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EX POTERI FORTI

Confindustria sempre più in basso, ininfluente nella politica

In un tempo non lontano, bastava una dichiarazione di Confindustria per mettere in crisi il governo. Oggi l'associazione degli imprenditori industriali conta sempre meno, specie dopo il caso giudiziario di Antonello Montante e l'uscita di Fiat e (parzialmente) Luxottica. Come i sindacati, è in crisi.

Economia 21_05_2018
Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria

In una stagione non lontana della politica del nostro Paese, quando Confindustria iniziava a prendere le distanze dal governo in carica significava che una tempesta decisiva si stava per abbattere su Palazzo Chigi. Inesorabilmente quell’esecutivo cadeva e le carte si rimescolavano. Segno che l’organizzazione degli industriali era il termometro della tenuta del quadro politico e di fatto dettava l’agenda delle priorità, soprattutto in campo industriale.

A consolidare questa posizione dominante di uno dei cosiddetti “poteri forti” la cronica mancanza, in Italia, di una legge sulle lobby, cioè sulla rappresentanza trasparente degli interessi, che avrebbe posto un argine al condizionamento sui decisori politici da parte dei centri di potere più solidi e influenti. Una normativa come quella che c’è negli Usa o in altre parti del mondo obbligherebbe Parlamento e Governo a prendere decisioni nell’interesse della collettività, ascoltando le istanze di tutti i portatori di interessi, e non quelle dei soliti noti.

Confindustria e i sindacati della Triplice Cgil-Cisl-Uil hanno beneficiato per decenni di questa rendita di posizione, che ha ingessato i processi decisionali, privilegiando solo i grandi interessi e impedendo una crescita equilibrata della società e dell’economia del nostro Paese. I sindacati sono andati in crisi già molto tempo fa e la proliferazione di sigle alternative alle tre maggiori organizzazioni sindacali è li’ a dimostrarlo. Da qualche anno anche Confindustria sta assistendo all’eclissi della sua autorevolezza e oggi sembra davvero muoversi su un piano inclinato, fatto di delegittimazione e crisi d’identità.

Nel 2012 la clamorosa uscita di Fiat da Confindustria è stata probabilmente l’inizio della fase discendente della parabola dell’organizzazione degli industriali italiani. Nella lettera che l’anno prima scrisse Sergio Marchionne all’allora presidente Emma Marcegaglia, si adducevano motivazioni legate al deficit di flessibilità e al quadro di incertezze nella politica industriale italiana, troppo sbilanciata, secondo lui, verso le parti sociali. In realtà la casa torinese abbandonò il salotto dell’industria italiana perché intendeva spostare il baricentro delle sue attività a Detroit, come è poi accaduto con il progressivo disimpegno italiano del Lingotto.

Oggi la Confindustria di Vincenzo Boccia, giunto a metà mandato (due anni sui quattro previsti per statuto), si trova in una situazione decisamente più difficile di qualche anno fa. Anzitutto ha pesato l’incertezza del quadro politico, che si traduce in volatilità dei mercati e si riverbera in maniera pesante sulle strategie delle imprese, che temono la fuga degli investitori stranieri.

Ma non è solo questa la ragione per cui in Confindustria le acque sono assai agitate. Oltre allo scenario generale ci sono vicende associative che turbano non poco i sonni dei vertici. Anzitutto il caso di Antonello Montante, ex presidente di Confindustria Sicilia, attuale Presidente di Retimpresa per Confindustria e paladino dell’antimafia, agli arresti domiciliari (insieme ad altri cinque tra alti esponenti delle forze dell’ordine e servizi) e coinvolto in un’inchiesta con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. Alla base delle indagini un sistema di spionaggio per difendersi dagli avversari politici e, dentro l’associazione industriali, per carpire notizie sull’inchiesta per concorso in associazione mafiosa che la Procura di Caltanissetta aveva aperto nel 2014 su di lui. Nella “rete” di Montante ci sarebbero vertici dei servizi segreti civili, esponenti delle forze dell’ordine, docenti universitari, politici e giornalisti. Stando alle accuse, un sistema di potere costruito su ricatti, prebende e dossier.

Non meno allarmante la decisione di Leonardo Del Vecchio, patron di Luxottica, di revocare l'iscrizione dalle associazioni territoriali di Confindustria mantenendo solo quella alla federazione del settore dei produttori di occhiali. L'emorragia di associati dall’organizzazione di viale dell’Astronomia va avanti da anni. I casi di Fiat e Luxottica sono solo i più eclatanti, ma molte altre aziende, dai big della nautica come Azimut e Ferretti fino al gruppo di gioielleria Morellato, hanno fatto scelte di abbandono, accusando Confindustria di non essere in grado di rappresentare gli interessi imprenditoriali. Il disagio, dunque, continua a crescere e Boccia dovrà tenerne conto se vuole evitare la perdita di prestigio e rappresentatività di Confindustria. Terzo fattore di tensione interno la crisi del Gruppo Il Sole 24 ore, ricapitalizzato per trenta milioni di euro ma tra mille mugugni.

D’altronde l’ennesima riprova della scarsa incisività del potere confindustriale sull’andamento della vita politica nazionale si è avuta anche in occasione del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, quando Confindustria si spese in modo energico in favore del “si”, sposando in pieno la linea renziana e terrorizzando i suoi associati con minacce di scenari apocalittici in caso di vittoria del “no”. E sappiamo come è andata a finire.