Confindustria chiede al governo di onorare i suoi debiti
A scrivere un altro capitolo del cahier de doleance delle forze produttive del Paese nei confronti di una politica governativa sorda alle loro istanze ha pensato ieri Confindustria. Intanto le opposizioni disertano l'aula quando Conte parla prima di partecipare al vertice sul Mes. E anche fra le forze governative non c'è affatto intesa
A scrivere un altro capitolo del cahier de doleance delle forze produttive del Paese nei confronti di una politica governativa sorda alle loro istanze ha pensato ieri Confindustria.
Martedì erano stati commercianti e artigiani a manifestare tutta la loro preoccupazione. Ieri a rivolgere attacchi feroci all’esecutivo è stato Carlo Bonomi, che è intervenuto agli Stati generali dell’Economia. «La cassa integrazione è stata anticipata in vasta misura dalle imprese e così sarà per ulteriori 4 settimane – ha tuonato il numero uno di Confindustria - Gravi ritardi anche per le procedure annunciate a sostegno della liquidità. Le misure economiche italiane si sono rivelate più problematiche di quelle europee. Chiedo immediato rispetto per la sentenza della magistratura che impone la restituzione di 3,4 miliardi di accise energia, impropriamente pagate dalle imprese e trattenute dallo Stato nonostante la sentenza della Corte di Cassazione che ne impone la restituzione». La richiesta di Confindustria si riferisce all'addizionale provinciale sull'energia elettrica, abrogata nel 2012, e rispetto alla quale una recente sentenza della Cassazione ha sancito che le aziende che l'hanno versata hanno diritto alla restituzione delle somme. In ballo c'è quindi quanto versato prima della decorrenza della prescrizione decennale, vale a dire gli importi pagati nel 2010 e nel 2011.
Gli imprenditori da tempo chiedono all’esecutivo un cambio di passo nelle politiche di sostegno al mondo produttivo, temendo che a settembre ci sia un definitivo tracollo socio-economico. Del pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni alle imprese non parla più nessuno. Del decreto semplificazione, che avrebbe dovuto sbloccare come per incanto l’intasamento burocratico che frena ogni processo decisionale, neppure l’ombra. Gli Stati generali stanno deludendo le aspettative, anche quelle di chi inizialmente li ha proposti e sponsorizzati, perché si stanno rivelando la celebrazione e la messa in piazza di tutte le contraddizioni dell’operato del Governo.
Le tensioni continue tra Pd e Cinque Stelle, le ultime in ordine di tempo sul risanamento di Alitalia, stanno appesantendo il clima e la figura del premier appare sempre più appannata. Giuseppe Conte ieri ha provato a rintuzzare le critiche di Bonomi: «Qualcuno crede che questo governo abbia un pregiudizio nei confronti della libera iniziativa economica. Voglio precisarlo molto chiaramente: le misure che abbiamo elaborato e inserito nei nostri provvedimenti sono dedicate al sostegno delle imprese. Da parte di questo Governo c'è una costante attenzione per il sostegno alle imprese. Per noi l'impresa è un pilastro della nostra società. Nessun pregiudizio da parte del Governo, possiamo avere diversità di opinioni e valutazioni, ci sta, ma qui non c'è nessun pregiudizio ideologico. Preservare l'impresa e metterla in condizione di poter affrontare vigorosamente e in modo resiliente uno shock come questo è una priorità del nostro paese, altrimenti non andiamo da nessuna parte».
Il Presidente del Consiglio ha poi ammesso che i tempi della ripresa saranno lunghi perché il quadro macroeconomico è assai complesso. Ma se le forze sociali e imprenditoriali sono sempre più scettiche sulla capacità di questo esecutivo di intraprendere azioni in grado di risollevare il Paese, anche a livello politico il clima non è dei migliori. Ieri in Parlamento è andata in scena l’ennesima frattura tra maggioranza e opposizioni. Il Presidente del Consiglio, durante la sua informativa alla Camera in vista del Consiglio Ue di Bruxelles, ha dato appuntamento a settembre per il Recovery plan e ha esortato le opposizioni a collaborare con spirito di coesione nazionale. Ma i deputati di Fratelli d’Italia hanno disertato l’aula e i leghisti l’hanno abbandonata in segno di protesta contro la decisione di non consentire un voto sull’intervento del premier. «Conte, da avvocato, è diventato il liquidatore del Paese», ha detto il capogruppo del Carroccio Riccardo Molinari. Diverso l’atteggiamento di Forza Italia, che resta in aula, pur manifestando un aperto dissenso nei riguardi del Governo. «Il premier Conte in Aula alla Camera prende tempo e non decide, fa una "scappatella" in Parlamento dove scientemente evita di affrontare i nodi cruciali (non una parola sul Mes) prima di fuggire e tornare a rifugiarsi in "Villa" a crogiolarsi nel suo ego», dice Giorgio Mulè, portavoce dei gruppi azzurri in Camera e Senato.
Giuseppi sembra sempre più isolato e chiuso in una torre d’avorio, pressato dai partiti di governo e da quanti, nella società civile e nel mondo imprenditoriale, prevedono un autunno devastante. I sondaggi, che pure sembrano ancora favorevoli a lui e all’esecutivo, possono cambiare in fretta, soprattutto di fronte alla prolungata mancanza di liquidità e di certezze per chi, nel mondo del lavoro, fa fatica a ripartire.