Congo nel caos: Goma nelle mani dell’M23, con l’aiuto del Ruanda
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L’M23, uno dei più forti gruppi armati nell’est della Repubblica democratica del Congo, ha conquistato Goma, città con oltre un milione di abitanti. Ci è riuscito con l’aiuto del Ruanda e per la disorganizzazione dell’esercito congolese.

C’è una regione in Africa che almeno da 30 anni non conosce pace. È l’est della Repubblica democratica del Congo composta da tre province: Ituri, Nord Kivu e Sud Kivu. I loro disperati abitanti sono in balìa di decine di gruppi armati anche se a partire dal 1999, per aiutare l’esercito governativo a combatterli, le Nazioni Unite hanno organizzato una delle loro più grandi missioni di peacekeeping (Monuc, fino al 2010, poi rinominata Monusco), composta da oltre 16 mila caschi blu messi a disposizione da oltre 18 Paesi, per lo più africani.
Ciononostante, tra il 26 e il 27 gennaio, il più forte dei gruppi armati, l’M23, che già controllava gran parte della provincia del Nord Kivu, è riuscito a impadronirsi addirittura della sua capitale, Goma, una città di oltre un milione di abitanti. Lo ha fatto con l’aiuto del vicino Ruanda che gli fornisce sostegno militare e finanziario perché gli M23 sono combattenti di etnia Tutsi, la stessa al potere, sebbene minoritaria, in Ruanda. Trentuno anni fa, nel 1994, in Ruanda il governo era in mano a un’altra etnia, gli Hutu, una parte dei quali quell’anno decisero di sterminare tutti i Tutsi. Fu una strage senza precedenti: in cento giorni furono uccise circa 940.000 persone, per lo più Tutsi, ma anche migliaia di Hutu contrari al genocidio. Quando il leader dei Tutsi, Paul Kagame, e i suoi soldati riuscirono a fermare il massacro e a prendere il potere, circa due milioni di Hutu fuggirono in Congo, accolti in un enorme complesso di campi profughi allestito dall’Onu. Con i civili vi furono ospitati anche quel che rimaneva dell’esercito Hutu e degli Interahamwe, la forza paramilitare Hutu che aveva avuto una importante parte nel genocidio. Così gli Hutu continuarono a dare la caccia ai Tutsi, oltre confine e soprattutto infierendo su quelli congolesi. Quegli Hutu e i loro discendenti tuttora costituiscono un gruppo armato, le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr). Per questo, contro le Fdlr, il Ruanda sostiene l’M23 e, motivazione non secondaria, perché così facendo si appropria di parte delle risorse minerarie, immense e preziosissime, del Congo.
Goma era già caduta nelle mani dell’M23 nel 2012, ma soltanto per pochi giorni. A ciò seguirono il dispiegamento di nuove truppe Onu, delle efficaci azioni diplomatiche sul Ruanda affinché smettesse di armare i ribelli, cosa che fece per qualche anno, e la riorganizzazione dell’esercito congolese (le Fardc). Il governo adesso, oltre ai caschi blu, ha al suo fianco anche i soldati messi a disposizione dal vicino Burundi, quelli inviati dalla Sadc (la Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale) e quelli dei Wazalendo, un gruppo paramilitare.
Ma la riorganizzazione dell’esercito governativo non è riuscita a rendere i suoi ben 100.000 soldati abbastanza disciplinati e determinati. Si verificano di continuo casi di militari che abbandonano le loro posizioni e peggio ancora. Un tribunale militare all’inizio del 2025 ne ha condannato a morte 13, colpevoli di omicidi, saccheggi e codardia. La sentenza è stata eseguita il 2 gennaio: una punizione esemplare inflitta nel tentativo di migliorare le prestazioni delle Fardc, in seguito alla pesante perdita di territori causata dalla diserzione dei soldati.
Corruzione e malgoverno svolgono un ruolo determinante nell’indisciplina e nella demotivazione dei soldati congolesi. Come succede anche in altri Paesi africani, troppa parte dei fondi stanziati per le spese militari spariscono, lasciando i militari male addestrati ed equipaggiati. Così il 21 gennaio il ministro della giustizia, Constant Mutamba Tungunga, ha chiesto a tutte le confessioni religiose del Paese di istituire una giornata di preghiera per le Fardc durante la quale… raccogliere offerte per l’esercito e per i Wazalendo. Monsignor Donatien Nshole, segretario generale della Cenco (Conferenza episcopale nazionale congolese), ha fatto sapere al ministro che la Chiesa cattolica non aveva problemi a pregare come è sua missione. «Ma lo farà a modo suo – ha detto – noi non preghiamo per vincere la guerra, ma per ottenere la pace. Pregheremo per tutti, anche per i nemici». Quanto alla questua, è scandaloso che il governo di un paese così ricco di risorse si riduca a tanto e osi chiedere denaro a una popolazione stremata e che le Fardc non si preoccupano di proteggere, quando addirittura non sono gli stessi militari governativi a infierire sui civili.
La caduta di Goma ha costretto il presidente Félix Tshisekedi a rientrare in patria. Era a Davos, al World Economic Forum, per presentare un suo colossale piano verde, il Green Corridor, ovvero la creazione della più grande area forestale protetta del mondo. Naturalmente per la sua realizzazione servono fondi miliardari che dovranno essere forniti dall'Unione Europea e da altri donatori. Negli ultimi 10 anni, l’UE e i suoi Stati membri, per tutelare l'area che dovrebbe diventare il Green Corridor, hanno già speso circa un miliardo di dollari: 495 milioni l'UE e gli altri messi da Belgio, Germania, Francia e altri Paesi. Per il Green Corridor il Congo chiede un primo fondo di quasi 80 milioni di dollari. Tshisekedi ha avuto il coraggio di citare, come esempio virtuoso di quanto il suo governo abbia già fatto per la conservazione della biodiversità, i Monti Virunga dove si trova il parco dei gorilla di montagna. È «uno straordinario esempio di resilienza» ha detto, perché, nonostante la minaccia dei gruppi armati, il parco è aperto e il governo congolese se ne prende cura proteggendone la popolazione animale. In realtà il parco ha dovuto chiudere più volte nel corso degli anni e attualmente metà del suo territorio è controllato dai ribelli. Già 211 guardiani del parco sono stati uccisi dai gruppi armati.
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