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PRIMA DEL VIAGGIO APOSTOLICO

Congo, il Papa nel Paese piagato da tribalismo, corruzione, malgoverno

Papa Francesco arriva a Kinshasa, capitale del Congo. Ma non andrà a Goma, nel Nord Kivu, perché la regione è troppo insicura, divisa in bande armate che lottano ciascuna per la propria etnia e con un conflitto latente con il Ruanda. La visita del pontefice riguarda due Paesi, Congo e Sud Sudan, ricchissimi di materie prime, ma con popolazioni estremamente povere. Sono realtà devastate da corruzione, malgoverno e tribalismo, le piaghe storiche, inguaribili, del continente africano. 
- FRANCESCO NEL SUD SUDAN "SERBATOIO" DI MIGRANTI, di Nico Spuntoni

Esteri 31_01_2023
Kinshasa militarizzata per l'arrivo del Papa

Con l’arrivo a Kinshasa, capitale della Repubblica democratica del Congo, inizia il 31 gennaio il viaggio di Papa Francesco in Africa. Seconda tappa sarà il Sudan del sud dove è atteso il 3 febbraio. Quella intrapresa è una missione delicatissima perché il Pontefice ha scelto di visitare due dei paesi africani più devastati da corruzione, malgoverno e tribalismo, le piaghe storiche, inguaribili del continente. Immensamente ricco di materie prime, il Congo, che per questo è stato addirittura definito uno “scandalo geologico”, è uno dei paesi più poveri del mondo: il 70,99% della popolazione è in condizioni di estrema povertà disponendo di meno di 2,15 dollari al giorno per vivere. Peggiore ancora è la situazione del Sudan del sud che, nonostante abbia acquisito tre quarti dei giacimenti di petrolio del Sudan dal quale si è diviso diventando indipendente nel 2011, detiene il primato mondiale della povertà estrema con l’80,71% degli abitanti in questa condizione. Entrambi inoltre, come ha ricordato il Papa il 29 gennaio all’Angelus, sono provati da lunghi conflitti.

In Congo, Francesco si limiterà a incontrare politici e popolazione nella capitale. L’insicurezza che regna nell’est del Congo rende impossibili altre destinazioni, soprattutto la programmata visita a Goma, la capitale del Nord Kivu, una delle tre province orientali del paese – le altre sono l’Ituri e il Sud Kivu – in cui da quasi 30 anni sono attivi decine gruppi armati: alcuni antigovernativi, quasi tutti a composizione etnica, nati per difendere le rispettive comunità e i loro territori, molti sostenuti dai tre paesi con cui le province confinano: Uganda, Rwanda e Burundi. Vivono di razzie, bracconaggio e contrabbando di materie prime e agiscono quasi incontrollati nonostante la presenza, in aiuto alle forze militari congolesi, della più grande missione di peacekeeping, la Monusco, istituita nel 2010 in sostituzione della precedente, la Monuc, e forte di 18.278 tra militari, esperti, civili, agenti di polizia e osservatori militari.

È nei pressi di Goma che nel febbraio del 2021 è stato ucciso l’ambasciatore italiano Luca Attanasio mentre incautamente percorreva senza scorta insieme ad alcuni dipendenti del Pam, il Programma alimentare mondiale, la strada che collega Goma al centro minerario di Rutshuru, una delle più pericolose del paese tanto da essere stata soprannominata “la strada della morte”. Il 15 gennaio proprio nel Nord Kivu i jihadisti ADF, un gruppo armato affiliato all’Isis attivo dal 2001 in Congo, hanno attaccato la chiesa di Cristo in Congo di Kisindi, in quel momento gremita di fedeli che assistevano alla messa domenicale, facendovi esplodere un ordigno e uccidendone almeno 17. Il 30 gennaio, vigilia dell’arrivo del Papa, l’ADF ha attaccato di nuovo, questa volta tre villaggi nell’Ituri, uccidendo almeno 15 persone.

Ma in questo momento il pericolo maggiore non solo per le popolazioni dell’est, ma per l’intero paese è costituito dal gruppo armato M23, composto da milizie Tutsi e sostenuto dal Rwanda dove i Tutsi scampati nel 1994 al genocidio sono al potere. Nonostante i tentativi internazionali di mediazione e l’impegno a una tregua, i combattimenti continuano e i rapporti tra Congo e Rwanda sono pericolosamente tesi: il Congo accusa il Rwanda di voler occupare aree orientali del paese, il Rwanda replica denunciando una minaccia di genocidio dei Tutsi residenti in Congo. “Non perché temesse per la propria vita – ha spiegato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede Matteo Bruni, spiegando le ragioni della rinuncia del Papa a visitare Goma – ma per il rischio di attentati contro la folla di persone che accorrerebbe per vedere il Papa”.

Se l’est è la regione del paese più instabile, tutto il paese però risente delle conseguenze di decenni di governi affidati a uomini impegnati solo a impadronirsi delle risorse del paese, in una corsa sfrenata ai proventi della vendita di materie prime preziose, trascurando infrastrutture e servizi al punto da rendere difficile per la gente comune spostarsi nel paese e quasi impossibile condurre un’esistenza sicura e tutelata. Il dittatore Sese Seko Mobutu al potere dal 1965, cinque anni dopo l’indipendenza dal Belgio, al 1997, secondo cui era solo normale che un leader politico in carica per tanti anni accumulasse miliardi, è stato sostituito da capi di stato apparentemente democratici, altrettanto avidi di potere e ricchezza: Laurent-Désiré Kabila, dal 1997 al 2001, suo figlio Joseph, fino al 2019, che in meno di 20 anni è riuscito a incrementare i beni ereditati dal padre fino a costituire uno dei maggiori imperi finanziari e immobiliari del continente, e dal 2019 Félix Tshisekedi, vincitore delle elezioni presidenziali di fine 2018 e attuale presidente nonostante le accuse di irregolarità e brogli mosse tra l’altro anche dalla Chiesa Cattolica che aveva posto 40mila osservatori a monitorare il voto.

Benché non sussistano minacce specifiche, tuttavia i luoghi degli appuntamenti del Papa sono stati fatti oggetto di misure di sicurezza estreme per impedire l’accesso anche a piedi a persone non autorizzate. Il governo congolese si è impegnato con fermezza in tal senso e anche a mostrare pulite e in ordine le vie della capitale. Ne hanno fatto le spese migliaia di venditori ambulanti che da un giorno all’altro sono stati costretti a smontare i loro negozietti. Chi ha tardato a obbedire ha perso tutto perché la polizia è intervenuta con piedi di porco e bulldozer ad abbattere baracchini e bancarelle.