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AFRICA

Congo, torna Ebola, ma i capi pensano al voto

L’epidemia di Ebola scoppiata ad aprile nella provincia dell’Equatore, nella Repubblica democratica del Congo, è stata dichiarata sconfitta, ma due settimane dopo ne è esploca un'altra nel Nord Kivu. Il farmaco sperimentale dell'Oms funziona, ma careestia, infrastrutture carenti e guerriglia complicano le operazioni di vaccinazione. Intanto la politica pensa al voto dopo che la dinastia dei Kabila ha deciso di non ricandidarsi. 

Esteri 14_08_2018
Uno strumento di misurazione della temperatura corporea per la profilassi anti ebola

L’epidemia di Ebola scoppiata ad aprile nella provincia dell’Equatore, nella Repubblica democratica del Congo, è stata dichiarata sconfitta dal ministero della sanità congolese il 24 luglio, dopo 42 giorni senza nuovi contagi, come prevede il protocollo. Su 54 casi registrati, i decessi sono stati 33. Era la nona epidemia di Ebola in dieci anni ed è stata circoscritta rapidamente, benché dalle aree rurali circostanti avesse raggiunto un grosso centro abitato sulle rive del fiume Congo, grazie al vaccino sperimentale che per la prima volta l’Oms ha potuto impiegare e che è stato somministrato a tutte le persone entrate in contatto con i malati: parenti, vicini, personale sanitario. 

È stata un’impresa ardua: poche strade, piste impraticabili, una regione difficile da raggiungere persino in elicottero, problemi di conservazione del vaccino per mancanza di energia elettrica, obbligo di spiegare e chiedere il consenso prima di iniettare la dose (trattandosi appunto di un vaccino sperimentale) dovendo ricorrere a interpreti e capi villaggio… Ma tutto è andato per il meglio.

Senonchè il 3 agosto, neanche due settimane dopo, l’Oms è stata allertata per la scoperta di un nuovo focolaio di Ebola nella provincia del Nord Kivu, con diversi casi sospetti nel vicino Ituri. Finora i casi accertati sono 17, 27 quelli sospetti, in diverse città, e 54 quelli sotto osservazione, secondo quando riferito il 10 agosto dal ministro della sanità congolese Oly Ilunga Kalenga. Il direttore delle operazioni dell’Oms, Peter Salama, sostiene che si tratta di una nuova epidemia, diversa da quella appena finita. “La cattiva notizia – ha spiegato alla stampa – è che questa epidemia presenta un tasso di decessi molto più elevato e quindi si tratta della variante più letale del virus. La buona notizia è che, come è stato dimostrato nella provincia dell’Equatore, abbiamo un vaccino sicuro e che funziona”. 

Le vaccinazioni sono iniziate l’8 agosto. L’Oms per il momento ha a disposizione 3.220 dosi e la casa farmaceutica che produce il vaccino ha assicurato altri quantitativi, se necessari. Ma gli operatori sanitari devono agire adesso in contesti ancora più difficili. Gravi problemi di sicurezza si aggiungono infatti a quelli affrontati nella provincia dell’Equatore. L’intero est del Congo da decenni è teatro di conflitti tra gruppi armati, incessanti malgrado la presenza di oltre 20.000 caschi blu della Monusco, la più grande missione di peacekeeping dell’Onu. La popolazione del Nord Kivu è vittima di una crisi umanitaria – stragi, razzie, stupri, bambini arruolati a forza, oltre un milione di sfollati su otto milioni di abitanti – che continua a peggiorare. Proprio il fatto che i combattimenti mettono spesso in fuga intere comunità, che tornano ai villaggi solo quando gli scontri si spostano lontano, complica ulteriormente il compito delle equipe sanitarie. Inoltre, almeno per ora, il personale lavora senza adeguate scorte armate nonostante i caschi blu e i militari dell’esercito congolese distaccati nell’area: gli uni e gli altri poco disposti a correre dei rischi, come è stato più volte denunciato dalle comunità locali di fatto abbandonate a se stesse.

Istituzioni assenti, infrastrutture e servizi quasi inesistenti. È questa la situazione di cronica emergenza nel Nord Kivu, mentre, grazie all’impegno internazionale, le agenzie Onu e le organizzazioni non governative sono sul campo e lottano senza risparmiarsi per salvare vite umane. 

Anzi, proprio in questi giorni, in Congo tutta l’attenzione è concentrata sui candidati alle presidenziali in programma entro fine anno. Le candidature dovevano essere presentate entro l’8 agosto. A sorpresa, il presidente uscente Joseph Kabila ha annunciato la sua intenzione di non candidarsi rispettando la costituzione che limita a due i mandati presidenziali che un cittadino può svolgere. Per quasi due anni il giovane leader ha cercato il modo di conservare il potere. Scaduto il suo secondo mandato alla fine del 2016, è ricorso a degli espedienti per rimandare più volte  il voto, sperando di ottenere una modifica della costituzione, indifferente alle manifestazioni di protesta, anche quelle sostenute dalla Conferenza episcopale congolese. Alla fine sembra essersi arreso. Può darsi che abbia qualche altro asso nella manica o forse ha misurato la forza dei suoi avversari. 

La Repubblica democratica del Congo è un paese ricchissimo di materie prime. Chi può ne fa razzia accumulando patrimoni milionari (quel che avanza se lo prendono i gruppi armati; le briciole vanno alla gente comune che si deve accontentare di vendere al mercato nero e contrabbandare sacchi e cesti di minerali preziosi). La famiglia Kabila ha messo insieme una fortuna da quando Joseph ha assunto la carica presidenziale del già facoltoso padre, Laurent Désiré, vittima di un attentato nel 2001. Ma i suoi principali avversari non sono da meno. Felix Tshisekedi, ad esempio, ha ereditato patrimonio e ruolo di spicco nell’opposizione dal padre Etienne, personaggio politico di primo piano, più volte primo ministro, fin dagli anni 60 del secolo scorso. Ancora più temibile è Jean-Pierre Bemba, miliardario signore della guerra, arrestato dalla Corte penale internazionale nel 2007, in carcere dal 2008, condannato per crimini di guerra. Sembrava fuori gioco, ma lo scorso maggio è statao prosciolto ed è tornato in patria in tempo per presentare la propria candidatura.   

Una epidemia di Ebola nel nord est? Ci pensa come al solito la cooperazione internazionale.