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KAZAKISTAN

Congresso dei leader religiosi mondiali, un progetto ateo

Non può non suscitare domande e perplessità la partecipazione del Papa in persona al Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali, che si svolge a partire da oggi in Kazakistan. Il pretesto è lavorare per la pace nel mondo, ma in questo modo la Chiesa partecipa alla nuova morale civile sincretista, che necessariamente mette tra parentesi la verità o non verità delle religioni.

Ecclesia 13_09_2022 English Español
Il Congresso dello scorso anno

Il viaggio di Francesco in Kazakistan da oggi, 13 settembre, al 15 settembre è stato ampiamente coperto dai media. È noto il programma dettagliato diffuso dalla Santa Sede, si sa che non incontrerà il patriarca Kirill come era stato precedentemente ipotizzato, è invece ormai ben noto che ci potrebbe essere lo spazio per vedere il presidente cinese Xi Jinping. Soprattutto è stato spiegato che Francesco parteciperà al VII Congresso dei leaders delle religioni mondiali e tradizionali che si terrà appunto ad Astana, oggi Nur Sultan, “come messaggero di pace” in un momento in cui il mondo ne ha grande bisogno.
I notiziari hanno molto insistito sulla importanza di questi incontri religiosi per la pace e l’armonia. Tutto questo si sa, ma il significato dell’incontro dei leader religiosi si presta anche ad altre valutazioni, di cui i media ufficiali – ormai sono quasi tutti – non parlano. Vediamo …

Cominciamo ad esaminare cosa sia questo Congress of Leaders of World and traditional Religions. Esso è sorto nel 2003 per iniziativa dell’allora presidente del Kazakistan e ha come obiettivi di cercare «punti di riferimento umani comuni nel mondo e nelle religioni tradizionali» e di far funzionare una «istituzione interreligiosa internazionale permanente per il dialogo delle religioni e l’adozione di decisioni concordate». Si tratta della cosiddetta “ONU delle religioni”.  

Il Congresso funziona tramite una Segreteria, che, come si apprende dal sito ufficiale, attua le decisioni, predispone i materiali, stende i documenti, concorda i temi chiave e, soprattutto, coordina «l’interazione con le strutture internazionali sui temi del dialogo interreligioso e intercivilizzato». Fino ad oggi hanno funzionato 19 Segreterie. Nella attuale siedono 10 rappresentanti dell’islam, 5 del cristianesimo di cui un cattolico, 4 rappresentanti del buddismo, 1 del taoismo, 1 dello shintoismo, 1 dell’induismo, 3 di istituzioni internazionali e 5 rappresentanti della Repubblica del Kazakistan. Come si vede, la composizione della Segreteria non offre grandi garanzie di equilibrio, i cattolici ne sono quasi del tutto assenti, e sembra funzionare più che altro per i contatti con le istituzioni. L’ONU delle religioni non può certo rimanere staccata dai consessi degli organismi internazionali, con i quali deve sintonizzarsi sui problemi della pace e dell’armonia.

La Chiesa cattolica aveva inviato ai precedenti Congressi cardinali come Tomko, Etchegaray o Tauran, ma non era mai andato il papa. Giovanni Paolo II aveva visitato il Kazakistan nel 2001, ma in un viaggio pastorale che non aveva nessun nesso con il Congresso mondiale dei leader delle religioni mondiali e tradizionali. Ora, Francesco ci va, invece, proprio per questo, più per il Congresso che per il Kazakistan.
Il suo viaggio è sicuramente in linea con l’enciclica Fratelli tutti, con la dichiarazione di Abu Dahbi e con la sua concezione del dialogo interreligioso. Ma questo non può eliminare, anzi semmai alimenta, le perplessità e le domande su un investimento di immagine così importante su un consesso fragile come è appunto il Congresso e su un progetto di ONU delle religioni che ricorda più i progetti dell’internazionalismo illuminista che non i propositi dell’universalismo cattolico.

Il più illustre pensatore che ha fornito le basi di un progetto come quello che si sta portando avanti nei Congressi in Kazakistan fu certamente Immanuel Kant. A questo scopo egli scrisse i suoi due trattati sulla Pace perpetua (1795) e sulla Religione nei limiti della sola ragione (1793). Da buon “pietista”, Kant riduce la religione alla ragione e la fede alla morale. L’unica cosa che il credente deve fare è «comportarsi bene», tutto il resto è superstizione. E lo deve fare perché è l’unica cosa che egli possa fare. La religione kantiana è, quindi, una religione universale, perché la ragione e la morale sono universali. Essa è anche una religione senza dogmi, perché i suoi principi sono i principi della morale che la sola ragione è capace di fissare nella coscienza.

L’universalismo illuminista e massonico si è sempre attenuto a queste premesse. Però Antonio Rosmini, e Sofia Vanni Rovighi con lui, dicevano che Kant era filosoficamente ateo. Perché quella morale alla quale la religione doveva ridursi, era la morale “del mondo”, la morale dominante, possiamo dire l’umanesimo dell’ONU. La morale naturale che anche il Congresso di cui stiamo parlando ricerca, non è la morale naturale, ma è la morale corrente, il minimo comun denominatore di quanto gli uomini (e le istituzioni internazionali) oggi considerano bene e male. Se fosse la morale naturale, allora pretenderebbe il Dio vero come compimento delle sue esigenze e non il sincretismo dei vari dèi.

Vedremo ancora una volta il Papa pregare con shintoisti e taoisti. Chissà se questo servirà veramente alla pace, le vie del Signore sono misteriose e non alla nostra portata. Però porsi delle serie e radicali domande sulla partecipazione della Chiesa cattolica a questa nuova morale civica sincretista che non può che nascere dalla messa tra parentesi della verità o non verità delle religioni e dalla loro riduzione alla morale convenzionale delle istituzioni internazionali, mi sembra veramente un dovere morale e religioso.