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dottrina e società

Con Trump l'americanismo può attenuarsi negli Usa per spostarsi in Europa

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Che cosa resta della condanna che la Chiesa con Leone XIII fece dell'americanismo inteso come dottrina del primato dell'efficientismo sulla vita contemplativa? La vittoria di Trump potrebbe portare a una revisione dell'americanismo in salsa liberal, che attecchirà sempre più in Europa e... in Vaticano. 

Editoriali 21_11_2024 English Español

Il 22 gennaio 1899 Leone XIII pubblicava la sua enciclica Testem benevolentiae di condanna dell’americanismo. Sarebbe interessante valutare l’attualità di quanto insegnato allora dalla Chiesa con la situazione apertasi dopo l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Il nuovo quadro politico rimarrà comunque nell’ambito dell’americanismo oppure se ne staccherà?

Con il termine americanismo si indica l’efficientismo, il pragmatismo, la celebrazione della vita attiva contro la vita contemplativa, l’esaltazione delle virtù “attive”, come sarebbero quelle naturali, rispetto a quelle “passive”, come sarebbero quelle soprannaturali, tutte conseguenze, queste, del protestantesimo. Si potrebbe dire che un certo americanismo sia nato non in America ma in Europa, se sono vere le osservazioni di Max Weber in L’etica protestante e lo spirito del capitalismo o, per essere più prudenti, che l’americanismo sia una derivazione da matrici culturali europee. Una cosa è certa: l’americanismo, pur essendo di origine americana, non è chiuso nei confini degli Stati Uniti, né si può pensare che esso copra tutta la società americana. C’è dell’americanismo fuori dagli USA e ci sono realtà non condizionate dall’americanismo dentro gli USA.

L’americanismo non è solo una dottrina politica e non riguarda solo gli aspetti sociali. Esso presuppone una rivoluzione teologica e quindi ha delle conseguenze anche per la Chiesa stessa, comportando la rottura del rapporto tra natura e grazia. Le virtù naturali sarebbero preferibili a quelle soprannaturali e, quindi, non solo la natura sarebbe in grado di fare da sé, ma emergerebbe in primo piano rispetto alla soprannatura. «È cosa difficile da intendersi – scriveva Leone XIII  -  come uomini cristiani possano anteporre le virtù naturali alle soprannaturali, e attribuire alle prime maggiore efficacia e fecondità. Ma, dunque, la natura, aiutata dalla grazia, diverrà più debole, che se fosse lasciata con le sole sue forze?». 

«Difficile da intendersi»  - dice Leone XIII  - perché non esistono virtù “passive”, né quelle cosiddette “attive” sono autodeterminazioni del soggetto. Non sono tali, esemplifica il Papa, le virtù seguenti all’assunzione da parte dei religiosi dei consigli evangelici oltre che dei precetti. Né i sacerdoti devono darsi alle attività pratiche di natura sociologica, ma devono adempiere il proprio compito «con la sapiente predicazione dell’evangelo, con la gravità e splendore delle sacre cerimonie, e soprattutto incarnando in sé medesimi gli insegnamenti che l’apostolo diede a Tito e a Timoteo». L’americanismo, in altre parole, sarebbe all’origine anche dei preti di strada, dei preti operai, dei preti sociali che spesso antepongono le virtù attive della solidarietà sociale alle virtù contemplative conformate dalla grazia.

Augusto Del Noce proprio su questa base aveva distinto tra Occidente ed Europa, ritenendo che mentre quest’ultima prevede una cultura contemplativa, quella americana ne prevede invece una di tipo efficientista e pragmatico. L’americanismo sarebbe quindi una produzione autoctona americana e non una derivazione da virus intellettuali e morali provenienti dal vecchio continente. Tesi, questa, di notevole interesse ma non pienamente convincente perché l’Europa non è una sola, ma due: quella autentica che ha in mente Del Noce e quella falsa nata in età moderna da una rivoluzione del pensiero filosofico e politico. Con quest’ultima l’americanismo ha dei nessi non secondari.

Ora, la vittoria elettorale di Trump può far pensare ad una revisione dell’americanismo? Si può prevedere che l’americanismo liberal subirà un rallentamento e si svilupperà una lotta interna, che però non vorrà dire una uscita dall’americanismo al quale in fondo sembra rifarsi anche Trump. Si tratterà di vedere quanto le sue concrete politiche si baseranno solo su criteri efficientisti – pensiamo alla sanità o all’immigrazione o, anche, al posizionamento circa le guerre in corso – o quanto si caricheranno anche di valori culturali e morali, riuscendo ad aprire qualche spiraglio nel quadro generale dell’americanismo.

In realtà l’americanismo liberal di Clinton, Obama, Biden, fingendo di celebrare le virtù attive, imponeva ai cittadini americani una passività molto rigida rispetto alle visioni ideologiche del neo-globalismo imperante. Sarebbe già positivo se il governo Trump creasse qualche fessura e smontasse qualche tassello nel quale le forze sane della società americana potessero inserirsi. Ci sono negli USA forze sociali libere dall’americanismo. Il no all’aborto di Stato decretato dai cittadini del Nebraska lo dimostra. Anche nella Chiesa cattolica ci sono forze vive che finora si sono sottratte all’americanismo, compresi alcuni vescovi come Cordileone o Strickland. L’americanismo in fondo è una ideologia che l’America si sente in dovere di rendere universale come una nuova religione, ma qualche buona dose di realismo potrebbe ridurne la prosopopea.

Ma la vera novità dell’era Trump potrebbe essere un’altra, ossia che mentre l’America rivede l’ideologia americanista, pur senza abbandonarla del tutto, l’americanismo continui in Europa e in Vaticano. In Europa potrebbe continuare nella forma di un nuovo europeismo nel senso delle “grandi scelte” chieste da Draghi, in Vaticano proseguendo sulla strada già ampiamente intrapresa di una fede cattolica proposta come prassi di integrazione sociale, nel privilegio delle virtù ritenute attive a discapito di quelle passive.