugenetica… è una vera macchina da guerra che anche in questo caso non si è arrestata. Ciò che è stato proposto da Boldrini e Saviano [aborto a domicilio con la RU486, ndr] in Italia ha degli antefatti in altri Paesi come la Gran Bretagna o la Francia: gli ospedali erano sotto pressione per i ricoveri di Covid-19 e dunque sconsigliavano qualsiasi altro ricovero se non urgentissimo? Ebbene tutto può essere rimandato ma non l’aborto e dunque leggi apposite, decreti d’urgenza, appelli vari sono fatti per permettere alle donne di continuare ad uccidere i propri figli. E ciò, naturalmente, con la grancassa del mondo mediatico che è il veicolo maggiore di questa cultura di morte. Per questo penso che, salvo eccezioni di persone e famiglie che in questo periodo hanno profondamente sofferto e dunque hanno sviluppato una sensibilità maggiore al tema della vita, la maggior parte dell’opinione pubblica sarà comunque sempre influenzata dal sistema mediatico e da personaggi, più che dubbi, oggi chiamati “influencer”. Questi purtroppo plasmano le menti e i comportamenti degli uomini di oggi.
Pregi e difetti del movimento pro-life italiano.
In linea di massima direi questo: il movimento pro-life italiano non si differenzia molto dai movimenti pro-life degli altri Paesi. Ovunque si ritrovano, in forma più larvata o più evidente, gli stessi problemi.
A mio avviso il pregio maggiore del movimento pro-life è la sua varietà. Ci sono realtà in tutti i campi e per tutti i gusti. È come con gli ordini religiosi: ognuno può scegliere secondo la propria vocazione, o in questo caso, secondo la propria inclinazione. E questo a mio avviso è una ricchezza perché la difesa della vita ha bisogno di impegno a 360°: dalla preghiera silenziosa nelle chiese o davanti agli ospedali, alla cura delle donne incinte; dall’accoglienza del bambino messo al mondo ma rifiutato, alla cura psicologica e spirituale della donna che ha abortito; dalla lotta politica per contrastare le leggi contro la vita, alla difesa nei tribunali di coloro che vengono ingiustamente condannati; dalle marce per la vita che si oppongono alla cultura della morte nello spazio pubblico, alla perseveranza di chi scrive e parla per denunciare la medesima cultura di morte. Questa varietà di azioni fa sì che nessuno potrà mai accampare la scusa di non aver trovato il modo più consono alla propria personalità e alla propria storia per difendere la vita umana innocente.
Per quanto riguarda i difetti, sono gli stessi che emergono ogni qualvolta ci sono uomini in azione. E questo potrebbe valere per qualsiasi realtà, non solo per il mondo pro-life. Intendo parlare della tendenza dell’uomo a pensare che l’unica cosa valida e importante che viene fatta sia la propria. Questo purtroppo genera incomprensioni, personalismi, dissidi e dunque divisioni quando invece la battaglia per la difesa della vita richiede unità visti i nemici che abbiamo di fronte. Questa tendenza purtroppo è molto umana perché sappiamo bene che nella storia si sono viste incomprensioni anche tra Santi. Ciononostante penso che lo sforzo che bisogna fare sia quello di cercare di fare al meglio, e nella maniera più perfetta, ciò a cui si è chiamati e lasciare che gli altri sviluppino diversamente i propri talenti.
Temo però che esista anche un difetto di fondo in alcune realtà pro-life, non solo italiane: una certa tendenza al compromesso. Questo compromesso lo si può declinare in tanti modi, più o meno profondi. Ma nel campo della difesa della vita, anche il pur minimo compromesso apre una fessura che poi rischia di far crollare tutto l’edificio. Si potrebbero fare tanti esempi, dalla legge 194 alla legge 40 alla legge sulle DAT, tutte leggi che sono tutt’ora giustificate da parte del mondo cattolico e anche da alcuni gruppi pro-life. Lo spirito di compromesso purtroppo è ciò che ci fa perdere oggi alcune battaglie fondamentali per la difesa della vita ma non sarà sufficiente a farci perdere la guerra perché la vittoria della Vita sulla morte è una pagina già scritta e noi dobbiamo solo esserne i valorosi combattenti.
Qui il link per informazioni sull’iniziativa: https://www.connessiperlavita.it/